Il licenziamento intimato per rappresaglia ad una lunga assenza per malattia ha natura ritorsiva ed è nullo.
Nota a Cass. 23 settembre 2019, n. 23583
Kevin Puntillo
L’intento ritorsivo datoriale deve avere efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto ex art. 1345 c.c. (v. Cass. n. 14816/2005). Occorre, cioè, che il provvedimento espulsivo sia stato causato esclusivamente da tale intento.
In particolare, il motivo illecito può ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se esso non ci fosse stato e, quindi, deve costituire l’unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. L’esclusività sta a significare che il motivo illecito può concorrere con un motivo lecito, ma solo nel senso che quest’ultimo sia stato formalmente addotto, ma non sussistente nel riscontro giudiziale.
In sintesi, la nullità per motivo illecito ex art. 1345 c.c. richiede che questo abbia carattere determinante e che il motivo addotto a sostegno del licenziamento sia solo formale e apparente (v. Cass. n. 9468/2019, in questo sito, con nota di S. GIOIA, Licenziamento ritorsivo, elementi che evidenziano la ritorsione e onere probatorio).
È quanto afferma la Corte di Cassazione (23 settembre 2019, n. 23583) in una fattispecie in cui il lavoratore, operaio specializzato (artigiano orafo, con mansioni di incisore pantografista), aveva ricevuto, al momento del suo rientro in servizio dopo una lunga assenza per malattia, una lettera di licenziamento motivata dalla “scelta organizzativa di chiudere il settore produttivo della bigiotteria, argenteria e ottone per il calo di commesse riguardante tale settore, con conseguente soppressione della posizione e della funzione ricoperta dal lavoratore in azienda e impossibilità di ricollocamento in altre mansioni uguali o equivalenti”.
La Corte di Appello aveva osservato che dal quadro probatorio fornito emergeva “l’inesistenza di un vero e proprio reparto di lavorazione dei materiali diversi dall’oro, la mancata adibizione esclusiva del reclamante a tali lavorazioni, il carattere marginale delle stesse rispetto al complesso della produzione aziendale, le maggiori esperienze e conoscenze del reclamante nel settore dell’incisione dell’oro rispetto a quelle dell’altro dipendente rimasto in servizio nonché l’assunzione, successiva al licenziamento, di una nuova dipendente che, nonostante il formale inquadramento come impiegata, di fatto era stata addetta anche alla lavorazione dell’oro”. Pertanto, non si era in presenza di una fattispecie di ristrutturazione aziendale, ma di un’ipotesi di mera riduzione delle mansioni del lavoratore ricorrente relativa alla cessazione di alcune lavorazioni, situazione peraltro inseritasi nel contesto di un andamento positivo del complesso fatturato aziendale negli anni precedenti al recesso.
In questo quadro, la Corte territoriale aveva riscontrato la sussistenza del motivo ritorsivo del licenziamento, espressivo della volontà di rappresaglia per la prolungata assenza del dipendente per malattia.
Alla luce di tali elementi, la Cassazione “in una valutazione globale, unitamente alla circostanza della contiguità temporale tra rientro dalla malattia e intimazione del recesso”, ha ritenuto evidente il carattere pretestuoso del motivo addotto, deducendo che “l’iniziativa datoriale non trovava altra plausibile e ragionevole spiegazione del licenziamento se non la rappresaglia per la lunga malattia”.