Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 novembre 2019, n. 30416

TFR maturato, Decreto ingiuntivo, Difetto di giurisdizione
del giudice italiano, Accettazione di applicare al proprio rapporto di lavoro
il contratto collettivo tedesco, Assenza del TFR, a fronte di una retribuzione
corrente maggiore, Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle
obbligazioni contrattuali del 19 giugno 1980, Applicabilità della legge del
luogo ove si svolge la prestazione di lavoro, salva l’applicazione della legge
del Paese dove si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore,
Soggetto che non compie abitualmente il suo lavoro in uno stesso Paese

 

Fatti
di causa

 

1. Con ricorso dinanzi al Tribunale di Roma, in
funzione di giudice del lavoro, il G.I. proponeva opposizione avverso il
decreto ingiuntivo con il quale veniva ordinato il pagamento in favore di
C.B.D.O. della somma di euro 45.069,87 a titolo di TFR maturato sino al
28.2.2007, deducendo in particolare, oltre al difetto di giurisdizione del giudice
italiano e alla prescrizione, che la lavoratrice aveva accettato di applicare
al proprio rapporto di lavoro il contratto collettivo tedesco (BAT) di volta in
volta in vigore presso il G.I., contratto collettivo che non prevede il TFR, a
fronte di una retribuzione maggiore rispetto a quella di un dipendente
cittadino italiano.

2. Con sentenza n. 7513/2013 il Tribunale di Roma
accoglieva l’opposizione compensando le spese di lite tra le parti. Il
Tribunale affermava la giurisdizione del giudice italiano, rigettava
l’eccezione di prescrizione sollevata dall’opponente, statuiva l’applicabilità
alla controversia della norma nazionale sul TFR, ma concludeva che la
lavoratrice non aveva subito alcun danno, poiché il TFR era stato conglobato
nella retribuzione.

3. Contro quest’ultima sentenza C.B.D.O. proponeva
appello dinanzi alla Corte di appello di Roma, ribadendo l’applicabilità della
legge italiana al rapporto di lavoro litigioso, secondo le regole della
Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali del
19.6.1980; facendo valere che in ogni caso il contratto “BAT” sottoscritto tra
le parti faceva salva, all’art. 2, comma 2, l’applicazione delle leggi locali;
che la norma nazionale che disciplina il TFR ha natura cogente e come tale non
può essere derogata; che il TFR non è un pagamento ritardato che può essere
inglobato nella retribuzione; che l’applicazione del “BAT” al rapporto
individuale non implicava una rinuncia al TFR.

4. Nel costituirsi dinanzi alla Corte di appello di
Roma il G.I. chiedeva la conferma della sentenza di primo grado deducendo
l’inammissibilità dell’appello, il difetto di giurisdizione e la nullità della
notifica del decreto ingiuntivo opposto e reiterando l’eccezione di
prescrizione delle somme richieste e maturate anteriormente al 2001 poiché il
rapporto di lavoro si era novato più volte in relazione a sedi di lavoro,
mansioni e impegno lavorativo.

5. Con sentenza pubblicata il 15.12.2016, la Corte
di appello di Roma, rigettate le eccezioni riproposte in appello dal G.I., in
riforma della decisione di primo grado, respingeva l’opposizione a decreto
ingiuntivo, compensando integralmente le spese.

