Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 novembre 2019, n. 30578
Infortunio sul lavoro, Risarcimento del danno, Nozione di
danno biologico, Danno patrimoniale, Liquidazione
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 260 del 2011 il Tribunale di
Forlì condannò la M. Spa a pagare a G.G. la somma complessiva di euro
167.290,00, oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo, quale risarcimento
del danno subito dal dipendente in seguito all’infortunio sul lavoro occorso in
data 4 giugno 2004.
2. Avverso tale sentenza proposero appello sia la
società, in via principale, sia il lavoratore, in via incidentale.
La M. Spa, con un primo motivo, lamentò l’erroneo
riconoscimento del danno “meramente emotivo e transitorio” (euro
18.000,00) e, con un secondo mezzo, l’erroneo riconoscimento del danno
patrimoniale da perdita di chance (euro 50.000,00).
Il G. invece formulò le seguenti censure: (I)
erronea liquidazione del danno biologico permanente, avendo il Tribunale
applicato la formula di Balthazard; (II) erronea quantificazione del danno
morale, liquidato in termini insufficienti e simbolici; (III) mancata
personalizzazione del danno biologico ed omesso riconoscimento del danno
esistenziale; (IV) erronea detrazione di quanto erogato dall’Inail.
3. Con sentenza del 5 marzo 2015 la Corte di Appello
di Bologna ha dichiarato parzialmente fondati entrambi gli appelli e
precisamente il primo ed il secondo motivo del gravame della società ed il
primo motivo dell’appello del lavoratore; conseguentemente, in parziale riforma
della pronuncia di primo grado, ha liquidato il danno in euro 60.385,54 (già
detratta la somma di euro 65.000,00 erogata dall’azienda in corso di causa),
“oltre ad interessi legali dal dovuto al saldo”, rigettando la
domanda del G. “avente ad oggetto il danno da riduzione della capacità di
lavoro specifica”.
4. La Corte territoriale, “alla luce della
rinnovata CTU”, ha stimato che “il danno biologico permanente subito
dal G. a seguito dell’infortunio de quo è complessivamente del 33% (25% la
menomazione di ordine fisico accresciuta in considerazione del danno
psichico)”, per cui ha liquidato il danno, in base alle tabelle milanesi
del 2011, in euro 173.906,00.
“Poiché nella suddetta liquidazione è compresa
anche la componente morale e relazionale dell’evento lesivo”, la Corte ha
aggiunto “di non dovere disporre l’aumento per la cd. personalizzazione
(prevista fino al 26%), non ravvisando nel caso concreto un pregiudizio
ulteriore o diverso, anche in relazione al preteso danno esistenziale, subito
dall’infortunato”.
Secondo la Corte bolognese “gli aspetti
sottolineati dall’attuale appellante incidentale per ottenere ‘il danno
esistenziale quanto meno nella sua forma di personalizzazione del danno
biologico’ sono stati valutati insieme alle lesioni strettamente fisiche
(pregiudizio alla salute nella misura complessiva del 33%), e quindi se ne è
tenuto conto nel punto del danno non patrimoniale. Pertanto, in mancanza di
specifica prova di un danno aggiuntivo (o di una differente voce autonoma)
rispetto a quello subito da un soggetto della stessa età per il medesimo grado
di menomazione (le istanze istruttorie non sono state reiterate in questa
sede), deve ritenersi congrua la liquidazione effettuata secondo i parametri
dettati dal Tribunale di Milano”.
Indi la Corte ha detratto la somma erogata
dall’Inail a titolo di danno biologico, pari ad euro 73.270,46, per un importo
finale pari ad euro 100.635,54, oltre euro 24.750,00 per poste risarcitone
sulle quali si era già formato il giudicato.
5. Quanto al danno patrimoniale la Corte
territoriale ha riformato la pronuncia di primo grado nella parte in cui aveva
liquidato la somma di euro 50.000,00 per la perdita di chance, benché il
Tribunale avesse ritenuto “comprovata la conservazione del reddito da
lavoro”, con affermazione “non … oggetto di specifica censura da
parte dei lavoratore”.
Per la Corte di Appello in proposito “difetta
… qualsiasi allegazione – e quindi prova – dei danni derivanti dalla perdita
di chance, intesa come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire
un determinato bene che, a causa dell’infortunio in oggetto, gli è stata
preclusa”.
6. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto
ricorso G.G., con 5 motivi, cui ha resistito la M. Srl (in cui è stata fusa per
incorporazione la M. Srl, già Spa) con controricorso.
Parte ricorrente ha anche comunicato memoria ex art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. I motivi di ricorso possono essere come di
seguito sintetizzati.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia
“violazione art. 2059 c.c., in combinato
disposto con artt. 1226, 2087 c.c. nonché con artt.
2, 4, 29, 30, 32, 35 Cost., per omessa distinta valutazione del
danno esistenziale rispetto al danno psichico e comunque per difetto di
personalizzazione del danno biologico (art. 360, n.
3, c.p.c.)”.
