Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 novembre 2019, n. 30672
Fondazione ENASARCO, Pretesi contributi previdenziali,
Contratto di agenzia e contratto di procacciamento d’affari, Differenze,
Continuità del rapporto, Ripetitività e frequenza, Qualificazione del
rapporto in termini di rapporto di agenzia
Rilevato che
1. il Tribunale di Roma accoglieva il ricorso in
opposizione proposto dalla s.r.l. S. avverso il decreto ingiuntivo con il quale
era ordinato a quest’ultima il pagamento, in favore della Fondazione ENASARCO,
di euro 23.125,19 per pretesi contributi previdenziali in relazione al periodo
2002-2007;
2. con sentenza del 7.4.2015, la Corte d’appello
capitolina, in accoglimento del gravame dell’Enasarco ed in riforma della
gravata sentenza, rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo come proposta
dalla società S., rilevando che, alla luce delle differenze esistenti tra
contratto di agenzia e contratto di procacciamento d’affari, quali delineate
dalla giurisprudenza di legittimità, nel caso all’esame doveva ritenersi
documentato che il rapporto avesse avuto una durata rilevante (dal 2002 al
2007) e che la fatture relative agli anni in questione, relative a provvigioni
corrisposte quasi ogni mese per cifre da un minimo di € 2500,00 ad € 9000,00,
comprovavano che l’impegno profuso era stato caratterizzato da stabilità e
continuità, da ciò dovendo evincersi un programma delineato dalla parti
all’inizio del rapporto finalizzato ad significativo impegno continuativo,
diverso dall’impegno episodico e liberamente gestibile del procacciatore
d’affari;
2.1. la Corte osservava, in particolare, che la
copiosa documentazione relativa all’attività svolta da B. A. per la società
dimostrava che la stessa aveva percepito provvigioni maturate costantemente senza
soluzione di continuità e che il numero degli importi percepiti, nonché i
riferimenti temporali delle stesse attestavano la continuità del rapporto,
caratterizzata non da mera periodicità degli incarichi, ma da consistente
ripetitività e frequenza, tanto da divenire un’apprezzabile fonte di stabile
guadagno e rilevante fonte di reddito;
2.2. il giudice del gravame perveniva alla
qualificazione del rapporto in termini di rapporto di agenzia in forza della
rilevata sussistenza di un vero e proprio obbligo di stabile promozione di
affari, ritenendo irrilevanti il nomen iuris assegnato dalle parti al
contratto, la mancanza di assegnazione di una specifica zona di espletamento
dell’incarico, potendo lo stesso, in assenza di specificazione, essere svolto sull’intero
territorio nazionale;
2.3. tali osservazioni, fondate sull’esame della
documentazione prodotta, rendevano, secondo la Corte, non necessario
l’espletamento di prova orale ed il decreto ingiuntivo andava confermato per
l’importo indicato, essendo state le singole voci contestate solo
genericamente;
3. di tale decisione domanda la cassazione la
società S., affidando l’impugnazione a due motivi, illustrati nella memoria
depositata ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c.,
cui resiste, con controricorso, la Fondazione Enasarco.
Considerato che
1. con il primo motivo, la società denunzia errata
applicazione della normativa di cui all’art. 1742
c.c. e ss. al contratto de quo, mancanza dell’elemento essenziale e
discretivo della stabilità, sostenendo che la Corte abbia attribuito una
rilevanza errata e comunque insufficiente ad elementi di fatto accertati in
corso di procedimento, qualificando il contratto ex art.
