Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 novembre 2019, n. 30908

Tributi, IRPEF, Dirigente ENEL, Liquidazione somme dal
fondo di previdenza integrativa aziendale, Tassazione

 

Fatti di causa

 

T.N., già Dirigente dell’Enel, in conseguenza della
messa a riposo (30.9.1997) riceveva la corresponsione di quanto accantonato in
suo favore dal fondo di previdenza integrativa aziendale (PIA), somme che
venivano assoggettate dal datore di lavoro, nella sua qualità di sostituto
d’imposta, a trattenuta secondo l’aliquota della tassazione separata propria
del Trattamento di Fine Rapporto (TFR), pertanto nella misura del 34,84% (art. 16, poi 17, del TUIR), anziché
all’aliquota del 12,50% prevista per la previdenza complementare, cui riteneva
di avere diritto il contribuente.

Quest’ultimo domandava pertanto il rimborso degli
importi che riteneva essergli stati indebitamente trattenuti e, conseguita la
formazione del silenzio- rifiuto da parte dell’Amministrazione finanziaria, in
data 4.12018 proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale
di Roma.

La CTP accoglieva il ricorso del contribuente e
disponeva provvedersi al rimborso richiesto.

La decisione del giudice tributario di primo grado
era impugnata dall’Ente impositore innanzi alla Commissione Tributaria
Regionale per il Lazio osservando, tra l’altro, che la Commissione Tributaria
Provinciale aveva completamente frainteso la giurisprudenza di legittimità cui
avrebbe inteso conformarsi.

La CTR, infatti, aveva operato riferimento a quanto
affermato da Cass. SS.UU. 22.6.2011, n. 13642,
la quale effettivamente aveva riconosciuto il diritto all’agevolazione, ma solo
in presenza di un “rendimento netto tassabile” del fondo per il
trattamento integrativo aziendale. Il contribuente, però, non aveva affatto
provato quale fosse stato questo rendimento, essendosi limitato a produrre una
attestazione dell’Enel generica e comunque priva di valenza probatoria.
Richiamava ancora, l’Agenzia delle Entrate, la giurisprudenza della Suprema
Corte per affermare che, nel caso di specie, si contendeva in ordine ad un
rapporto di lavoro cessato il 30 settembre 1997, quindi di “vecchi
iscritti a vecchi fondi”, in relazione ai quali “nessun genere di
rendimento è configurabile per le somme liquidate in base al pregresso sistema
previdenziale di natura solidaristica ed a prestazione definita … doveva
comunque trovare applicazione la tassazione separata come disciplinata dall’art. 17, comma 2, TUIR” (sent.
CTR, p. 3).

La Commissione Tributaria Regionale di Roma
rigettava l’impugnativa introdotta dall’Agenzia delle Entrate e riaffermava il
diritto del contribuente a conseguire il rimborso di quanto richiesto.

Avverso la decisione adottata dalla CTR ha proposto
ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a due motivi di
ricorso. Si è costituito e resiste con controricorso T.N.. La ricorrente ha
pure depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1.1. – Con il primo motivo di ricorso, proposto ai
sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc.
civ., l’Agenzia delle Entrate contesta la violazione o falsa applicazione
degli artt. 16, lett. a), e 42, comma 4, del d.p.r. n. 917 del
1986 (secondo la numerazione del testo unico applicabile ratione temporis:
oggi artt. 17 e 45), nonché dell’art. 6, comma 2, del d.p.r. n. 917 del
1986, in cui è incorsa l’impugnata Commissione Tributaria Regionale, per
aver ritenuto applicabile un regime di tassazione agevolata che non competeva
al contribuente. Inoltre, la CTR ha dichiarato di voler applicare il principio
di diritto indicato dalla Sezioni Unite, ed ha valutato quindi essere stata
accertata l’esistenza di un reddito conseguito sul mercato dal fondo PIA, da
cui sarebbe stata tratta la provvista per l’erogazione del trattamento
integrativo in favore del contribuente, nell’assenza i ogni prova in merito.