Si lamenta l’errata liquidazione della Corte di
Appello che avrebbe “ritenuto ordinariamente ricompreso nel danno
biologico anche il danno alla vita familiare e sociale (cd. danno relazionale o
esistenziale) … ed omesso di adeguare, mediante la personalizzazione, il
risarcimento del danno biologico ai reali pregiudizi determinati
dall’infortunio”.
Pregiudizi che sarebbero emersi “nella
relazione psichiatrica del dott. A.A. svolta nel primo grado del
giudizio”, che descriverebbe “gli effetti del danno non riguardanti
l’individuo in sé e per sé, ma quelli determinati su uno specifico individuo
… caratterizzato da una sua dimensione familiare, sociale e lavorativa”.
1.2. Il secondo motivo denuncia “violazione artt. 1223, 1226, 2056, 2059, 2087 c.c. in combinato disposto con art. 5, DPR n. 37/2009 e con gli artt. 2, 3, 4 e 32 Cost. (art. 360 n. 3 c.p.c.)”, per avere
erroneamente ritenuto il danno morale come una componente del danno biologico.
Si oppone che “il danno morale non costituisce
una componente interna di quello biologico poiché da questo ontologicamente si
distingue”, per cui dovrebbe essere “risarcito con valutazione
separata”, mentre nella specie alcun importo sarebbe stato liquidato a
tale titolo.
Si deduce che dalle consulenze tecniche d’ufficio
espletate in corso di causa risulterebbe, in conseguenza dell’infortunio patito
dal G., “una modalità afflittiva del dolore niente affatto ‘normale’ né
standardizzata (come invece risulta dalle tabelle milanesi), ed essendo in atti
la prova della sua esistenza e dimensione, con vissuti anche di vergogna in
ambiente sociale, famigliare e lavorativo, il danno morale, anche in relazione
alle modalità del fatto illecito (costituente reato e quindi contemplato anche
dall’art. 185 c.p.) doveva trovare …
integrale riparazione”.
1.3. Con il terzo motivo si denuncia
“violazione dell’art. 2729 c.c., in
combinato disposto con artt. 1223, 1226, 2056, 2087 c.c. nonché con gli artt. 3, 4, 32, 36 Cost. per
denegata presunzione del danno da perdita di capacità lavorativa specifica (art. 360 n. 3 c.p.c.)”, quanto meno nella
forma di perdita di chance.
Si eccepisce che il giudice nel valutare il danno
patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, può avvalersi di
presunzioni semplici, anche derivanti dalla riduzione della capacità di lavoro
specifica di non lieve entità (nella specie accertata dal CTU nella misura del
17%), per cui la Corte bolognese avrebbe errato a negare “l’inevitabile
accertamento causale, secondo la regola del più probabile che non,
dell’impossibilità del lavoratore di poter sviluppare la propria
professionalità e di accedere al lavoro in condizioni di piena integrità”.
1.4. In subordine rispetto al motivo che precede,
con il quarto mezzo si denuncia “omesso esame di un fatto decisivo,
oggetto di discussione tra le parti, per mancata disamina e considerazione
dell’accertata riduzione della capacità lavorativa specifica risultante dagli
atti processuali (art. 360 n. 5 c.p.c.)”.
Si sostiene che la Corte di Appello avrebbe omesso
di valutare la riduzione della capacità lavorativa specifica del G. accertata
dalla CTU in grado di appello nella misura del 17%, “con impossibilità a
svolgere le sue mansioni precedenti di operaio specializzato … con
conseguente perdita anche della professionalità, risultata così amputata, e
possibilità di accedere ad altre e più appaganti opzioni lavorative”.
1.5. Con il quinto motivo si denuncia
“violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver
pronunciato su interessi, rivalutazione e loro decorrenza, nonché su altri
punti non oggetto di impugnazione (art. 360 n. 4
c.p.c.)”.
Si eccepisce che la sentenza impugnata avrebbe
calcolato gli accessori sugli importi liquidati in modo differente rispetto
alla sentenza di primo grado, nonostante non vi fosse alcun gravame sul punto
con conseguente formazione di un giudicato interno.
In secondo luogo la Corte bolognese avrebbe
“detratto dall’importo risarcitorio civilisticamente calcolato per danno
biologico da invalidità permanente quello di cui all’attestazione INAIL del
16.3.2011 che, capitalizzato, corrisponderebbe ad euro 73.270,46, riformando
anche qui (implicitamente) senza alcuna censura sul punto la sentenza di primo
grado che invece aveva detratto l’importo di euro 54.102,00”.
Infine, “ancora si censura la sentenza per
aver, sempre in assenza di domanda alcuna da parte dell’appellante principale,
rideterminato complessivamente il danno biologico da invalidità permanente
detraendo poi i vari importi ricevuti a titolo di acconto e dall’INAIL nella
misura anzidetta”.
2. I primi due motivi, da valutarsi congiuntamente
per connessione, non possono trovare accoglimento.
Invero l’ordinamento riconosce la categoria del
danno patrimoniale (art. 1223 c.c.) e quella
del danno non patrimoniale (artt. 2059 c.c., 185 c.p.).