Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 novembre 2019, n. 30666
Infortunio sul lavoro, Risarcimento del danno, Mancata
assunzione della protezione, Responsabilità, Società assicuratrice per i
danni conseguenti all’infortunio
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 538 depositata il 9.12.2014 la
Corte di appello di Genova – confermando la pronuncia, non definitiva, n. 277
del 2013 del Tribunale di La Spezia e in parziale riforma della pronuncia,
definitiva, n. 380 del 2013 del medesimo Tribunale
– ha accolto la domanda proposta da P.Z. per il
risarcimento del danno (consistente in otalgia da trauma e sindrome da stress a
seguito di scoppio provocato dal distacco della testata di un compressore in
uso per travasare propano da un serbatoio ad un camion cisterna) conseguente
all’infortunio subito in data 8.8.2007 e ha condannato, in solido tra loro, la
società datrice di lavoro B. s.r.l. e la A.A. s.p.a. a risarcire i 3/4 del
danno (detratto quanto corrisposto dall’INAIL), nonché ha condannato la A.A.
s.p.a. a rimborsare le spese affrontate da G.A. (amministratore della società
B.) nel procedimento penale instaurato nei suoi confronti per il decesso, nel
corso del medesimo infortunio, del dipendente M.C., respingendo la medesima
domanda avanzata dalla società B.; infine, ha respinto le domande formulate da
A.A. nei confronti della società A.V. di G.E.V. & C. s.a.s. e di G.V. in
proprio, agente stipulante la polizza assicurativa per conto della A.A., e
della chiamata CNA I. L. C. nonché ha disposto l’estromissione dal giudizio di
A.E.G..
2. La Corte distrettuale, per quel che interessa, ha
accertato la responsabilità, ex art. 2087 cod.civ., della società datrice di
lavoro rilevando la mancata assunzione della protezione consistente
nell’installazione di un c.d. barilotto trappola (un tipo di compressore,
esistente sul mercato già dalla fine degli anni ottanta, che in caso di
pericolo va in blocco anziché esplodere), ritenendo addebitabile, nella misura
di 1/4, l’infortunio allo stesso Z., che aveva imprudentemente proceduto a
svuotare il compressore del liquido e, per svuotare il tubo della fase gas che
portava al compressore, aveva avvicinato un’autocisterna al punto di travaso
mettendo in moto il compressore; la Corte, a seguito di interpretazione – nel
suo complesso – di tutte le clausole della polizza stipulata tra la società B.
e la A.A. e ritenuto versato il premio pattuito per le garanzie prestate, ha,
inoltre, ritenuto estesa la garanzia alla responsabilità (oltre che verso i
terzi altresì) nei confronti degli operai del datore di lavoro (considerata la
clausola I) delle condizioni particolari della polizza che prevedeva
espressamente l’estensione della garanzia alla responsabilità nei confronti dei
propri operai), con conseguente condanna della società assicuratrice per i
danni conseguenti all’infortunio, anche con riguardo alla responsabilità
invocata dallo Z. nei confronti dell’amministratore della società, G.A..
3. Avverso la detta sentenza la società A.A. s.p.a.
ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque, illustrati da memoria. La
società B., s.r.l. e G.A. resistono con controricorso, proponendo altresì
ricorso incidentale fondato su un unico motivo, illustrato da memoria. G.E.V.
nonché le società A.V. s.a.s., CNA Insurance Limited Company, A.E.G. resistono
con distinti controricorsi. La società A.V. s.a.s. ha depositato memoria. P.Z.
è rimasto intimato.
Ragioni della decisione
1. Con i primi due motivi di ricorso principale si
denunzia violazione degli artt. 2043 cod.civ. e
40-41 cod.pen.
nonché degli artt. 1227 e 2087 cod.civ. e 5, lett. f), del d.lgs. n. 626 del
1994 e vizio di motivazione (ex art. 360, primo
comma, nn. 3 e 5 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente
attribuito portata assorbente alla ritenuta “obsolescenza” del compressore,
trascurando alcuni dati fattuali (segnatamente l’abnorme pressione raggiunta
all’interno del compressore) che sarebbero stati tali da comportare lo scoppio
anche in presenza del c.d. barilotto trappola, così come riferito dai
consulenti di parte nell’ambito del procedimento penale nonché sottovalutando
la condotta colposa dello Z. titolare di una posizione di garanzia del tutto
assimilabile a quella datoriale in quanto Responsabile della sicurezza dello
stabilimento.
