Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 novembre 2019, n. 30869

Sanzioni amministrative, Attività professionali rese dal
pubblico dipendente, Assenza della autorizzazione

Fatti di causa

 

1. La Corte di Appello di Ancona con la sentenza
indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha
rigettato le opposizioni proposte nei confronti delle ordinanze ingiunzioni con
le quali I’ Agenzia delle Entrate aveva rivendicato nei confronti di S. spa, e
di M.G. e S.F., amministratori pro tempore della società, il pagamento delle
sanzioni amministrative correlate all’avvenuta utilizzazione di attività
professionali rese dal pubblico dipendente D.U. in assenza della autorizzazione
della P.A. datrice di lavoro ed alla mancata comunicazione a quest’ultima dei
compensi erogati al D..

2. La Corte territoriale ha poi ridotto la sanzione
amministrativa relativa alla ordinanza ingiunzione n. 75182/2011 in relazione
alla posizione della S. spa e di S.F., quanto agli anni 2006, 2007, 2008.

3. Queste, per quanto oggi rileva, le argomentazioni
motivazionali che sorreggono le statuizioni adottate: 1) la violazione del
termine di 10 giorni previsto dall’art. 435 c. 2
cod.proc.civ. non determina l’improcedibilità dell’appello; 2) la casa di
Cura, destinataria del divieto di conferimento di incarichi ai dipendenti
pubblici privi della necessaria autorizzazione, non aveva superato la
presunzione di colpa insita nella sua condotta omissiva ma si era limitata a
dedurre la mancanza di consapevolezza della qualità di dipendente pubblico in
capo al D.; 3) non era applicabile la sanzione prevista dall’art. 53 c. 15 del d. Igs. n.
165 del 2001 correlata alla omessa comunicazione delle retribuzioni in
quanto la distinta previsione sanzionatoria, riferita alla mancata
comunicazione annuale dei compensi, si riferisce solo all’ipotesi in cui,
eseguita regolarmente la comunicazione dell’assunzione ed autorizzata la
prestazione lavorativa del dipendente pubblico, non sia effettuata la
comunicazione dei compensi versati che, in tale ipotesi, degrada ad una sorta
di post factum non (autonomamente punibile).

4. Avverso questa sentenza S.F. ha proposto ricorso
per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria.

5. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con
controricorso e ha proposto ricorso incidentale affidato ad unico motivo.

6. M.G. e S. spa sono rimasti intimati.

 

Ragioni della decisione

 

Sintesi dei motivi del ricorso principale.

7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai
sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ.,
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 435 c.
2 cod.proc.civ., per avere la Corte territoriale escluso che la violazione
del termine di 10 giorni previsto da tale disposizione per la notificazione del
ricorso in appello e del decreto di fissazione dell’udienza, determini
improcedibilità dell’appello ove sia stato rispettato il termine di cui all’art. 435 c. 3. Assume che il termine imposto dal
c. 2, per essere finalizzato a sanare l’originario squilibrio tra le parti che
contrassegna la fase introduttiva del giudizio, attiene all’adempimento dell’onere
di instaurazione del contraddittorio, il cui mancato assolvimento comporta la
perdita del diritto ad ottenere la decisione nel merito.

8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai
sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ.,
violazione dell’art. 3 commi 1
e 2 della L. n. 689 del 1981 con riferimento all’art. 53 c. 9 del d. Igs. n.
165 del 2001.

9. Imputa alla Corte territoriale di avere violato i
principi affermati da questa Corte in relazione all’art. 3 della L. n. 689 del 1981
con riguardo alla valutazione delle condizioni sufficienti per la sussistenza
dell’elemento soggettivo in capo al trasgressore e dei presupposti per
l’eventuale emergenza dell’esimente della buona fede. Deduce di avere fornito
la prova di avere agito in buona fede e richiama la dichiarazione resa dal D.
di non versare in condizioni di incompatibilità previste per i dipendenti
pubblici. Precisa che il D. era titolare di partita IVA per l’attività di
infermiere professionale e che il medesimo aveva emesso fatture fiscali per
tutta la durata del rapporto di collaborazione. Asserisce che la natura
autonoma del rapporto stipulato tra essa ricorrente ed il D. escludeva
l’esercizio di poteri disciplinari nei confronti di quest’ultimo.

10. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai
sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 cod.proc.civ.,
violazione dell’art. 53 c.
9 del d. Igs n. 165 del 2001 e omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio oggetto di discussione tra le parti per avere la Corte territoriale
ritenuto sanzionabile la condotta di esso ricorrente in relazione a tutti gli
anni oggetto di indagine. Assume che la richiesta di autorizzazione deve essere
richiesta prima del conferimento dell’incarico e non anche in occasione di
ciascuna proroga e imputa alla Corte territoriale di avere omesso di
pronunciare sull’eccezione in tal senso formulata sia nel ricorso in
opposizione sia nel giudizio di appello.

Sintesi del motivo del ricorso incidentale

11. Con l’unico motivo il ricorrente incidentale denuncia,
ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 53 commi 9, 11, 15
secondo periodo, in relazione all’art.
6 c. 1 del d.l. n. 79 del 1997 convertito con modificazioni dalla L. n. 140 del 28.5.1997 per avere la Corte
territoriale ritenuto non giustificata l’applicazione della sanzione prevista
dall’art. 53 c. 15 del d.
Igs. n. 165 del 2001. Invoca i principi affermati da questa Corte nella
sentenza n. 6974 del 2011.