6. Per quanto qui ancora interessa la Corte
territoriale statuiva che secondo la Convenzione di Roma, in particolare l’articolo 6, comma secondo, lettera a)
di questo strumento, mancando la scelta delle parti circa la normativa da
applicare, il contratto di lavoro tra le parti doveva intendersi regolato dal
diritto italiano, cioè dalla legge del Paese in cui il lavoratore, in
esecuzione del contratto compie abitualmente il suo lavoro. Pur ritenendo
assorbito il motivo di appello della lavoratrice, secondo cui la norma
nazionale sul TFR, in quanto norma cogente, e quindi di applicazione
necessaria, avrebbe dovuto comunque regolare la fattispecie in forza dell’art. 6, comma 1, della stessa
Convenzione, la Corte romana statuiva non esservi dubbi sulla cogenza dell’art. 2120 cod.civ., che quindi si sarebbe dovuto
applicare anche se le parti avessero scelto una normativa straniera. La Corte
territoriale accoglieva anche il motivo di appello relativo all’inglobamento
del TFR nella retribuzione, statuendo che l’inglobamento nella retribuzione del
TFR è possibile solo in presenza di un accordo tra datore e lavoratore, accordo
non emerso nella fattispecie, ed in presenza di specifiche condizioni, pure non
sussistenti, e doveva escludersi che la lavoratrice avesse rinunciato al TFR
mediante la sottoscrizione dell’accordo “BAT”.

7. Contro quest’ultima sentenza il G.I. propone
ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi illustrati da memoria.
C.B.D.O. resiste con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il ricorso è parzialmente fondato.

2. Con il primo motivo il G.I. denuncia violazione e
falsa applicazione dell’art. 3
della Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle
obbligazioni contrattuali (resa esecutiva con la l. n. 975/1984) ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ. Il
ricorrente rimprovera in particolare ai giudice di appello di essere giunto
all’applicazione alla fattispecie controversa della legge italiana sulla base
dell’art. 6, comma 2, lettera a)
della Convenzione, che fa riferimento, per i rapporti di lavoro, alla legge
del luogo ove si svolge la prestazione di lavoro, sulla base del falso
presupposto del non avere le parti scelto l’applicazione della legge tedesca a
termini del citato articolo 3,
circostanza che invece emergeva chiaramente dagli atti e che sarebbe stata
affermata da numerosi precedenti di merito che avevano interessato altri
dipendenti del G.I..

3. Con il secondo motivo viene denunciata la
violazione del citato art. 6,
comma 2, della stessa Convenzione, sempre ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ. Deduce il
ricorrente che anche a voler seguire la Corte territoriale sulla mancanza di
scelta della legge applicabile effettuata dalle parti, tale Corte avrebbe
errato nell’applicare la regola dell’art. 6, comma 2, lettera a) della
Convenzione, che come detto fa riferimento, per i rapporti di lavoro, alla
legge del luogo ove si svolge la prestazione di lavoro, giacché essa non avrebbe
tenuto conto della “norma di chiusura” dell’art. 6 che prevede una deroga a
detta regola – come a quella prevista dalla successiva lettera b), che fa
riferimento alla legge del Paese dove si trova la sede che ha proceduto ad
assumere il lavoratore, qualora questi non compia abitualmente il suo lavoro in
uno stesso Paese – allorché risulti dall’insieme delle circostanze che il
contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro Paese.
Questa norma sarebbe stata ignorata dalla Corte d’appello, tra l’altro in
spregio degli insegnamenti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

4. Con il terzo motivo il G.I. lamenta la violazione
e la falsa applicazione dell’art.
6, comma 1, della stessa Convenzione di Roma, sempre ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ. Questa
doglianza riguarda un’ulteriore statuizione della sentenza impugnata che, pur
dichiarando assorbito il secondo motivo di appello della Dohl, che sosteneva in
ogni caso la natura cogente dell’art. 2120 cod.civ.
in tema di riconoscimento del TFR, ha ritenuto di condividere tale natura
cogente, considerando, in astratto, dovuto il TFR anche “laddove le parti
avessero scelto una normativa straniera, in base al citato articolo 6, primo comma della
Convenzione di Roma che fa salva l’applicazione delle norme imperative
nazionali. Secondo l’Istituto ricorrente, che cita diverse sentenze di merito
che avrebbero accolto questa tesi, la normativa italiana sul TFR potrebbe
considerarsi cogente solo nella misura in cui detta retribuzione differita
comporti effettivamente un trattamento economico complessivamente più favorevole
per il lavoratore.