2. Con il terzo e quarto motivo del ricorso
principale si denunzia violazione degli artt. 1917,
1363, 1882 cod.civ.
nonché vizio di motivazione (ex art. 360, primo
comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale,
erroneamente interpretato la polizza assicurativa stipulata con la società B.
che deve ritenersi circoscritta – anche solo visivamente dalla disamina del
frontespizio (ove il premio indicato si riferisce all’unica garanzia che
risulta “compilata”) – alla responsabilità civile verso terzi, con
esclusione dell’estensione della garanzia nei confronti degli operai dipendenti
della società assicurata per la quale è indicato “zero” con riguardo
al massimale assicurato. Inoltre, il mandato conferito da A.A. all’agente V.
comprendeva solamente la garanzia per responsabilità civile verso terzi
(oggetto di tutte le polizze già stipulate negli anni precedenti con B.), come
si evince dalla richiesta dello stesso V. avanzata alla società assicuratrice
per la stipula (rectius: riforma) della polizza, (da ritenersi pattuita
esclusivamente con riguardo alla responsabilità civile verso terzi) e nessun
premio poteva ritenersi riscosso.
3. Con il quinto motivo del ricorso principale si
deduce violazione degli artt. 1362 e ss. cod.civ.
nonché vizio di motivazione (ex art. 360, primo
comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale,
erroneamente ritenuto che la responsabilità personale dell’amministratore A.
era coperta dalla previsione di cui alla “garanzia complementare A
14” (disposizione integralmente riprodotta), non potendo, per converso,
ritenersi il dipendente infortunato “terzo” rispetto
all’amministratore della società. Inoltre, la Corte ha erroneamente accollato
alla società assicuratrice le spese (legali e peritali) affrontate
dall’amministratore nel procedimento penale a suo carico per il decesso del dipendente
C., erroneamente interpretando l’art. 15 delle Condizioni generali di contratto
(disposizione integralmente riprodotta), operando la garanzia accessoria
solamente ove il sinistro sia riconducibile alle garanzie di polizza (e
dovendosi escludere, come già rilevato nei motivi precedenti, la garanzia nei
confronti degli operai dell’assicurata) e, comunque, non essendo stati
designati dalla società assicuratrice (bensì unicamente dall’A.) i legali e i
tecnici intervenuti nel procedimento penale.
4. Con il ricorso incidentale la società B. s.r.l.
deduce omesso esame di un fatto decisivo nonché nullità della sentenza (ex art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, cod.proc.civ.)
avendo, la Corte di appello, omesso di provvedere sulla richiesta di ammissione
di CTU sull’impianto B. e sulla rilevanza di un eventuale barilotto – trappola,
istanza respinta dal Tribunale e riproposta in appello, ed a fronte del
contrasto di opinioni su detto aspetto insorto nel corso del procedimento
penale in base al quale poteva ritenersi che il barilotto non avrebbe potuto
evitare lo scoppio del compressore non avendo la robustezza necessaria a fronte
dell’onda d’urto proveniente dalla fase liquida del gas e dovendosi attribuire
efficacia deterministica determinante all’apertura delle “valvole in
radice” da parte dello Z..
5. I primi due motivi del ricorso principale nonché
l’unico motivo del ricorso incidentale, che attengono tutti all’obbligo di
sicurezza gravante sul datore di lavoro e all’interruzione del nesso di
causalità per condotta imprevedibile del lavoratore, sono inammissibili.
Deve, in primo luogo, rimarcarsi che in tema di
ricorso per cessazione, il vizio di violazione di legge consiste nella
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa,
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di
legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura
è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso
proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa,
ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o
contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto
che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa (ex aliis: Cass. 16 luglio 2010 n. 16698;
Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
Nella specie è evidente che il ricorrente lamenta la
erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria
ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia
un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge
(ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) bensì
un vizio-motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma n. 5 cod.proc.civ., che –
nella versione ratione temporis applicabile – lo circoscrive all’omesso esame
di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014),
riducendo al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità
sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).
Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la
motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a
giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o
contraddittori.
