Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 novembre 2019, n. 30577

lnfortunio sul lavoro, Risarcimento del danno, Denuncia
all’assicurazione, Circostanze indispensabili per una corretta qualificazione
e inquadramento del sinistro a fini assicurativi.

 

Fatti di causa

 

1. Il Sig. H.H. convenne innanzi al Tribunale di
Torino la datrice di lavoro O.L.F. Srl chiedendo la condanna della società al
risarcimento del danno per l’infortunio sul lavoro subito in data 16 maggio
2007.

Instaurato il contraddittorio, la convenuta chiamò
in causa la M.A. Spa per essere manlevata e quest’ultima si costituì chiedendo
il rigetto della domanda.

Corrisposta all’infortunato dalla M.A. la somma di
euro 108.000,00, oltre le spese legali, il Tribunale, in data 26 marzo 2013, dichiarò
cessata la materia del contendere, compensando le spese tra convenuta e terza
chiamata.

2. Interposto gravame dalla O.L.F. Srl per chiedere
la condanna della società chiamata in causa al pagamento in suo favore dei
compensi del giudizio di primo grado, la Corte di Appello di Torino, con
sentenza del 4 giugno 2014, ha respinto l’appello ed ha condannato la società
al pagamento delle spese anche del secondo grado in favore di U.A. Spa (già
M.A. Spa).

In sintesi la Corte territoriale ha ritenuto corretta
la compensazione delle spese operata dal Tribunale “in ragione della
condotta ingannevole posta in essere dall’appellante nei confronti
dell’appellata” in occasione della denuncia del sinistro.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto
ricorso la soccombente con 3 censure; non hanno svolto attività difensiva gli
intimati.

 

Ragioni della decisione

 

1. I motivi di ricorso possono essere come di
seguito sintetizzati.

Con il primo si denuncia “violazione dell’art. 115, comma 1, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere il
giudice di merito omesso di valutare la prova documentale offerta”, dalla
quale emergerebbe che sin dal febbraio del 2008 la società esponente
“aveva pienamente collaborato con la compagnia di assicurazioni fornendo
ogni dettaglio utile ai fini della definizione dell’infortunio”.

Con la seconda censura si denuncia “violazione
dell’art. 116, comma 1, c.p.c., art. 2727 c.c., 2729, comma 1, c.p.c. (ndr 2729, comma 1, c.c.), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.” in quanto il
giudice del merito avrebbe erroneamente ritenuto che, dagli atti di indagine
penale acquisiti nel corso del procedimento di primo grado, fosse emersa la
prova della malafede della O.L.F. nella denuncia all’assicurazione, del fatto
che la stessa fosse a conoscenza della dinamica del sinistro e che avesse
taciuto alla M.A. Spa circostanze indispensabili per una corretta
qualificazione e inquadramento del sinistro a fini assicurativi.

Con l’ultima critica si lamenta “violazione
dell’art. 115, comma 1, c.p.c., art. 2727 c.c., 2729,
comma 1, c.c., in relazione all’art. 360, comma
1, n. 4, c.p.c., per avere il giudice di merito omesso di valutare parte
degli atti di indagine penale acquisiti nel corso del procedimento i primo
grado”.

2. I motivi, congiuntamente esaminabili per
connessione, non possono trovare accoglimento in quanto, nonostante la denuncia
formale di errores in procedendo in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata,
in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c.,
nella sostanza, come è reso palese dal costante riferimento agli atti di causa,
propone una valutazione del materiale probatorio diversa da quella operata dai
giudici del merito, postulando un sindacato chiaramente inibito in sede di
legittimità.

Tanto più precluso in quanto riguardante gli
elementi fattuali complessivamente tenuti presenti dal giudice del merito in
quella peculiare valutazione circa l’opportunità della compensazione, totale o
parziale, delle spese processuali, che costituisce esercizio di un potere
discrezionale, sindacabile in sede di legittimità solo ove la motivazione posta
a fondamento della statuizione di compensazione risulti palesemente illogica e
contraddittoria e tale da inficiare, per la sua inconsistenza o evidente
erroneità, il processo decisionale del giudice (Cass.
n. 24221 del 2014; Cass. n. 17128 del 2014; Cass. SS. UU. n. 20598 del
2008).

Gli stessi riferimenti agli artt. 115, 116 c.p.c.e 2727 c.c.
risultano inappropriati.

Innanzitutto, la scelta del mezzi istruttori
utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione
è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di
merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del
vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass. n. 21603 del 2013);
inoltre, in base al principio del libero convincimento del giudice, la
violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di
ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, numero 5, c.p.c., e deve
emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli
atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.

In tema di valutazione delle prove, il principio del
libero convincimento, posto a fondamento degli artt.
115 e 116 c.p.c., opera interamente sul
piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità,
sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice
del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme
processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore
di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo
del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato
dall’art. 54 del d.l. n. 83 del
2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del
2012 (in termini: Cass. 23940 del 2017; v. più in generale: Cass. n. 25192 del 2016; Cass. n. 14267 del 2006;
Cass. n. 2707 del 2004).

Per di più, la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c. non è dedotta in conformità
dell’insegnamento nomofilattico (v. Cass. n. 11892 del 2016) che, a proposito
dell’articolo 115 c.p.c., indica che la
violazione “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando
che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola
contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte
dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi
riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte
dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto
che ad altre”.

3. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Nulla per le spese in difetto di attività difensiva
degli intimati.

Occorre invece dare atto della sussistenza dei presupposti
processuali di cui all’art. 13, co.
1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla pel le spese.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

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