Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 novembre 2019, n. 30558
Licenziamento per giusta causa, Prassi irregolare instaurata
nella procedura di aggiudicazione delle gare, Criterio della diligenza
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 1306/2018, pubblicata il 22
febbraio 2018, la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione di
primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede aveva dichiarato
illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato, con lettera del
9/6/2016, a F.A. da H. I. S.r.l. a motivo della conoscenza, da parte del
lavoratore, della prassi irregolare instaurata nella procedura di
aggiudicazione delle gare aventi ad oggetto la riparazione dei veicoli
aziendali e per avere contribuito allo svolgimento delle stesse e al
conseguente affidamento dei lavori.
2. La Corte ha rilevato, a sostegno della propria
decisione, in primo luogo, la difformità tra la contestazione, sulla base della
quale il licenziamento era stato disposto, e la difesa giudiziale del datore di
lavoro, che aveva ampliato indebitamente la portata dell’addebito disciplinare
aggiungendo l’elemento ulteriore della mancata denuncia dell’attività
fraudolenta; ha, in ogni caso, ritenuto che nessun rimprovero potesse essere
rivolto al lavoratore, sul rilievo che il compito di vigilare sulla corretta
procedura di affidamento delle gare e di riferire alla direzione aziendale
eventuali irregolarità riscontrate spettava al suo superiore gerarchico e che
era stato proprio e solo quest’ultimo a gestire e organizzare in tutte le sue
fasi la procedura, senza che all’A. fosse attribuibile alcun comportamento
colposo in grado di agevolarne l’attuazione né fosse dal medesimo esercitata
alcuna mansione che vi potesse influire: premesse sulle quali riteneva
condivisibile la decisione del primo giudice di applicare la tutela di cui all’art. 18, comma 4, I. n. 300/1970.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione la società con due motivi, cui ha resistito il lavoratore con
controricorso.
4. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione e
falsa applicazione dell’art. 7
e dell’art. 18, comma 4, I. n.
300/1970 per avere la Corte erroneamente ritenuto che la lettera di
contestazione disciplinare avesse ad oggetto soltanto la conoscenza del sistema
alterato di affidamento degli incarichi di riparazione e manutenzione delle
vetture mentre essa comprendeva anche l’addebito al lavoratore di avere omesso
di denunciare tale sistema ai superiori gerarchici e, di conseguenza,
erroneamente ritenuto che il datore di lavoro, ponendo alla base del
licenziamento l’omessa denuncia, ne avesse indebitamente ampliato il contenuto.
2. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione
e falsa applicazione degli artt. 2119, 2104, 2105, 2106, 1175 e 1375 cod. civ. e degli artt.
115 e 116 cod. proc. civ., nonché dell’art. 18 I. n. 300/1970, per
avere la Corte escluso che il lavoratore fosse tenuto alla denuncia, posto che
le comunicazioni di posta elettronica dallo stesso ricevute (per conoscenza),
rivelatrici della irregolarità della procedura di aggiudicazione, erano
conosciute anche dal suo diretto superiore gerarchico, senza peraltro
considerare la maggiore ampiezza degli obblighi di diligenza e di fedeltà che
fanno capo a qualunque lavoratore, in relazione ai doveri di buona fede e
correttezza nell’esecuzione del contratto, e senza esaminare il Codice Etico
interno dell’azienda, recepito espressamente dall’A. al momento dell’assunzione
e contenente specifiche previsioni, anche di carattere procedurale, per il caso
del dipendente che fosse informato di eventuali infrazioni da parte di
colleghi.
3. Il ricorso è fondato e deve essere accolto nei
termini di seguito precisati.
4. Secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza
di questa Corte rispetto ai contratti ma che possono trovare applicazione anche
nell’interpretazione degli atti unilaterali, la contestazione svolta in sede di
legittimità non può limitarsi a prospettare una interpretazione alternativa
della dichiarazione unilaterale, fondata sulla valorizzazione di talune
espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare
elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal
giudice del merito, cui l’attività di interpretazione dell’atto è riservata
(Cass. n. 15471/2017).