5. Con il quarto motivo il ricorrente deduce nullità
della sentenza e/o del procedimento ai sensi dell’art.
360, comma 1, n. 4 cod.proc.civ., per violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. Vengono sollevate due
doglianze: con la prima, si lamenta l’omessa pronuncia della Corte di appello
sulle eccezioni del G.I. volte a quantificare il TFR in misura minore di quella
riportata nel decreto ingiuntivo; con la seconda si deduce la mancata
considerazione sempre da parte della Corte di appello della richiesta del
ricorrente volta alla dichiarazione dell’assenza dei presupposti per
l’emissione del decreto ingiuntivo.

6. Il primo motivo, che viene presentato come
denuncia della violazione di norme di diritto, in realtà non muove alcun
rimprovero alla sentenza impugnata sul modo nel quale la norma invocata, cioè
dell’art. 3 della Convenzione di
Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (resa
esecutiva con la l. n. 975/1984; in seguito: la Convenzione), applicabile
ratione temporis, è stata interpretata ed applicata dalla Corte territoriale.
L’istituto ricorrente lamenta, come si è detto, che la Corte romana sia giunta
all’applicazione alla fattispecie controversa della legge italiana sulla base
dell’art. 6, comma 2, lettera a)
della Convenzione, che fa riferimento, per i rapporti di lavoro, alla legge
del luogo ove si svolge la prestazione di lavoro, sulla base del falso
presupposto del non avere le parti scelto l’applicazione della legge tedesca a
termini del citato articolo 3,
circostanza che invece emergeva chiaramente dagli atti e che sarebbe stata
affermata da numerosi precedenti di merito che avevano interessato altri
dipendenti del G.I..

7. Sono quindi inammissibilmente sollevate in questa
sede questioni di puro fatto relativamente alla circostanza – accertata
negativamente dalla Corte di appello – della scelta della legislazione tedesca
che le parti avrebbero compiuto secondo l’Istituto ricorrente. Non viene
neanche denunciato un vizio di motivazione. Il motivo è dunque da rigettare.

8. Il secondo motivo è invece fondato e deve essere
accolto.

9. Effettivamente la Corte territoriale, pur
trascrivendo integralmente l’art.
6 della Convenzione di Roma, compresa la “norma di chiusura” invocata
dall’Istituto ricorrente, applica direttamente il paragrafo 2 lett. a) di
questa disposizione, che rinvia alla legge del luogo di esecuzione della
prestazione di lavoro, e non dà minimamente conto dell’esame globale delle
circostanze, che astrattamente potrebbero far ritenere che il contratto di
lavoro presenti “un collegamento più stretto con un altro Paese”, ciò che
condurrebbe all’inapplicabilità della lettera a) e all’applicazione della legge
di quest’ultimo Paese.

10. La giurisprudenza della Corte di giustizia
dell’Unione europea ha fissato con chiarezza i principi che presiedono
all’applicazione di questa disposizione.

