Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 novembre 2019, n. 30879
Complicanze legate alla malattia professionale, Morte del
lavoratore, Rendita ai superstiti come prestazione previdenziale spettante
iure proprio e non iure successionis, Irrilevante la circostanza che per
l’infortunio o la malattia professionale sia stata già costituita la rendita o
liquidata in capitale all’infortunato, Irrilevante il fatto che l’aggravamento
della malattia sia avvenuto dentro i termini previsti per la revisione della
rendita erogata al de cuius
Rilevato che
la Corte d’appello di Genova con la sentenza n.
518/2017 ha rigettato l’appello proposto da B.R. la quale chiedeva il
riconoscimento della rendita ai superstiti e dell’assegno funerario per la
morte di G.O. deceduto per complicanze legate alla pneumoconiosi, malattia
professionale di cui soffriva in vita.
A fondamento della pronuncia la Corte riteneva che
l’evoluzione peggiorativa dell’originaria malattia professionale di cui era
affetto il de cuius – ritenuta dal CTU principale causa del decesso – era
comparsa ben oltre il termine di 15 anni stabilito per la revisionabilità della
rendita (ovvero solo a partire dal 2007 mentre la rendita era stata
riconosciuta dal 1976). Pertanto, secondo la stessa Corte, benché il diritto
alla rendita ai superstiti sorga autonomamente e per legge in capo agli
interessati, esso trovava necessariamente fondamento sui presupposti dettati
dalla normativa del testo unico 1124/65 ed era
soggetto ai principi fissati dalla stessa normativa, compreso quello per cui
gli aggravamenti, per essere azionabili nei confronti di Inail, dovevano
essersi verificati entro il quindicennio dalla costituzione della rendita,
termine che operava sul piano sostanziale incidendo sull’esistenza stessa del
diritto.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per
cassazione G.P. con un motivo al quale ha resistito l’Inail.
È stata comunicata alle parti la proposta del
giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di
consiglio. L’Inail ha depositato memoria.
Ritenuto che
1.- con l’unico motivo di ricorso viene lamentata la
violazione degli artt. 85, 83
e 137 del testo unico 1124/65
in quanto la sentenza ha affermato che non potesse essere tenuto in
considerazione l’aggravamento della patologia professionale che aveva provocato
il decesso in quanto verificatosi oltre il quindicesimo anno della costituzione
della rendita riconosciuta in vita al de cuius, nonostante la stessa Corte
avesse riconosciuto che il diritto alla rendita ai superstiti sorga
autonomamente ope legis in capo agli interessati e nonostante che l’art. 85 del testo unico 1124
non preveda questa condizione e non richiami espressamente la disciplina di cui
agli artt. 83 e 137 del testo unico; la
Corte genovese aveva pertanto finito per porre dei limiti temporali
all’applicazione dei parametri di cui all’articolo 85 del testo unico
che non si rinvenivano nella stessa norma.
2.- Preliminarmente vanno disattese le plurime
eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa dell’Inail dal momento che
come risulta dalle premesse, ed al contrario di quanto afferma l’Inail, il
ricorso proposto da B. R. indica con precisione le affermazioni della sentenza
che vengono impugnate, avendole persino trascritte al proprio interno. Esso
indica pure le norme ed i principi violati ed esplicita le censure sollevate
avverso la sentenza di secondo grado.
Non ha invece rilievo il modo in cui le stesse
censure vengono fatte valere dal punto di vista grafico (ed in particolare
l’omessa intestazione del motivo); nè rileva che non sia stato indicato in
quale delle 5 ipotesi previste dall’art. 360 va
ricondotto il motivo fatto valere, dal momento che esso è riconducibile in
maniera immediata ed inequivocabile alla violazione di legge prevista nel n. 3,
senza che fosse necessaria l’adozione di formule sacramentali o l’esatta
indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Sez. U. Sentenza n. 17931
del 24/07/2013; Sez. 5 Ordinanza n. 21819 del 20/09/2017; Sez. L, Sentenza n.
25386 del 17/12/2015; Sez. 3, Sentenza n. 4233 del 16/03/2012 Sez. 5 – ,
Ordinanza n. 21819 del 20/09/2017).
2.- Nel merito il ricorso è fondato dal momento che,
tradendo la premessa sull’autonomia della rendita ai superstiti e sul diritto
degli eredi a percepirla iure proprio, la Corte d’appello ha riferito alla
stessa rendita ai superstiti l’istituto della “revisione della rendita per
miglioramento o peggioramento” che è (era) riferibile invece
esclusivamente alla diversa prestazione relativa alla rendita di cui è titolare
lo stesso lavoratore assicurato; ovvero alla rendita già costituita. Secondo l’articolo 83 del T.U.
l’oggetto della revisione è infatti il grado di riduzione dell’integrità
psico-fisica del lavoratore ed il provvedimento di determinazione della misura
della rendita già liquidata.