5. E’ stato inoltre affermato che, in tema di
ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione
al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al
giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di
violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ.; con la
conseguenza che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito
riferimento alle regole legali di interpretazione mediante la specifica
indicazione delle norme, che assume violate, e dei principi in esse contenuti,
ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il
giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass. n.
27136/2017).
6. Tali principi trovano applicazione nel caso di
specie, ove la ricorrente, senza prospettare la violazione dei canoni di
ermeneutica negoziale, si limita ad offrire una lettura alternativa della
lettera di contestazione disciplinare rispetto a quella svolta dalla Corte di
merito, senza adeguatamente censurare, in particolare, l’affermazione contenuta
nella sentenza impugnata (p. 3), secondo la quale l’unica condotta addebitata
al dipendente era “soltanto la conoscenza” del sistema irregolare di
aggiudicazione degli incarichi.
7. Ciò posto, e fermo, pertanto, l’accertamento
compiuto in sede di merito circa il contenuto della lettera di contestazione,
si deve rilevare come la Corte abbia omesso di verificare se il comportamento
del dipendente, il quale, pur senza cooperarvi, abbia conoscenza e assista alla
realizzazione di condotte che ledono l’interesse dell’impresa, possa integrare
la nozione legale di giusta causa ex art. 2119 cod.
civ., avuto riguardo agli obblighi di diligenza e di fedeltà previsti per
il lavoratore dagli artt. 2104 e 2105 cod. civ.: obblighi il cui inadempimento deve
essere valutato, sotto il profilo della gravità e della idoneità a ledere in
modo irreparabile il vincolo fiduciario, alla stregua di un’attenta e
approfondita considerazione delle circostanze del caso concreto, ivi comprese
direttive o disposizioni del datore di lavoro, o norme interne, volte ad
impedire il compimento di tali condotte lesive o la loro reiterazione.
8. Giova peraltro ribadire, su un piano generale e
alla luce di consolidati esiti interpretativi, come il criterio della diligenza
non debba essere commisurato soltanto al tipo di attività che è oggetto della
prestazione, alle mansioni e alla qualifica professionale del dipendente, ma
debba correlarsi, in una prospettiva più ampia che travalichi i caratteri
dell’attività lavorativa in senso stretto, all’interesse dell’impresa (art. 2104 cod. civ.) e, pertanto, sia alle
esigenze di organizzazione della struttura, in cui il rapporto si inserisce,
sia all’interesse datoriale al suo corretto funzionamento; come soprattutto
deve ribadirsi, con riferimento all’ambito di applicabilità dell’art. 2105 cod. civ., il principio di diritto,
secondo il quale dal collegamento dell’obbligo di fedeltà “con i principi
generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175
e 1375 cod. civ. deriva che il lavoratore deve
astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dal suddetto art. 2105, ma anche da qualsiasi altra condotta
che, per la natura e per le sue possibili conseguenze, risulti in contrasto con
i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e
nell’organizzazione dell’impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità
e gli interessi della medesima o sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente
il presupposto fiduciario del rapporto” (Cass.
n. 6957/2005, fra le molte conformi).
9. E’, inoltre, del tutto consolidato, nella
giurisprudenza di questa Corte, il principio, secondo il quale, al fine di
stabilire se sussista la giusta causa di licenziamento e se sia stata
rispettata la regola (art. 2106 cod. civ.)
della proporzionalità della sanzione, occorre accertare in concreto se – in
relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla
posizione che in esso abbia avuto il prestatore d’opera e, quindi, alla qualità
e al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava – la
specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel
suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con
riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è posta in essere,
ai suoi modi, ai suoi effetti e all’intensità dell’elemento psicologico
dell’agente, risulti idonea a ledere in modo grave, così da farla venir meno,
la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente e tale,
quindi, da esigere l’applicazione di una sanzione non minore di quella massima
(cfr. in tal senso, fra le più recenti, Cass. n.
12798/2018).
10. Ne consegue che l’impugnata sentenza n.
1306/2018 della Corte di appello di Napoli deve essere cassata e la causa
rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla
stessa Corte in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame
della fattispecie, avrà cura di compiere l’indagine sopra delineata sub 7 e di
applicare i principi di diritto richiamati sub 8 e 9.
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione;
cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello
di Napoli in diversa composizione.