Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 novembre 2019, n. 31152
Rapporto di agenzia, Provvigione maturata dall’agente,
Ripetibilità, Scioglimento del contratto di agenzia per fatto imputabile al
preponente o all’agente, Sussistenza di un inadempimento colpevole, Giudice
di merito
Rilevato che
1. con sentenza 16 febbraio 2017, la Corte d’appello
di Bologna rigettava l’appello proposto da A.M. avverso la sentenza di primo
grado, di condanna solidale di D.A.L. s.p.a. e U.G.O. s.p.a (succeduta alla
prima, quale incorporante per fusione) al pagamento, in suo favore a titolo di
credito restitutorio per trattenute come “storno” e di indennità
suppletiva di clientela, delle rispettive somme di € 6.746,40 e di € 87.388,16
oltre accessori, con rigetto delle altre sue domande e di condanna del
medesimo, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale di U. s.p.a.,
al pagamento in suo favore, a titolo indennità sostitutiva del preavviso in
misura di tre mesi, della somma di € 21.588,42;
2. a motivo della decisione, la Corte territoriale
negava, come già il Tribunale, la ripetibilità, tanto in base al regolamento
contrattuale tra le parti che all’art. 1748, sesto comma c.c. (nel testo sia
anteriore che successivo alla novellazione con d.lg. 65/1999), delle
provvigioni di cui la preponente aveva rifiutato la restituzione, per la
certezza della non esecuzione per cause ad essa non imputabili degli affari per
cui erano state anticipate e poi stornate (avendo posto i relativi crediti a
definitiva perdita o ceduti in ragione del prolungato inadempimento e per la
differenza tra prezzo originario e di cessione). La Corte felsinea riteneva
pure che l’agente dovesse risarcire il danno riguardante il mancato integrale
rispetto del termine di preavviso, avendo receduto durante il suo corso, in
difetto di giusta causa;
3. avverso la predetta sentenza A.M. ricorreva per
cassazione con due motivi, cui D.A.L. s.p.a. e U. G.O. s.p.a resistevano con
controricorso;
4. l’agente comunicava memoria, ma al di fuori del
termine prescritto dall’art. 380 bis 1 c.p.c.
e pertanto inammissibile;
Considerato che
1. il ricorrente deduce violazione per errata
applicazione degli artt. 1748, sesto comma e 2119 c.c., per la legittimità di riaccredito della
provvigione maturata dall’agente, “salvo rivalsa per il caso di mancato
buon fine della vendita” secondo la previsione contrattuale, soltanto
nell’ipotesi di assoluta certezza della circostanza, a norma della disposizione
denunciata di natura imperativa e non derogabile in sfavore dell’agente
medesimo, ricorrente nell’ipotesi esclusiva di estinzione del rapporto
contrattuale della preponente (risoluzione o annullamento del contratto per causa
a sé non imputabile), ma non nel caso di cessione del credito non incassato, o
di sua cartolarizzazione o “fattorizzazione”, come fatto dalle due
società (primo motivo);
1.1. esso è infondato;
1.2. non si configura la violazione di legge
denunciata, in assenza dei requisiti suoi propri (Cass. 26 giugno 2013, n.
16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984), in
particolare sotto il profilo di un’erronea riconduzione del fatto materiale
nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di
sussunzione), che postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di
merito sia considerato fermo e indiscusso: con la conseguenza dell’estraneità
di ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, siccome
esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (Cass. 13 marzo 2018,
n. 6035);
1.3. occorre poi osservare come la ripetibilità
delle provvigioni riscosse dall’agente “solo nella ipotesi e nella misura
in cui sia certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà
esecuzione per cause non imputabili al preponente” (art. 1748, sesto comma c.c.) sia coerente con la
spettanza della provvigione all’agente sugli affari che abbiano avuto regolare
esecuzione (sia pure essa intesa non come esatto adempimento secondo i patti
contrattuali, bensì come risultato economico utile conseguito: Cass. 15
dicembre 1997, n. 12668; Cass. 6 aprile 2000, n.
