Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 novembre 2019, n. 30865
Licenziamento collettivo, Violazione procedurale, Inoltro
comunicazione ex art. 4, co. 9,
L. 223/1991, oltre il termine di 7 giorni, Tutela indennitaria contenuta
nel limite di 12 mensilità, Violazione dei criteri di scelta dei lavoratori,
Scelta del personale da effettuarsi su tutto il complesso aziendale, Non
sussiste, Infungibilità del profilo professionale
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 5910 del 19.12.2017 la Corte
d’appello di Roma, pronunziando in sede di reclamo, in riforma della sentenza
di primo grado, ha dichiarato risolto, alla data del 23.6.2015, il rapporto tra
F.R. s.r.l. e L.C., Responsabile dell’Ufficio Marketing, e, “fatto salvo
l’eventuale pagamento già avvenuto” ha condannato la società al pagamento di 12
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi al tasso
legale dalla data del licenziamento sul capitale rivalutato, respingendo ogni
ulteriore domanda del C..
2. La Corte territoriale ha ritenuto che il
licenziamento intimato ex lege n. 223 del 1991
al C. – avvenuto, pacificamente, senza comparazione con altri lavoratori e per
essere questi titolare di funzione aziendale complessa e di professionalità
infungibile – risultava affetto esclusivamente da violazione procedurale
rappresentata dall’avvenuto inoltro della comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, legge n. 223 del
1991 oltre il termine di sette giorni, ma non anche, come invece ritenuto
dal giudice dell’opposizione, dalla violazione dei criteri di scelta dei
lavoratori (consistente, secondo la pronuncia reclamata, nella illegittima
limitazione della scelta del personale in esubero al solo Ufficio Marketing,
senza comparazione con gli altri lavoratori dell’azienda). In ordine a questo
ultimo profilo, la Corte territoriale ha ulteriormente sottolineato, che alla
stregua della citata giurisprudenza di legittimità – Cass. nn. 12095 del 2013 e
Cass. n. 19320 del 2016 – la incompiutezza
formale della comunicazione non ridondava in violazione dei criteri di scelta.
In conseguenza, non trovava applicazione la tutela reintegratoria ma la sola
tutela indennitaria contenuta nel limite di dodici mensilità in ragione della
tenuità della violazione procedurale riscontrata ed in assenza di elementi a
sostegno di una diversa determinazione.
3. Per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso il sig. C. sulla base di tre motivi; la società intimata ha resistito
con controricorso. La causa, fissata per l’Adunanza camerale del 30.4.2019, è
stata rinviata in pubblica udienza non essendo stati rinvenuti i presupposti
per la trattazione in sede camerale. Entrambe le parti hanno depositato
memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente
deduce, ai sensi dell’art. 360,comma 1 nn. 3 e 5,
cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, legge n. 223 del
1991, anche in relazione all’art.
5, comma 3, legge n. 223 del 1991 per mancata applicazione del regime
sanzionatorio di cui all’art.
18, comma 4 Legge n. 300 del 1970 e successive modificazioni ed
integrazioni nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto
di discussione fra le parti.
1.2. Sotto il profilo dell’errore di diritto il
ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto consentita la
restrizione (al reparto) della platea dei lavoratori da prendere in
considerazione al fine della comparazione da compiere in funzione della
individuazione dei lavoratori da licenziare sulla base dei criteri legali. A
tal fine evidenzia che, secondo la consolidata elaborazione giurisprudenziale
di legittimità, la limitazione della platea dei lavoratori da licenziare,
rappresenta una deroga al generale criterio rappresentato dalla necessità di
considerare l’intero complesso aziendale e che, in ogni caso, tale limitazione
doveva essere coerente con le esigenze tecnico produttive ed organizzative
rappresentate dal datore di lavoro nella lettera di apertura della procedura la
quale nella specie nulla aveva specificato, al riguardo esprimendosi in termini
generali in relazione all’intera situazione aziendale laddove, come del resto
riconosciuto dalla società nei propri scritti difensivi, la restrizione della
platea era avvenuta solo successivamente. Evidenzia che la mancata indicazione
di tali ragioni nella lettera di apertura era un dato che viziava a monte la
intera procedura con ricadute sulla corretta determinazione dei criteri di scelta.
2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, legge n., 223 del
1991, anche in relazione all’art. 24, comma 1, legge cit..
2.1. Censura, in sintesi, la sentenza impugnata per
avere ritenuto che la possibilità di restrizione della platea dei lavoratori in
relazione ai quali effettuare la riduzione fosse possibile anche in presenza di
articolazioni aziendali sprovviste di indipendenza tecnica ed amministrativa.
3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, legge n., 223 del
1991, anche in relazione all’art.
4, comma 3, legge cit. per mancata applicazione del regime sanzionatorio di
cui all’art. 18 legge n.
300/1970 e successive integrazioni e modificazioni. Deduce, inoltre, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.,
omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussioni fra le parti.