1.2. – Mediante il secondo motivo di impugnazione,
anch’esso introdotto ai sensi dell’art. 360, comma
primo, n. 3, cod. proc. civ., l’Ente impositore critica la decisione
adottata dalla Commissione Tributaria Regionale per essere incorsa nella
violazione e comunque nella falsa applicazione dell’art.
2697 cod. proc. civ., perché l’unica prova documentale fornita dal
contribuente, costituita da una comunicazione del 25.10.2005 proveniente
dall’Enel, non ha valenza probatoria, come ripetutamente affermato dalla Suprema
Corte.

2.1. – 2.2. – L’Agenzia delle Entrate contesta con i
suoi motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente stante la
loro stretta connessione, che la Commissione Tributaria Regionale impugnata ha
violato la normativa applicabile in materia di aliquota di tassazione
applicabile, avendo peraltro ritenuto di riconoscere il diritto del
contribuente sul fondamento di una errata interpretazione del principio di
diritto espresso in merito dalle Sezioni Unite, che pure la CTR aveva inteso applicare,
e comunque per aver ritenuto accertato che gli importi su cui si domanda
l’applicazione della tassazione al 12,50% rappresentassero il “rendimento
netto” del fondo, in quanto proventi di un investimento sul mercato.

Il controricorrente ha replicato osservando che, in
realtà, le contestazioni mosse dall’Agenzia attengono ad un profilo di
criticato vizio motivazionale della decisione della CTR, la quale ha peraltro
confermato la decisione di primo grado. Sussistendo quindi una ipotesi di
doppia pronuncia conforme, non è consentito contestare il vizio motivazionale,
ed entrambi i motivi di ricorso risulterebbero inammissibili. In realtà
l’Agenzia contesta innanzitutto la violazione di legge in cui sarebbe incorsa
la CTR, ritenendo applicabile alla fattispecie una normativa, quella relativa
alla tassazione agevolata delle rendite previdenziali, anziché quella relativa
alla tassazione separata del TFR. Il primo motivo di ricorso risulta pertanto
ammissibile. Con il secondo motivo di ricorso l’Ente impositore contesta la
violazione di legge derivante dall’aver ritenuto, la CTR impugnata, dotati di
efficacia probatoria meri calcoli del rendimento del fondo PIA effettuati dal
datore di lavoro del contribuente. Anche in questo caso la censura attiene, in
primo luogo, all’erronea applicazione della legge.

Tanto premesso, a seguito dell’esame degli atti di
causa, deve ritenersi che la Commissione Tributaria Regionale laziale sia
effettivamente incorsa in equivoco nell’applicare il principio di diritto
espresso dalla Suprema Corte cui pure ha espressamente dichiarato di volersi
adeguare. Le Sezioni Unite nella sentenza n. 13642
del 22 giugno 2011, hanno enunciato il risolutivo ed assorbente principio
secondo cui “in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni
erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca
antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 21
aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a
capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono
soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino
al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione
separata di cui agli artt. 16, comma
1, lett. a), e 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, solo per quanto
riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione
patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle
somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta
del 12,50%, prevista dall’art.
6 della I. 26 settembre 1985, n. 482; b) per gli importi maturati a decorrere
dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di
cui agli artt. 16, comma 1, lett. a)
e 17 del T.U.I.R.”.

Evidente, pertanto, l’errore di diritto in cui è
incorsa la Commissione Tributaria Regionale impugnata, la quale ha fornito una
lettura parziale della decisione della Suprema Corte, ed ha affermato che il
principio della sentenza delle Sezioni Unite, relativamente al rimborso,
avrebbe comportato l’applicazione dell’aliquota del 12,50%, per tutte le somme
richieste a rimborso in relazione agli anni maturati fino al 31 dicembre 2000.
La CTR ha mancato di valorizzare il dato che le Sezioni Unite hanno ritenuto
applicabile l’aliquota del 12,50%, soltanto in riferimento al “rendimento
netto” conseguito dal fondo. Ne discende che risulta indispensabile
l’accertamento di quale fosse stato tale rendimento netto perché possa trovare
applicazione l’aliquota agevolata.