11. La Corte di Lussemburgo ha osservato che si deve
innanzitutto ricordare che l’articolo
6 della Convenzione di Roma fissa norme di diritto internazionale privato
speciali relative al contratto individuale di lavoro che derogano a quelle di
carattere generale di cui agli articoli
3 e 4 della Convenzione in esame, riguardanti rispettivamente la libertà di
scelta della legge applicabile e i criteri di determinazione di quest’ultima in
mancanza di una scelta siffatta (v., in tal senso, sentenze del 15.3. 2011,
Koelzsch, C-29/10, Racc. pag. 1-1595, punto
34, e del 15.12.2011, Voogsgeerd, C-384/10,
Racc. pag. 1-13275, punto 24, citata dall’Istituto ricorrente). E vero che l’articolo 6, paragrafo 1, di detta
Convenzione prevede che la scelta della legge applicabile al contratto di
lavoro ad opera delle parti non può portare a privare il lavoratore delle
garanzie previste dalle norme imperative della legge che regolerebbe il
contratto in mancanza di una scelta siffatta. Tuttavia, l’articolo 6, paragrafo 2, della
Convenzione di Roma sancisce, dal canto suo, i criteri di collegamento
specifici che consentono di determinare la lex contractus, in mancanza di
scelta ad opera delle parti (sentenza Voogsgeerd, cit., punto 25). Tali criteri
sono, in primo luogo, quello del Paese in cui il lavoratore «compie
abitualmente il suo lavoro», di cui all’articolo 6, paragrafo 2, lettera a),
della Convenzione di Roma, e, in subordine, in mancanza di un siffatto
luogo, quello in cui si trova la «sede che ha proceduto ad assumere il
lavoratore», quale previsto all’articolo
6 paragrafo 2, lettera b), di tale Convenzione (sentenza Voogsgeerd, cit.,
punto 26). Inoltre, secondo l’ultimo capoverso del già menzionato paragrafo 2,
questi due criteri di collegamento non sono applicabili qualora dall’insieme
delle circostanze emerga che il contratto di lavoro presenta un collegamento
più stretto con un altro Paese, nel qual caso è applicabile la legge di tale
diverso Paese (sentenza Voogsgeerd, cit., punto 27).

12. Secondo la Corte di giustizia, come risulta
dallo spirito e dalla lettera dell’articolo
6 della Convenzione di Roma, il giudice deve, in un primo tempo, procedere
alla determinazione della legge applicabile sulla base dei criteri di
collegamento specifici di cui al paragrafo 2, rispettivamente lettera a) e
lettera b), di tale articolo, i quali rispondono alla generale esigenza di
prevedibilità della legge e quindi di certezza del diritto nelle relazioni
contrattuali (v., per analogia, sentenza del 6.10.2009, ICF, C-133/08, Racc.
pag. 1-9687, punto 62). Tuttavia, qualora risulti dall’insieme delle
circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con
un altro Paese, spetta al giudice nazionale escludere i criteri di collegamento
di cui all’articolo 6, paragrafo
2, lettere a) e b), della Convenzione di Roma e applicare la legge di tale
diverso Paese. Risulta infatti dalla giurisprudenza della Corte che il giudice
può prendere in considerazione ulteriori elementi del rapporto di lavoro, ove
appaia che quelli riguardanti l’uno o l’altro dei due criteri di collegamento,
sanciti dall’articolo 6, paragrafo
2, della Convenzione di Roma, inducono a ritenere che il contratto presenti
un collegamento più stretto con uno Stato diverso da quello risultante
dall’applicazione dei criteri di cui all’articolo 6, paragrafo 2,
rispettivamente lettera a) e lettera b), di tale Convenzione (v., in tal
senso, sentenza Voogsgeerd, cit., punto 51).

13. Tale interpretazione si concilia anche con la
formulazione della nuova disposizione sulle norme di diritto internazionale
privato relative ai contratti individuali di lavoro, introdotta dal Regolamento
Roma I, non applicabile in questo procedimento ratione temporis. Infatti, in
forza dell’articolo 8, paragrafo 4, di tale Regolamento, se dall’insieme delle
circostanze risulta che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto
con un Paese diverso da quello indicato ai paragrafi 2 o 3 di tale articolo, si
applica la legge di tale diverso Paese (v., per analogia, sentenza Koelzsch,
cit., punto 46; v. sentenza Schlecker., C-64/12,
12.9.2013).

14. Dalla lettura della sentenza impugnata non
emerge alcuna indagine volta alla verifica della condizione negativa (o
eccezione) dell’applicabilità dei criteri di cui all’articolo 6, paragrafo 2,
rispettivamente lettera a) e lettera b), della Convenzione, verifica che pure è
necessaria, come si è visto, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte
di giustizia dell’Unione europea, e alla quale si dovrà procedere in sede di
rinvio.

15. Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti.

16. Segue alle svolte considerazioni la cassazione
della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte
di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo, rigettato il primo e
assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto
e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le
spese.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 novembre 2019, n. 30416
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