Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 novembre 2019, n. 30222

Rapporto di lavoro subordinato, Pagamento mensilità
accessorie e TFR, Questione relativa al rilascio di quietanza sotto minaccia
di licenziamento, Valutazione delle prove assunte, Attendibilità

 

Diritto

 

Rilevato che

1. Il Tribunale di Agrigento, con sentenza nr. 415
del 2014, in parziale accoglimento del ricorso proposto da L.G.A., condannava
G.P., titolare dell’omonima impresa individuale, al pagamento della somma di
euro 4.780,85, oltre agli accessori, a titolo di differenze retributive,
mensilità accessorie e TFR in relazione al rapporto di lavoro subordinato
intercorso tra le parti dal giugno 2002 al febbraio 2006;

2. la Corte di appello di Palermo, con pronuncia nr.
1074 del 2016, pronunciando sul gravame proposto da G.P., in parziale riforma
della pronuncia di primo grado, riduceva ad euro 1.085,29 la statuizione di
condanna a carico del predetto P. ed in favore di L.G.A.;

a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha
così argomentato:

– non era dimostrata la deduzione del lavoratore di
aver ricevuto una retribuzione inferiore a quella risultante dalle buste paga
debitamente quietanzate; al riguardo, erano maggiormente attendibili le
testimonianze in base alle quali la consegna della retribuzione avvenisse
nell’ufficio del titolare, con i lavoratori chiamati uno per volta;

– la deduzione secondo cui il rilascio di quietanza
fosse avvenuto sotto la minaccia del licenziamento rappresentava questione
nuova e comunque sfornita di prova;

– residuava, comunque, in applicazione del CCNL di
categoria, un credito in favore del lavoratore nella minore misura per cui si
pronunciava condanna;

3. avverso detta sentenza, ha proposto ricorso per
cassazione il lavoratore affidato ad un unico motivo;

4. ha resistito, con controricorso, il datore di
lavoro;

5. è rimasto intimato l’INPS;

 

Diritto

 

Rilevato che:

1. con un unico motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ., – è dedotta erronea
motivazione per errata valutazione delle prove assunte e decisive per il
giudizio; si imputa alla sentenza di aver fatto cattivo governo dei mezzi di
prova ed inoltre di aver giudicato nuova la questione relativa al rilascio di
quietanza sotto minaccia di licenziamento;

1.1. Il motivo è, in radice, inammissibile;

1.2. quanto al profilo che concerne la valutazione
del materiale probatorio, per costante giurisprudenza di legittimità, l’art. 360, comma 1, nr. 5 cod. proc. civ. – anche
nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. nr.
83 del 2012 – non ha mai conferito alla Corte di Cassazione il potere di
riesaminare e valutare il merito della causa, spettando al giudice di merito di
individuare le fonti del proprio convincimento e, in proposito, valutare le
prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie
risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in
discussione (in termini, Cass. nr. 5205 del 2010; Cass.
nr. 4766 del 2006, Sempre nella stessa ottica, altresì, Cass. nr. 4500 del 2007; Cass. nr. 27168 del
2006);

1.3. corollario di tale principio, nella vigenza del
nuovo art. 360, comma 1, nr. 5 cod.proc.civ.,
applicabile ratione temporis alla fattispecie di causa, è che il ricorrente che
deduca il vizio di motivazione, sotto il profilo dell’erronea valutazione dei
mezzi di prova, può solo evidenziare il «fatto storico», oggetto del mezzo di
prova, non valutato e decisivo, tale cioè che se esaminato avrebbe invalidato,
con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria
delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio
decidendi sarebbe venuta a trovarsi priva di base; il tutto, poi, nel rispetto
degli oneri di specificità ex artt. 366 nr. 6 e
369 nr., 4 cod.proc.civ.;

1.4. le censure di cui al ricorso non sono
sviluppate nei termini che precedono e mirano ad ottenere una non consentita
rivalutazione del compendio probatorio;

2. la censura che afferisce alla statuizione di
«novità» della questione relativa alla minaccia datoriale finalizzata alla
sottoscrizione delle buste paga per ricevuta delle somme in esse indicate
difetta di specificità;

2.1. per validamente censurare detta argomentazione
contenuta nella sentenza della Corte di appello, la parte ricorrente avrebbe
dovuto, secondo la prescrizione di cui all’articolo
366 nr. 6 cod.proc.civ., procedere alla trascrizione degli atti difensivi
(ricorso introduttivo del giudizio e comparsa di costituzione in appello) in
cui, come assume, aveva proposto la questione e, quindi, indicare la
localizzazione dei relativi atti processuali, con ulteriore onere di deposito
degli stessi (id est: dei medesimi atti processuali) ai sensi dell’articolo 369 nr. 4 cod.proc.civ.; l’inosservanza
delle indicate prescrizioni impedisce alla Corte ogni valutazione al riguardo;

3. le spese, liquidate in favore della parte
controricorrente, seguono la soccombenza; nulla deve provvedersi in relazione
all’INPS che, rimasto intimato, non ha svolto alcuna attività difensiva;

4. occorre dare atto della sussistenza dei
presupposti di cui all’art. 13,
comma 1 quater, D.P.R. nr. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, comma
17, della legge nr. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte
ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese
del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi
professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali nella
misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. nr.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

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