Secondo la Corte EDU di Strasburgo la supervisione della prestazione di lavoro tramite impianti non indicati ai dipendenti non vìola l’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – e può dunque essere utilizzata anche ai fini disciplinari – se sussiste un’esigenza seria di tutela del patrimonio aziendale e se sono rispettati i princìpi di proporzionalità e ragionevolezza.
Nota a Corte EDU 17 ottobre 2019
Gennaro Ilias Vigliotti
L’art. 4 dello Statuto dei lavoratori stabilisce che i controlli sulla prestazione di lavoro possono essere esperiti da parte del datore di lavoro solo nel rispetto di determinate procedure autorizzative e nel pieno rispetto della privacy. Le procedure in questione – che si sostanziano in un accordo sindacale o in un provvedimento autorizzativo emesso ad hoc dall’Ispettorato territorialmente competente – sono escluse solo se i controlli promanano da strumentazione fornita al lavoratore per lo svolgimento della prestazione, risultando dunque imprescindibili per rendere l’attività dedotta nel contratto (art. 4, co. 2, L. n. 300/1970).
Non costituiscono, invece, ipotesi esonerative da tali procedure le particolari esigenze poste a fondamento del controllo, come ad esempio quelle di tutela del patrimonio aziendale.
Sul punto, dottrina e giurisprudenza, prima della modifica legislativa del 2015 (D.Lgs. n. 151/2015, adottato nell’ambito del Jos Act), avevano costruito la categoria dei controlli c.d. “difensivi” che, a determinate condizioni, potevano giungere a legittimare il ricorso a strumentazione di controllo non autorizzata per difendere il patrimonio imprenditoriale dal rischio concreto di violazioni gravi (come nel caso dei furti).
Dopo la modifica, che ha aggiunto tra le ragioni giustificative dei controlli anche la tutela del patrimonio, parte della dottrina si è interrogata sulla perdurante valenza dei controlli difensivi, giungendo per lo più a conclusioni negative e propendendo per il “riassorbimento” di tali ipotesi nell’alveo dei controlli necessitanti l’autorizzazione sindacale o amministrativa.
Di recente, però, una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha posto alcune questioni di assoluto rilievo, che potrebbero avere un impatto non indifferente sull’interpretazione interna dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori. Con la sentenza del 17 ottobre 2019 (caso Lopez Ribalda e altri vs. Spagna), i Giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo hanno stabilito che non c’è violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) , ove è sancito il diritto al rispetto della vita privata e familiare, se il datore di lavoro usa le registrazioni delle telecamere installate di nascosto per dimostrare il furto commesso dai lavoratori (poi licenziati).
Nel caso esaminato, si trattava di un’impresa spagnola che, avendo rilevato mancanze di denaro derivanti da furti presumibilmente avvenuti presso le casse, aveva disposto la videosorveglianza occulta presso le stesse, individuando così gli autori dei furti, tutti licenziati.
Nel valutare la fattispecie, la Corte EDU richiama soprattutto i criteri enunciati nella propria precedente pronuncia del 5 settembre 2017 (caso Barbulescu c. Romania) relativa ai criteri da usare alla ricerca di un equilibrio tra gli interessi contrapposti in caso di controllo a distanza dei lavoratori da parte del datore di lavoro. E constatato che, nel caso di specie, le ragioni dell’intrusione erano legittime, che l’ampiezza della misura di sorveglianza, sia quanto al tempo che al luogo (aperto al pubblico e dove i dipendenti avevano rapporti con i clienti), era appropriata, che l’utilizzazione dei risultati era stata limitata a sanzionare i colpevoli ed a disporre della prova del furto nel successivo giudizio e, infine, che misure meno invasive di controllo risultavano praticamente impossibili, la Corte ha concluso che nel caso esaminato si era verificato un imperativo preponderante, relativo alla protezione di un bene privato importante, che aveva giustificato la mancanza di una preventiva informazione della misura di controllo (che pure costituisce, in via di principio, uno dei criteri fondamentali utilizzati nella valutazione della giustificatezza del controllo a distanza).
La Corte EDU, dunque, ha ammesso l’esperimento di controlli di tipo difensivo senza alcun preavviso o comunicazione al lavoratore. Spetta ora ai giudici interni valutarne la portata per l’interpretazione delle norme interne, atteso che i giudici di Strasburgo si sono trovati a decide in un contesto normativo, quello della CEDU, che non prevede espressamente alcuna procedimentalizzazione del potere di controllo a distanza, come invece è previsto nel nostro ordinamento interno.