Giova allora ricordare che le Sezioni Unite, nella
sentenza n. 13462 del 22.6.2011, prescindendo dalla massima ufficiale, avevano
anche testualmente statuito che “il trattamento tributario delle
prestazioni erogate” dal fondo PIA in favore dei dirigenti dell’ENEL,
“non è, e non può essere, indipendente dalla composizione strutturale
delle prestazioni stesse, che, nel caso concreto, trattandosi di un Fondo di
previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa
previdenziale prevalente, sono composte da una “sorte capitale”,
costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di
lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da un “rendimento
netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del
capitale accantonato. Sicché possono essere tassate in modo analogo al TFR
esclusivamente le somme liquidate a titolo di capitale, mentre alle somme
corrispondenti al rendimento di polizza (nella fattispecie PIA), si applica la
tassazione nella misura del 12,50%” (evidenza aggiunta).

La Suprema Corte, pertanto, aveva richiesto che si
provvedesse ad accertare se vi fosse prova che determinate somme, erogate ad un
ex Dirigente Enel in occasione della cessazione del rapporto di lavoro,
costituissero il rendimento a lui spettante, in conseguenza dell’investimento sul
mercato, del capitale accantonato dal fondo PIA, perché solo su queste somme
avrebbe dovuto applicarsi l’aliquota impositiva agevolata al 12,50 (cfr. Cass.
sez. VI-V, 19.6.2018, nn. 16116, 167117, 16118; Cass.
sez. V, 15.6.2018, n. 15853, Cass. sez. V,
9.5.2016, n. 9351).

Appare anche opportuno rammentare che il requisito
dell’essere il rendimento imputabile ai profitti conseguiti mediante
l’investimento sul mercato del capitale accantonato costituisce, invero, la
ragione stessa della più favorevole tassazione di tale reddito, dipendente dal
costituire il risultato degli investimenti della somma versata effettuati
dall’ente di gestione, investimenti che, se certamente possono essere stati indirizzati
verso i vari prodotti del mercato finanziario (strumenti finanziari, valori
mobiliari, etc.), nulla esclude possano essere stati indirizzati anche verso
altri tipi di mercato (es. mercato immobiliare). Risulta peraltro da escludere
che tale requisito possa considerarsi soddisfatto dall’esser rendimento
ottenuto corrispondente alla redditività ottenuta sul mercato dell’intero
patrimonio dell’Enel (rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale
investito). Tale coerenza (del rendimento ottenuto dal capitale accantonato con
quello ottenuto dal patrimonio dell’Enel) costituisce, infatti, comunque un
dato estrinseco e non causale, nel senso che il primo non può comunque   considerarsi frutto dell’investimento di
quegli accantonamenti nel libero mercato, come richiesto perché abbia a
configurarsi il reddito da capitale della specie richiesta, essendo al
contrario esso stesso dipeso da un predeterminato calcolo di matematica
attuariale (cfr. Cass. sez. V, 26.4.2017 n. 10285).

Ai riassunti principi non si è attenuta la
Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