4327): e pertanto non nel momento di svolgimento dell’attività di
promozione del contratto, ma solo quando questo sia andato a buon fine;
1.4. in questa prospettiva si pone pure il principio
di salvezza della diversa pattuizione tra le parti, tanto secondo il testo
dell’art. 1748 c.c. anteriore alla novellazione
(per cui, salvo che non sia diversamente stabilito dalle stesse, il diritto
alla provvigione sorge allorquando l’affare sia andato a buon fine o la mancata
esecuzione del contratto sia imputabile al preponente: Cass. 12 ottobre 2018,
n. 25544), tanto successiva alla sua novellazione, per effetto della I. 65/1999
di attuazione della Direttiva comunitaria 13 dicembre 1986, n. 635 (dovendosi
intendere l’inderogabile spettanza della provvigione all’agente, al più tardi,
dal momento e nella misura in cui il terzo abbia eseguito o avrebbe dovuto
eseguire la prestazione, qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a
suo carico, salva una diversa pattuizione tra le parti), che pure legittima una
previsione contrattuale per cui il diritto alle provvigioni maturi al
“buon fine” dell’affare (Cass. 30 luglio
2014, n. 17302);
1.5. oggetto di censura non è allora l’error in
iudicando denunciato, per le ragioni dette insussistente, ma l’accertamento in
fatto della Corte di merito, insindacabile in sede di legittimità in quanto
congruamente argomentato (per le ragioni esposte agli ultimi quattro capoversi
di pg. 4 della sentenza), in esito ad un percorso interpretativo (ai primi due
capoversi di pg. 4 della sentenza) del regolamento negoziale tra le parti in
ordine alle ipotesi di certa esclusione di esecuzione del contratto tra il
terzo e la preponente per causa a questa non imputabile, comportante la
retrocessione delle provvigioni da intendere meramente anticipate (e così
ripetibili in caso di mancato buon fine dell’affare per ragioni non imputabili
al preponente, secondo il retto intendimento della locuzione negoziale
“maturate”: così al secondo capoverso di pg. 4 della sentenza):
pertanto insindacabile in sede di legittimità, in quanto interpretazione
assolutamente plausibile, neppure essendo necessario che essa sia l’unica
possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178) e
congruamente argomentata, cui il ricorrente ha contrapposto la propria (Cass.
19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 10 maggio 2018,
n. 11254), senza neppure l’indicazione dei canoni ermeneutici violati, né tanto
meno la specificazione delle ragioni né del modo in cui se ne sarebbe
realizzata l’asserita violazione (Cass. 14 giugno
2006, n. 13717; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350) ed avendo pertanto la
censura ad oggetto il risultato interpretativo in sé (Cass. 10 febbraio 2015,
n. 2465; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891);
2. il ricorrente ricorrente deduce poi la falsa ed
errata applicazione degli artt. 2119 e 1455 c.c., per erronea esclusione di gravità
dell’inadempimento della preponente recedente nell’indebito rifiuto di
retrocessione dell’importo di € 6.746,40 a titolo di provvigioni stornate per
affari non andati a buon fine, così da non ritenere giusta la causa del proprio
recesso in corso di periodo di preavviso (secondo motivo);
2.1. esso è inammissibile;
2.2. nel rapporto di agenzia, la regola dettata
dall’art. 2119 c.c. deve essere applicata
tenendo conto della diversa natura del rapporto rispetto a quello di lavoro
subordinato nonché della diversa capacità di resistenza che le parti possono
avere nell’economia complessiva dello stesso; in tale ambito, il giudizio circa
la sussistenza, nel caso concreto, di una giusta causa di recesso deve essere
compiuto dal giudice di merito, cui è rimessa una valutazione insindacabile in
sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivata, tenendo conto
delle complessive dimensioni economiche del contratto e dell’incidenza
dell’inadempimento sull’equilibrio contrattuale, assumendo rilievo, in
proposito, solo la sussistenza di un inadempimento colpevole e di non scarsa
importanza che leda in misura considerevole l’interesse dell’agente, tanto da
non consentire la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto (Cass. 4 giugno 2008, n. 14771; Cass. 26 maggio
2014, n. 11728; Cass. 19 gennaio 2018, n. 1376);
2.3. ciò chiarito, la Corte territoriale ha
accertato in fatto l’insussistenza di una giusta causa di recesso dell’agente,
in pendenza del periodo di preavviso conseguente al recesso della preponente e
ha ciò giustificato con argomentazione congrua (al secondo capoverso di pg. 5
della sentenza); sicché, un tale accertamento è insindacabile da questa Corte,
essendo di competenza esclusiva del giudice di merito stabilire se lo
scioglimento del contratto di agenzia sia avvenuto o meno per un fatto
imputabile al preponente o all’agente, tale da impedire la possibilità di
prosecuzione anche temporanea del rapporto, utilizzando per analogia il
concetto di giusta causa previsto dall’art. 2119
c.c. per il lavoro subordinato (Cass. 14
febbraio 2011, n. 3595); così come procedere ad una valutazione comparativa
degli opposti adempimenti, avuto riguardo anche alla loro proporzionalità
rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e rispettiva incidenza
sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni e sugli interessi delle parti,
accertando quando l’inadempimento di una sia grave ovvero abbia scarsa importanza,
in relazione all’interesse dell’altra parte a norma dell’art. 1455 c.c. (Cass.
16 maggio 2006, n. 11430; Cass. 6 luglio 2009, n. 15796);
3. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la
regolazione delle spese di giudizio secondo il regime di soccombenza e il
raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei
presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20
settembre 2019, n. 23535);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna A.M. alla rifusione,
in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in €
200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per
spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e
incidentale, a norma del comma 1
bis, dello stesso art. 13, se dovuto.