L’articolo
13 comma 4 del decreto legislativo 38 del 2000 ha poi esteso l’istituto
della revisione anche ai postumi non indennizzabili, talché la revisione si
riferisce oggi anche alle inabilità non in rendita e comprende anche
l’indennizzo in capitale.
3.- La rendita ai superstiti costituisce quindi una
prestazione previdenziale che spetta iure proprio e non iure successionis; il
diritto non appartiene al patrimonio del defunto perché nasce alla morte
dell’assicurato; i titolari sono previsti dalla legge e l’indennità non si
confonde con il patrimonio del defunto; di conseguenza si prescinde dalla
circostanza che per l’infortunio sul lavoro o per la malattia professionale sia
stata già costituita la rendita, ed essa compete nonostante che la rendita sia
stata liquidata in capitale all’infortunato e da questa investita; non è
vincolata dal preesistente accertamento amministrativo dell’esistenza di
postumi invalidanti, trattandosi di un diritto autonomo che prescinde del tutto
dalla titolarità della rendita.
4.- Pertanto il diritto alla rendita ai superstiti
non è condizionato nemmeno dal fatto che l’aggravamento della malattia che ha
cagionato la morte della persona sia avvenuto dentro i termini previsti per
l’istituto della revisione della rendita erogata al de cuius. Tale ultimo
istituto è diretto invece all’adeguamento della rendita goduta in vita dal
lavoratore; e non si confonde con la rendita ai superstiti la quale, come già
detto, prescinde dalla circostanza che per quello stesso evento fosse già stata
costituita o meno la rendita in favore del lavoratore deceduto e pertanto
prescinde pure dal fatto che la stessa rendita fosse stata adeguata o meno in
relazione all’aggravamento che ha cagionato la morte. Nella rendita ai
superstiti l’evento protetto dalla tutela previdenziale è perciò la morte del
lavoratore che secondo una presunzione legislativa crea una situazione di
bisogno per i familiari del defunto, i quali sono i soggetti protetti ed i
titolari del diritto.
5.- L’errore commesso dalla Corte di merito risiede
quindi nella mancata valutazione dell’autonomia delle prestazioni; e più
precisamente nel non aver dato a tale principio corretta applicazione in quanto
il diritto dell’interessato nasce non in funzione di quello riconosciuto al de
cuius ma soltanto in forza di quanto previsto dall’art. 85 del testo unico il
quale richiede unicamente che il decesso sia avvenuto in dipendenza causale con
l’infortunio o la malattia di origine professionale, senza alcun limite
temporale diverso da quello relativo ai termini di decadenza e di prescrizione
stabiliti rispettivamente dagli artt.122 e 112 del t.u.
6.- Il principio si desume con chiarezza dalla
giurisprudenza di questa Corte ed anche dalla sentenza di legittimità
richiamata all’interno della pronuncia impugnata (Cass.
n. 20009/2010) la quale, a proposito della rilevanza “in senso
sostanziale” del periodo massimo delle modificazioni psico-fisiche
suscettibili di essere fatte valere e del diritto ad azionarle entro il
successivo termine di prescrizione, si riferisce — evidentemente – soltanto al
diritto alla rendita del titolare e non a quello degli eredi del lavoratore,
cui la legge conferisce iure proprio lo stesso diritto svincolandolo dai
suddetti termini e condizioni ( ai fini della decorrenza della prescrizione
sentenza n. 1585 del 21/02/1997; ai fini dell’irrilevanza delle modalità delle
prestazioni per infortunio attribuite in vita all’assicurato n .5289 del
29/05/1999, cui adde Cass. 3069/2002; Cass.11745/1997;
Cass. 10533/1996; Cass. 5398/1994).
8.- Per i motivi esposti la sentenza impugnata è
incorsa nelle violazioni denunciate e deve essere quindi cassata. La causa va
rinviata alla stessa Corte d’appello in diversa composizione la quale nella
decisione della stessa si atterrà ai principi di diritto sopra individuati
circa l’autonomia della prestazione in oggetto.
9. La Corte d’appello provvederà inoltre sulle spese
del giudizio di cassazione.
10. – Non sussistono i presupposti per il raddoppio
del contributo unificato ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater D.P.R. n.115
del 2002.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Genova in diversa
composizione.