Nel suo controricorso il contribuente ha pure
rilevato che l’attestazione fornita dall’Enel in materia di rendimento del
fondo, non era stata specificamente contestata dall’Enel nei termini di legge.
Sul punto, va rilevato che l’Agenzia delle Entrate ha espressamente negato
l’applicabilità dell’aliquota di tassazione propria dei redditi di capitale, ed
è onere del contribuente, il quale contesti il trattamento fiscale proprio
degli emolumenti corrisposti in occasione della cessazione del rapporto di
lavoro, fornire la prova della non applicabilità dell’aliquota propria delle
indennità di fine rapporto (TFR), bensì dell’aliquota agevolata del 12,5%,
trattandosi di un reddito di capitale. Quel che preme ancora evidenziare in
questa sede, peraltro, è che la complessa materia dell’applicabilità del
principio di non contestazione nel giudizio tributario richiede, innanzitutto,
che si tenga conto della peculiare natura dello stesso. Questa Corte di
legittimità ha già avuto occasione di chiarire che “il principio di non
contestazione opera sul piano della prova, cosicché nel processo tributario
(nel quale pure è certamente applicabile, vedi Cass.
1540/07) esso non elide l’operatività dell’altro principio – operante sul
piano dell’allegazione e collegato alla specialità del contenzioso tributario –
secondo cui la mancata presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di
opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in linea di
subordine non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi
sostanziano, né determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi
contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del
contribuente consente all’Ufficio impositore, qualora le questioni da quello
dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo
del giudizio, le diverse argomentazioni difensive da opporre alle domande
subordinate avversarie”, Cass. sez. V,
29.12.2011, n. 29613 (cfr., anche, Cass. sez.
V, 12.5.2016 n. 9732). Questa Suprema Corte ha anche avuto occasione di
rilevare che “nel processo tributario, il principio di non contestazione,
che si fonda sul carattere dispositivo del processo, trova applicazione sul
piano probatorio, ma non anche su quello delle allegazioni poiché la
specificità del giudizio tributario comporta che la mancata presa di posizione dell’Ufficio
sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente non
equivale ad ammissione”, Cass. sez. V,
18.6.2014, n. 13834.

Merita ancora di essere segnalato che il rendiconto
circa la natura delle somme erogate in conseguenza della cessazione del
rapporto di lavoro di un dirigente, redatto dall’Enel, questa Corte ha già più
volte ritenuto costituisca “documentazione non idonea ad assolvere l’onere
probatorio gravante sul contribuente che agisca per ottenere l’accertamento del
suo diritto al rimborso, poiché “non contiene alcuna specificazione sui criteri
utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si
tratta effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo
attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul
mercato” (cfr. Cass. 21.12.2016 n. 270; Cass. 15.3.2017 n. 13278; Cass.
16.3.2017 n. 13281)”, Cass. sez. V, 3.4.2019, n. 9246.

Per chiarezza e completezza, appare ancora opportuno
rilevare che non competerà alla Commissione Tributaria Regionale rinnovare la
valutazione sull’incidenza nel giudizio dell’originaria natura assicurativa e
non previdenziale del Fondo PIA, né tornare ad esaminare il rilievo
dell’appartenenza del contribuente ai soggetti iscritti nei “vecchi
fondi” o nei “nuovi fondi”. In conseguenza di quanto osservato,
i motivi di ricorso devono essere accolti, e la decisione impugnata deve essere
cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che dovrà
pertanto accertare se, ed in quale misura, le somme corrisposte a N.T. in
occasione della cessazione del suo rapporto di lavoro quale dirigente con
l’ENEL, ed erogate dal Fondo ex PIA, siano derivanti da investimenti del
capitale sul libero mercato, perché solo su questi importi, qualora ne risulti
provata l’esistenza, dovrà applicarsi l’imposizione all’aliquota agevolata del
12,50%, mentre sulle somme ulteriori dovrà trovare applicazione l’aliquota
ordinaria prevista per il TFR.

La causa deve pertanto essere rinviata alla CTR del
Lazio perché proceda a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi innanzi
esposti, e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del presente
giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

accoglie il ricorso proposto dalla ricorrente
Agenzia delle Entrate, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Commissione
Tributaria Regionale di Roma che, in diversa composizione, provvederà alla
rinnovazione del giudizio, nel rispetto dei principi innanzi esposti, e
regolerà anche le spese di lite del presente ricorso per cassazione tra le
parti.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 novembre 2019, n. 30908
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