3.1. Censura la sentenza impugnata per avere
ritenuto infungibile la professionalità del C. considerato che un’azienda come
F.R., vista l’impalpabile suddivisione in presunte articolazioni funzionali,
dovevano considerarsi fungibili, a prescindere dall’immotivata ed illegittima
restrizione della platea, tutti i lavoratori impiegati quanto meno all’interno
di macro aree fungibili (commerciale/comunicazione, manutentiva,
amministrativa/logistica). La professionalità non può essere ricostruita sulla
base del solo inquadramento ma deve essere verificata tenendo conto
dell’insieme delle conoscenze e delle attitudini del lavoratore. Sotto il
profilo dell’omesso esame il ricorrente denunzia che le risultanze probatorie,
se attentamente esaminate, dovevano condurre il giudice ad una sostanziale
compenetrazione delle funzioni e delle competenze del C. nella più vasta area
“commerciale” di F.R..
4. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, che
possono essere trattati congiuntamente in quanto logicamente e giuridicamente
connessi, non sono fondati.
4.1. La sentenza impugnata ha ritenuto non
condivisibile la valutazione della sentenza di primo grado secondo cui, presentando
Fiera Roma un unico complesso aziendale, di per sé indivisibile in singoli
reparti dotati di autonomia strutturale ed operativa, la mancata comparazione
del C. con altri lavoratori in organico costituiva di per sé solo violazione
dei criteri di scelta.
La Corte ha premesso che per individuare una
«articolazione dell’azienda» non era necessario che la singola struttura
esaurisse una fase del ciclo produttivo, potendo anche essere solamente una
struttura singolarmente e autonomamente denominata a seguito di approfondita
istruttoria, ha attribuito valore determinante al compiuto accertamento della
infungibilità del profilo professionale del C.; ha, infine, ritenuto che la
mancata motivazione, nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 9 della legge n. 223
del 1991, delle ragioni che consentivano di limitare la scelta del
personale in esubero al solo reparto Marketing (di cui il C. era responsabile)
– senza comparazione con tutti i dipendenti dell’azienda, come prefigurato
nella comunicazione di apertura della procedura di mobilità – si risolvesse in
un (mero) vizio procedurale, che non ridondava nella violazione dei criteri di
scelta (con conseguente esclusione della tutela reintegratoria).
4.2. La pronuncia, appare conforme alla
giurisprudenza elaborata da questa Corte.
La Corte territoriale, pur affermando un criterio di
individuazione dell’articolazione aziendale nell’ambito della quale delimitare
la scelta del personale in esubero che si discosta parzialmente
dall’orientamento consolidato, ha comunque verificato che la mansione del C.
era incompatibile (in quanto infungibile) con l’attività dei dipendenti di
tutti gli altri reparti (in particolare, con il reparto Exhibition manager), ed
ha concluso che – per la posizione di questo lavoratore – la comparazione con i
lavoratori di tutto il complesso aziendale non avrebbe modificato la
graduatoria del personale in esubero e non avrebbe, quindi, consentito di
evitare il licenziamento di questo lavoratore.
Questa Corte ha, da una parte, già affermato che la
(mera) violazione della procedura, quale vizio formale, comporta la tutela
indennitaria (Cass. n. 12095 del 2016, Cass. n. 2587 del 2018).
D’altra parte, altre pronunce, in coerenza (e
specularmente) con l’orientamento citato, hanno puntualizzato che va, peraltro,
applicata la tutela reintegratoria quando il vizio formale ridondi in un vizio
sostanziale sui criteri di scelta. In particolare, con riguardo ai più recenti
arresti, che si presentano analoghi alla fattispecie in esame, Cass. n. 22718
del 2018 ha valutato il caso dell’indicazione, nella comunicazione di apertura,
della scelta del personale da effettuarsi su tutto il complesso aziendale, con
successiva concentrazione della scelta solamente su singoli reparti; questa
Corte, rilevando che non ricorrevano le condizioni per delimitare la scelta
solo su alcuni reparti e che i lavoratori, licenziati, addetti a quei reparti
erano in realtà idonei (per l’acquisita professionalità) ad occupare le
posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, ha sottolineato che
vi era stata la violazione dei criteri di scelta, perché la mancata
comparazione su tutto il complesso aveva prodotto l’errata applicazione dei
punteggi e l’errata elaborazione della graduatoria, con conseguente scelta
fuorviante del personale in esubero. In senso analogo, Cass. n. 20502 del 2018,
ove l’accertata ingiustificata limitazione della scelta dei lavoratori a singoli
reparti (anziché a tutto il complesso aziendale) ha comportato una errata
modalità di applicazione dei punteggi ai lavoratori (punteggi applicati
solamente a coloro che appartenevano al reparto prescelto, con esclusione di
tutti gli altri lavoratori, con conseguente graduatoria falsata dal numero
ristretto della platea); del pari, Cass. n. 19010
del 2018 ha affermato che la mancata indicazione delle regole sulla base
delle quali dovevano operare i criteri legali in concorso tra loro, impediva di
verificare il corretto uso del potere datoriale e si era, in concreto, tradotta
in una illegittima applicazione dei criteri di scelta, connotatasi nell’erronea
individuazione del lavoratore da licenziare con particolare riguardo al
criterio dell’anzianità di servizio.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha
verificato che non vi è stata nessuna violazione dei criteri di scelta, in
quanto il C. apparteneva ad una funzione che era stata indicata come superflua
e inoltre – con riguardo al profilo professionale acquisito – gli elementi
istruttori avevano provato che lo stesso svolgeva mansioni infungibili e dunque
non poteva essere comparato con gli altri dipendenti, non potendo essere
collocato in altra posizione lavorativa.