Esame dei motivi del ricorso principale

12. Il primo motivo del ricorso principale è
infondato.

13. Secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale di questa Corte, condiviso dal Collegio, il termine di dieci
giorni previsto per la notifica del ricorso dall’art.
435, comma secondo, cod.proc.civ., è un termine ordinatorio, sicché dalla
sua inosservanza non può discendere la decadenza dall’impugnazione (Cass.
24090/2019, 18286/2019, 3959/2016, 23426/2013,
8685/2012). Tale interpretazione ha trovato
avallo anche nella giurisprudenza della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 60/2010).

14. Il secondo motivo del ricorso principale
presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.

15. Esso è infondato nella parte in cui è dedotta la
violazione dell’art. 3 commi 1 e 2 della L. n. 689 del 1991 con riferimento
all’art. 53 c. 9 del d.
Igs. n. 165 del 2001.

16. Secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale di questa Corte (condiviso dal Collegio) per integrare
l’elemento soggettivo delle violazioni cui è applicabile una sanzione
amministrativa è sufficiente la semplice colpa, che si presume a carico
dell’autore del fatto vietato, gravando su questi l’onere di provare di aver
agito senza (Cass. 2406/2016, 13610/2007).

17. E’ stato precisato che per ritenere sussistente
la buona fede che esclude la responsabilità dell’autore dell’illecito non è
sufficiente che al momento dell’infrazione costui si trovi in uno stato di mera
ignoranza circa la concreta sussistenza dei presupposti ai quali l’ordinamento
positivo riconduce il suo dovere (punito in caso di inosservanza con la detta
sanzione) di tenere una determinata condotta, ma occorre che tale stato di
ignoranza sia incolpevole (Cass. 14107/2003) ossia che non sia superabile
dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza (Cass. n. 13011/1997).

18. Pertanto, se l’errore sul fatto esclude la
responsabilità dell’agente solo quando non è determinato da sua colpa, ne
consegue che la norma limita la rilevanza della causa di esclusione alle sole
ipotesi in cui l’errore sul fatto sia dovuto a caso fortuito o forza maggiore
(Cass. 24803/2006) e che l’onere della prova dell’erroneo convincimento grava
su chi lo invoca (Cass. 5877/2004), non essendo sufficiente una mera asserzione
sfornita di qualsiasi sussidio probatorio (Cass. 20219/2018, 33032/2018,
15195/2008).

19. La Corte territoriale ha fatto corretta
applicazione dei principi innanzi richiamati alla fattispecie dedotta in
giudizio perché, come già evidenziato nel punto 3 di questa sentenza, ha
escluso che la condotta oggetto di sanzione amministrativa era stata improntata
ad ordinaria diligenza sul rilievo che non era stata allegato e provato lo
svolgimento della necessaria attività di preventiva informazione in ordine alla
sussistenza di condizioni di incompatibilità dell’incaricato.

20. Il motivo in esame è inammissibile nella parte
in cui il ricorrente sostiene che “gli elementi positivi” inducenti
la convinzione di operare legittimamente erano state bene individuati dal
giudice di primo grado.

21. Per un verso, infatti, il ricorrente sotto
l’apparente denuncia del vizio di violazione delle norme richiamate in rubrica
sollecita in realtà la rivalutazione del merito della causa, inammissibile in
sede di legittimità (Cass. SSU 8053/2014) e,
per altro verso, in violazione degli oneri di cui agli artt. 366 n. 6 e 369
n. 4 cod. proc. civ., non riproduce nel ricorso i documenti sui quali si
fondano le censure (dichiarazioni e fatture fiscali emesse dal D.), atti non
allegati al ricorso e di cui non risulta nemmeno indicata la specifica sede di
produzione, (Cass. S.U. n. 8077/2012 e 22726/2011; Cass. 13713/2015,
19157/2012, 6937/2010).

22. Il terzo motivo del ricorso principale è
inammissibile perché nel ricorso non risulta riprodotto l’atto di incarico,
atto che non risulta allegato al ricorso e di cui non è indicata la specifica
sede di produzione (cfr. p. 21 di questa sentenza) e perché il ricorrente non
ha specificato in che termini e in quale atto processuale abbia sottoposto alla
Corte territoriale la questione in diritto, comportante anche accertamenti in
fatto, relativa alla rilevanza di eventuali proroghe tacite dell’originario
contratto di conferimento dell’incarico, questione non trattata dalla Corte
territoriale (Cass. 5191/2019, 3315/2019, 10510/2018, 27568/2017, 167/2017, 22934/2016, 23045/2015, 5070/2009, 20518/2008, 4391/2007, 25546/2006, 14599/2005).

Esame dei motivi del ricorso incidentale

23. Il ricorso incidentale è infondato alla luce
della sentenza della Corte Costituzionale n. 98
del 2015 che ha dichiarato “I’ illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 15, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui
prevede che «I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui
al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9”.

24. Sulla scorta delle conclusioni svolte vanno
rigettati il ricorso principale ed il ricorso incidentale.

25. Le spese del giudizio di legittimità vanno
compensate in ragione della reciproca soccombenza.

26. Ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del DPR n. 115 del
2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

27. Per l’Amministrazione ricorrente incidentale non
sussiste l’obbligo di versare – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n.
115 del 2002 l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
atteso che la stessa è istituzionalmente esonerata, per valutazione normativa
della qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso,
mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., n. 5955 del 2014,
Cass., S.U. n. 9938 del 2014).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e il ricorso
incidentale Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 novembre 2019, n. 30869
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