La sentenza impugnata ha ampiamente esaminato i
fatti controversi ed accertato – sulla base degli elementi istruttori raccolti
e conformemente a quanto statuito dal Tribunale, sia in primo grado che in sede
penale – che: “E’ accaduto che l’8 agosto 2007 sia scoppiato il
compressore, che l’attore [Z.] e il collega C. stavano utilizzando per
travasare propano da un serbatoio ad un camion cisterna, e che dallo scoppio C.
sia deceduto e Z. abbia riportato un’otalgia da scoppio e una sindrome post
traumatica da stress indennizzate dall’Inail. Ciò in quanto nell’ultima
operazione di carico di una autocisterna con gpl antecedente allo scoppio, si
superò la soglia massima di riempimento di liquido all’80% caricandola al punto
tale che il liquido stesso penetrò nel tubo deputato al trasferimento della
parte gassosa fino a giungere al compressore, che appunto così, messo in moto,
scoppiò.” La Corte di appello ha precisato: “Va messo in luce, come
puntualmente fatto dal giudice penale, che lo scoppio in questione è avvenuto
dopo che il compressore fu messo in movimento. Ciò, per un verso, toglie valore
al rilievo dell’appellante principale [A.A.] per il quale già la pressione del
gpl liquido presente nell’autocisterna era tale, anche per il caldo del
periodo, da provocare lo scoppio e che pertanto il mancato utilizzo del
barilotto trappola non abbia avuto incidenza causale sul medesimo.” In
ordine al concorso causale dello Z., la Corte di appello ha sottolineato che
“Per un altro verso, il ruolo di responsabile della sicurezza di Z. non ha
avuto rilievo più di quello dato dal Tribunale nell’episodio: se il datore di
lavoro avesse usato un compressore dotato di dispositivo di sicurezza da oltre
trent’anni presente sul mercato lo scoppio non ci sarebbe stato nonostante il riempimento
eccessivo e l’imprudenza di Z. e C.. “
Le censure fondate sull’archetipo dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.
risultano altresì inammissibili in quanto incorrono nel vizio della pronuncia
“doppia conforme”. Invero, l’art. 348
ter, comma 5, cod.proc.civ. prescrive che la disposizione di cui al comma 4
– ossia l’esclusione del n. 5, dal catalogo dei vizi deducibili di cui all’art. 360, comma 1, c.p.c. – si applica, fuori dei
casi di cui all’art. 348 bis, comma 2, lett. a),
cod.proc.civ. anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello
che conferma la decisione di primo grado, con la conseguenza che il vizio di
motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia
conforme.
Nel caso di specie, per l’appunto, la Corte ha
confermato la statuizione del Tribunale che aveva, con sentenza non definitiva
(n. 277 del 2013) condannato la società B. a risarcire i 3/4 del danno subito
dallo Z. (detratto quanto corrisposto dall’Inail) ritenendo il sinistro
addebitabile, per la quota indicata, al datore di lavoro per l’assorbente
ragione di non avere questi installato compressori, esistenti sul mercato dalla
fine degli anni ottanta, che in caso di pericolo vanno in blocco (tramite il
c.d. barilotto trappola) anziché esplodere e per 1/4 attribuibile allo stesso
Z. che, accortosi insieme a C. e ad altro operaio, della riempimento eccessivo
dell’autocisterna, procedeva con loro imprudentemente a svuotare il compressore
del liquido e, per svuotare il tubo della fase gas che portava al compressore,
avvicinava l’autocisterna al punto di travaso e metteva in moto il compressore
che così scoppiava.
Quando la ricostruzione delle emergenze probatorie
effettuata dal Tribunale sia stata confermata dalla Corte d’appello, com’è nel
caso, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di
cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve
indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e
quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che
esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 2014), ciò che nel caso non è
stato fatto né dal ricorrente principale, né dal ricorrente incidentale.