1742 c.c. in modo assolutamente presuntivo e sulla scorta della asserita
rilevata continuità, giusta la fatturazione dispiegatasi tra il 2002 ed il
2007, il che doveva ritenersi in contrasto con il dettato della norma e della
giurisprudenza di legittimità;
1.1. osserva come tra i caratteri distintivi della
agenzia figuri non solo quello della continuità, ma anche quello della
stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti
per conto del proponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale, e
rileva come la Corte di appello abbia conferito rilevanza al solo requisito
della continuatività della fatturazione della B. a La S., senza considerare la
doverosità dell’adempimento, espressione di un vero e proprio obbligo giuridico
di adempimento della prestazione da parte della stessa, che doveva soddisfare
un’esigenza duratura delle parti (in particolare l’esigenza del preponente di
potere contare, con certezza giuridica, sulla costante collaborazione per
potere conseguire nel tempo i risultati economici connessi all’introduzione nel
mercato dei propri prodotti);
1.2. assume che la Corte d’appello abbia qualificato
il rapporto come di agenzia anche non rilevando nei documenti alcuna traccia
della stabilità intesa come obbligatorietà del comportamento della B. ed
osservanza di un impegno contrattuale, esulante dall’attività svolta dal
procacciatore, caratterizzata da occasionalità nella promozione degli affari,
pur potendo la stessa essere connotata da periodicità che equivale a
continuità;
1.2 in conclusione, sostiene che la Corte abbia
equiparato erroneamente il concetto di stabilità della fonte di reddito del
libero procacciatore con il concetto di stabilità inteso quale adempimento di
un obbligo giuridico nel reperire ordinativi commerciali e che gli elementi
ontologicamente indefettibili dell’agenzia sarebbero stati riscontrati in modo
errato;
2. con il secondo motivo, la ricorrente deduce quale
violazione di legge la omessa rilevazione del mancato assolvimento dell’onus
probandi da parte della Fondazione Enasarco in ordine alla riqualificazione del
nomen iuris, adducendo un’illegittima inversione dell’onere della prova
attraverso il ricorso alle presunzioni, con un favor probatorio per l’Enasarco;
3. con riferimento al primo motivo, è necessario
avere riguardo ai confini del sindacato di legittimità sulla qualificazione del
rapporto di lavoro operata dai giudici di merito quale precisati da consolidata
giurisprudenza, secondo cui, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro,
è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri
generali e astratti da applicare al caso concreto, cioè l’individuazione del
parametro normativo, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale
censurabile in sede di legittimità solo negli stretti confini dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. nel nuovo testo
applicabile ratione temporis, la valutazione delle risultanze processuali al
fine della verifica di integrazione del parametro normativo, (cfr. Cass., n. 17009 del 2017; Cass., n. 9808 del 2011; Cass., n. 13448 del
2003; Cass., n. 8254 del 2002; Cass., n. 14664 del 2001; Cass., n. 5960 del
1999);
3.1. la Corte d’appello ha correttamente individuato
gli elementi indiziari dotati di efficacia probatoria sussidiaria ai fini della
qualificazione giuridica del rapporto di lavoro (periodicità dei pagamenti
rilevabile dalle fatture per compensi provvigionali emesse mensilmente per un
lungo arco temporale, che evidenziava un programma delineato dalle parti
all’inizio del rapporto per un significativo impegno continuativo, comprovato
dalla ripetitività e frequenza degli incarichi, fonte di costante guadagno,
sintomo anch’esso di stabilità), tenuto conto dei parametri normativi del
rapporto di agenzia e del discrimine tra questo e il rapporto di procacciamento
di affari, richiamando ampia e condivisa giurisprudenza di legittimità sul
punto;
3.2. la sentenza impugnata risulta essersi
conformata ai principi di diritto enunciati da questa Corte e non merita le
critiche che le vengono mosse col motivo di ricorso in esame che, nella parte
in cui muove censure dirette, nella sostanza mira a sollecitare una
rivalutazione, in senso favorevole alla società, del materiale probatorio
raccolto e come tale risulta inammissibile, a maggior ragione alla luce del
nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.,
come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. S.U. n. 8053 del 2014 e, da ultimo, per i
principi enunciati, Cass. 1.3.2019 n. 6151);
4. quanto al secondo motivo, è sufficiente osservare
che non vi è spazio per configurare la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., avendo la Corte d’appello
correttamente addossato ad Enasarso l’onere probatorio e che i rilievi mossi
investono la valutazione delle L prove e degli elementi indiziari posti a base
della decisione, ciò che ne rende evidente l’inammissibilità in questa sede,
per considerazioni analoghe a quelle svolte con riferimento al precedente
motivo;
5. in conclusione, il ricorso va complessivamente
respinto;
6. le spese del presente giudizio seguono la
soccombenza e sono liquidate in dispositivo;
7. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115
del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro
200,00 per esborsi, euro 4500,00 per compensi professionali, oltre accessori di
legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato
D.P.R..