La sentenza impugnata si è, pertanto, conformata
all’orientamento consolidato di questa Corte che, in forza della previsione
dettata dall’art. 5, comma 3,
della legge n. 223 del 1991, applica la tutela indennitaria ai vizi formali
della procedura di mobilità e riserva la tutela reintegratoria ai vizi
procedurali che abbiano in concreto determinato la violazione dei criteri di
scelta, andando a verificare se l’errata determinazione dell’ambito della platea
dei lavoratori si sia risolta in una (conseguente) errata comparazione dei
lavoratori alla stregua dei criteri di scelta (sindacali o legali). Invero, la
regolarità delle comunicazioni di apertura e di chiusura della procedura di
mobilità ha valore determinante non in quanto fine a sé stessa ma perché
funzionale alla garanzia occupazionale nei confronti dei lavoratori.
4.3. La sentenza impugnata è, invece, censurabile
per aver ritenuto che la possibilità di restrizione della platea dei lavoratori
in relazione ai quali effettuare la riduzione sia possibile anche in presenza
di articolazioni aziendali sprovviste di indipendenza tecnico-amministrativa
(cfr., da ultimo, Cass. n. 5373 del 2019, che
ribadisce come la riduzione del personale debba, in linea generale, investire
l’intero ambito aziendale, potendo essere limitato a specifici rami d’azienda
soltanto se caratterizzati da autonomia e specificità delle professionalità
utilizzate) ma tale profilo non esplica valore rilevante ai fini dell’esito del
giudizio, avendo comunque proceduto, la Corte territoriale, alla disamina
dell’eventuale violazione dei criteri di scelta a danno del C. e essendo
pervenuta ad escludere che la comunicazione (di apertura e chiusura della
procedura di mobilità) si sia risolta in una errata valutazione dei punteggi o
in una errata modalità di applicazione dei punteggi stessi).
4.4. Infine, le pronunce adottate da questa Corte
con riguardo alla medesima procedura di mobilità che ha coinvolto il C. (Cass.,
ord., nn. 21388 e 21468 del 2019) non rappresentano un precedente comparabile
con il caso di specie, essendo pervenute ad una valutazione di inammissibilità
del ricorso in cassazione a fronte di un accertamento, compiuto dal giudice di
merito, del tutto diverso (nella specie, di piena fungibilità delle mansioni
dei lavoratori interessati) da quello a cui è pervenuta la sentenza impugnata.
5. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
La valutazione del giudice del reclamo (in ordine
alla infungibilità del profilo professionale rivestito dal C.) è frutto di
accertamento di fatto che non è incrinato dalle deduzioni svolte che si
riferiscono ad una diversa ricostruzione del fatto sulla base di una diversa
lettura dei documenti di causa.
Si tratta, all’evidenza, di censura inammissibile.
Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della
sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art.
360 cod.proc.civ., nn. 3 e 5 nella parte in cui il giudice del merito ha
accertato, alla luce degli elementi probatori raccolti, la infungibilità delle
mansioni (sulla base dell’inquadramento attribuito e tenuto conto dell’insieme
delle conoscenze e delle attitudini del lavoratore), si induce piuttosto ad
invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come
accertati e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo così all’impugnata
sentenza censure del tutto inammissibili, perché la valutazione delle
risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più
idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati
in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del
proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione
di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre
(pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra
altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza
essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza
processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di
diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360
cod.proc.civ., n. 5 non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto
alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa,
consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo
logicoformale e della correttezza giuridica – delle valutazioni compiute dal
giudice d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del
proprio convincimento valutando le prove, controllandone la logica
attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle
funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (eccezion fatta,
beninteso, per i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal
sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur
denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo
grado, inammissibilmente (perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici
e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova
valutazione di risultanze di fatto (cfr. Cass. S. U., n. 26242 del 2014).
6. In conclusione, il ricorso va rigettato e le
spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91
cod.proc.civ.
7. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato previsto dal d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il
ricorso, a norma del comma 1-bis
dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro
200,00 per esborsi nonché in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre
spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso
art. 13.