6. Non appare fondata la censura, sollevata dalla
società B. nell’ambito del ricorso incidentale, della mancata valutazione, da
parte della Corte di appello, dell’istanza di ammissione della consulenza
tecnica d’ufficio sulla inutilità dell’installazione del sistema protettivo del
c.d. barilotto trappola, posto che la ricostruzione pacifica dei fatti (in
specie, le modalità temporali dello scoppio, “avvenuto dopo che il compressore
fu messo in movimento”) ha determinato un rigetto implicito dell’istanza,
che si coglie agevolmente nella parte di motivazione della sentenza impugnata
ove si sottolinea che la tesi della società assicuratrice A. (che refluiva nel
quesito da sottoporre all’eventuale consulente tecnico d’ufficio) secondo cui
la sola pressione del gpl liquido presente nell’autocisterna era tale, anche
per il caldo del periodo, da provocare lo scoppio (con conseguente irrilevanza
causale della mancata installazione del barilotto trappola) non aveva valore
proprio in considerazione della sequenza temporale degli eventi (pag. 13 della
sentenza impugnata).
7. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso
principale sono inammissibili.
L’interpretazione delle disposizioni di un contratto
individuale costituisce accertamento di fatto ed è riservata al giudice di
merito; può essere sindacata in sede di legittimità soltanto per violazione dei
canoni legali di ermeneutica contrattuale oppure per vizio di motivazione
(Cass. nn. 2512 del 2013, Cass. n. 16376 del 2006); in tal caso, il ricorrente
ha l’onere di indicare specificamente il punto ed il modo in cui
l’interpretazione si discosti dai canoni di ermeneutica o la motivazione
relativa risulti obiettivamente carente.
Va sottolineato che la sentenza in esame (pubblicata
dopo rii.9.2012) ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente
l’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ. (d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con
modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134).
L’intervento di modifica, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di
questa Corte (sentenza n. 8053/2014), comporta
una ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di
legittimità, sulla motivazione di fatto, che va circoscritto al “minimo
costituzionale”.
Ebbene, i motivi risultano carenti quanto ai
requisiti di completezza e di specificità, avendo, il ricorrente, trascurato di
trascrivere (quantomeno per estratto) le clausole contrattuali oggetto di
interpretazione e di fornire – al contempo – alla Corte elementi sicuri per
consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, in tal
modo violando il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio dei
suddetti principi dall’art. 366 cod.proc.civ.,
primo comma, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c.,
secondo comma, n. 4 (Cass. n. 3224 del 2014;
Cass. SU n. 5698 del 2012; Cass. SU n. 22726 del 2011).
Il ricorrente, inoltre, si è limitato a contrapporre
la propria ricostruzione ermeneutica della polizza assicurativa senza indicare
gli errori esegetici asseritamente compiuti dal giudice di merito che,
applicando correttamente il criterio di interpretazione delle clausole le une
per mezzo delle altre (art. 1363 cod.civ.), ha
ritenuto sussistenti tutti gli elementi costitutivi del contratto di
assicurazione (ai sensi dell’art. 1882 cod.civ.),
dovendo individuarsi il massimale della garanzia per la responsabilità civile
nei confronti degli operai pari a quello previsto per la responsabilità verso
terzi e dovendosi ritenere l’importo previsto del “totale premio
imponibile di cui al frontespizio, non scritto né nella riga riservata alla
rct, né a quello rco” individuato sia con riguardo alla garanzia per la
responsabilità verso terzi sia con riguardo all’estensione della garanzia per
responsabilità nei confronti degli operai.
In ordine alla censura concernente l’inefficacia
dell’estensione della polizza per responsabilità dell’agente (che non avrebbe
trasmesso la clausola di cui alle condizioni particolari alla preponente né
avrebbe ricevuto autorizzazione alla stipulazione) trova applicazione il
principio secondo cui, qualora la pronuncia impugnata sia sorretta da una
pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente
e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto
delle doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per
difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, pure se tutte
tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più ragione di
avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi, giacché, ancorché
esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento
della decisione anzidetta (cfr, ex plurimis, Cass. n. 9752 del 2017, Cass. n. 12355 del 2010; Cass. n. 13956 del
2005). Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha rilevato che i principi
dell’apparenza e dell’affidamento incolpevole consentivano di ritenere
legittimo il convincimento da parte della B. che l’agente fosse investito dei
poteri di rappresentanza della società proponente e, in ogni caso, doveva
ritenersi che la società assicuratrice avesse ratificato l’operato dell’agente
incassando i premi per tutti i rischi assicurati (come ritenuto sede di
interpretazione della polizza assicurativa). Il rigetto della doglianza
relativa a questa seconda ratio deciderteli (come precedentemente illustrato)
rende ultronea la disamina della censura relativa alla prima ratio decidendi.
8. Il quinto motivo del ricorso principale è in
parte infondato (quanto alla prima censura) e in parte inammissibile (quanto
alla seconda censura).
In ordine alla prima censura relativa alla garanzia
assicurativa nei confronti dell’amministratore della B., e tralasciando profili
di inammissibilità per carenza di specificità riconnessi alla mancata
trascrizione di tutte le clausole necessarie per l’interpretazione della
“garanzia complementare A 14” (nella specie la definizione di
“prestatori di lavoro” contenuta nelle condizioni generali di
contratto ed espressamente richiamata dal giudice di merito), la censura non è
fondata avendo, la Corte distrettuale, correttamente interpretato la clausola A
14 che estende la copertura assicurativa alla responsabilità personale dei
prestatori di lavoro della società B., prestatori di lavoro “coperti”
dalla garanzia assicurativa tra cui va incluso altresì l’amministratore della
società.
Questa Corte ha più volte affermato che degli atti
illeciti posti in essere dal l’amministratore di una società di capitali
nell’esercizio della propria attività gestoria risponde la persona giuridica in
virtù del rapporto organico e del disposto dell’art.
2049 cod.civ. (cfr. ex plurimis, Cass. n. 12951 del 1992, Cass. 24326 del
2007, Cass. n. 25510 del 2010).
Deve, pertanto, ritenersi correttamente incluso –
sia alla luce del tenore lessicale della clausola sia in ottemperanza alla
consolidata giurisprudenza di questa Corte – l’amministratore nel novero dei
“prestatori di lavoro”.
La clausola contrattuale prevedeva, invero, alla
lettera b), che la garanzia valeva:
“Qualora operante l’unità tecnica 02 – RCO e
nei limiti del massimale RCO, i danni derivanti da morte o invalidità
permanente non inferiore al 6% cagionati agli altri prestatori di lavoro
calcolata sulla base delle tabelle Inail…” includendo – come già
correttamente statuito dalla Corte distrettuale – la responsabilità dei
prestatori di lavoro per danni procurati ad altri colleghi di lavoro.
La censura relativa al rimborso delle spese legali
affrontate dall’A. nell’ambito del processo penale è inammissibile per carenza
dei requisiti di completezza e specificità. Invero, il ricorrente si limita a
ribadire che la clausola contrattuale concernente la garanzia accessoria del
rimborso delle spese legali e peritali opera esclusivamente con riguardo a
difensori e tecnici designati dalla stessa compagnia assicuratrice a fronte
della coerente ricostruzione esegetica effettuata dalla Corte distrettuale che
(tenuta, nell’interpretazione del contratto di assicurazione, a ricorrere agli
usuali canoni esegetici dettati dagli artt. 1362 e
ss. cod.civ. e, in particolare, a quello dettato dall’art. 1370 cod.civ., che impone di interpretare una
clausola ambigua contro il predisponente, cfr. da ultimo Cass. n. 668 del 2016)
ha rilevato che “la clausola per la quale la società non risponde per i
legali e tecnici da essa non designati va quindi interpretata nel senso che
essa opera (nel senso di non rispondere) se non sia stata notificata o abbia
rifiutato giustificatamente”, perché nel caso di adesione alla
prospettazione letterale avanzata dalla società assicuratrice qualsiasi
immotivato rifiuto di designazione di legali a tecnici da parte
dell’obbligato-compagnia assicuratrice “metterebbe nel nulla
l’obbligo”.
9. In conclusione, il ricorso principale e il
ricorso incidentale debbono essere rigettati. Le spese di lite del presente
giudizio seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ. e sono liquidate come da
dispositivo.
12. Sussistono i presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato – se dovuto – previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1
quater, introdotto dalla L.
24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e il ricorso
incidentale; compensa le spese del presente giudizio di legittimità fra A.A.
s.p.a. e B. s.r.l. e G.A.; condanna A.A. s.p.a. al pagamento delle spese del
presente giudizio nei confronti di A.V. di G.E. V. s.a.s. e di G.E.V. liquidate
in euro 200,00 per esborsi nonché in euro 4.000,00 per compensi professionali,
oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge a favore di
ciascun controricorrente; compensa fra le altre parti (CNA Insurance Limited
Company, A.E.G.) le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art.
13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del
ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
– se dovuto – pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.