Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 dicembre 2019, n. 31520
Licenziamento, Giustificato motivo oggettivo, Soppressione
del posto di lavoro, Assunzioni successive, Indennità risarcitoria
onnicomprensiva
Fatti di causa
1. Nella sentenza oggi gravata si legge che, con
ricorso ex art. 1 comma 48 della
legge n. 92/2012, M. M., Project Manager e Responsabile delle
ristrutturazioni e manutenzioni dei negozi dell’Area Sud della A. I. spa con il
compito di occuparsi della gestione tecnica e commerciale dei progetti di
ristrutturazione delle varie farmacie collocate nella zona di competenza, aveva
impugnato il licenziamento adottato nei suoi confronti con rar ricevuta il
17.4.2015 per giustificato motivo oggettivo (soppressione del suo posto di
lavoro con la terziarizzazione delle attività connesse alla ristrutturazione
dei punti vendita dell’Area Sud) deducendo la inefficacia e/o nullità e/o
illegittimità del recesso, posto che erano stati assunti due lavoratori
successivamente al suo esodo (B. L. e L. V.) e per la violazione dell’obbligo
di repechage atteso che non era stata verificata la possibilità di adibirlo a
mansioni diverse anche inferiori.
2. Con ordinanza del 25.2.2016, nel contraddittorio
delle parti, il Tribunale di Bologna aveva rigettato la domanda rilevando che
il fatto posto a fondamento del recesso non era manifestamente insussistente e
che la richiesta diretta ad ottenere la tutela risarcitoria era inammissibile,
trattandosi di una mutatio libelli.
3. A seguito di ricorso ex art. 1 comma 51 e ss. della legge
92/2012, presentato dal M. e opposto dalla società, lo stesso Tribunale,
con la sentenza n. 659/2016, aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro con
effetto dalla data di licenziamento e aveva condannato la A. I. spa a
corrispondere una indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 12 mensilità
della ultima retribuzione globale di fatto.
4. Proposti reclami principale, da parte del lavoratore,
e incidentale, da parte della A. I. spa, la Corte di appello di Bologna, con la
pronuncia n. 179/2017, in accoglimento del secondo gravame, e ritenuto
assorbito il primo, ha rigettato l’originario ricorso formulato da M. M..
5. A fondamento della decisione la Corte
territoriale ha ritenuto che: a) era infondata l’eccezione sollevata dal M.
all’udienza del 19.1.2017, con la quale era stata disconosciuta la conformità
all’originale della memoria di costituzione notificatagli, contenente reclamo incidentale,
per violazione degli artt. 23 e 23
bis del D.lvo n. 82/05, perché la società si era costituita con il deposito
cartaceo della memoria di costituzione e del relativo fascicolo, come risultava
dal timbro apposto dalla Cancelleria e la conformità della copia notificata
all’originale, era stata attestata dal pubblico ufficiale nella relata di
notifica: ciò in assenza di una sanzione di nullità espressamente prevista
dalle norme citate.; b) il ricorso in opposizione proposto dal M., pur essendo
fondata l’eccezione di omessa valutazione in prime cure ex art. 112 c.p.c., era tuttavia ammissibile in
considerazione delle censure mosse all’ordinanza sommaria lì dove aveva ritenuto
inammissibile, per mutatio libelli, la richiesta di tutela risarcitoria
avanzata dal M.; inoltre, si evidenziava che si era formato un giudicato sulla
effettiva sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento (cioè
sulla concreta esigenza di riorganizzazione aziendale e sulla derivata
soppressione del ruolo ricoperto) non essendo stata sollevata alcuna doglianza
anche in sede di reclamo principale; c) la domanda subordinata risarcitoria,
formulata dal lavoratore, era ammissibile essendo contenuta in quella
principale reintegratoria; d) doveva considerarsi assolto l’onere probatorio
gravante sulla società, in ordine al repechage, non solo con riferimento alle
mansioni equivalenti, bensì anche con riferimento a mansioni compatibili alla professionalità
posseduta dal lavoratore.
6. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione M. M. affidato a tre motivi, cui ha resistito con
controricorso la A. I. spa.
7. Le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la
violazione e/o erronea applicazione dell’art. 137
co. 2 c.p.c. e D.lgs. n. 82/2005,
art. 23 co. 1 e 156 co. 2 c.p.c., in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per non
avere rilevato la Corte territoriale che il deposito della memoria difensiva,
con reclamo incidentale, era stato compiuto telematicamente e non in modo
cartaceo, di talché la pretesa attestazione di conformità contenuta nella
relata, richiesta dall’art. 23
D.lgs. n. 82/2005, non era idonea al raggiungimento dello scopo, atteso che
la stessa non recava alcun riferimento al fascicolo informatico dal quale la
copia analogica dell’originale era stata estratta; inoltre, si sostiene che la
assenza di conformità della copia notificata alla copia notificata può ritenersi
sanzionata con la nullità dell’atto, ai sensi dell’art.
156 c.p.c. nella parte in cui la disposizione prevede che può essere
pronunciata la nullità quando l’atto medesimo manca dei requisiti
indispensabili per il raggiungimento dello scopo.
3. Con il secondo motivo si censura l’erronea
declaratoria di formazione del giudicato, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., sulla sussistenza dei fatti
costitutivi posti a fondamento del licenziamento, per non essere stata la
questione ritenuta, nella gravata sentenza oggetto di specifico motivo di
reclamo, pur essendo stata la tematica dell’esigenza di riorganizzazione
aziendale, come dedotta dalla società, oggetto delle doglianze formulate da esso
M..
4. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la
violazione e/o erronea applicazione dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966,
artt. 1175, 1375,
2967 e 2729 c.c.,
in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché
in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., per
avere errato la Corte territoriale nel ritenere che in prime cure era stata
omessa la dovuta attività di indagine anche con riferimento a mansioni
inferiori, come già evidenziato nella lettera di recesso, perché in essa
mancava ogni riferimento alla impossibilità di adibire il ricorrente a mansioni
inferiori, e per avere errato la Corte di merito nell’avere ritenuto che le
nuove assunzioni di personale si riferissero a mansioni diverse e incompatibili
con la professionalità del lavoratore; rappresenta, al riguardo, che gli oneri
di allegazione e di prova ricadevano solo ed esclusivamente sul datore di
lavoro, nel caso in esame non assolti, e che, anche laddove l’asserita
soppressione della posizione ricoperta si fosse rivelata effettivamente
sussistente, in ogni caso il datore di lavoro avrebbe dovuto dare la prova che
al lavoratore fosse stato proposto un reinserimento rispettando il criterio di
equivalenza delle mansioni o che fossero state proposte mansioni inferiori come
unica alternativa al recesso e queste erano state espressamente rifiutate: ciò,
nel caso in esame, non era avvenuto e, quindi, erroneamente era stato ritenuto
assolto l’onere posto a carico della società.
5. Preliminarmente deve essere valutata l’eccezione,
sollevata dalla difesa del M. nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c.,
riguardante la nullità della procura alle liti, conferita da D. L., in forza
della quale era stato sottoscritto il controricorso.
6. In primo luogo, va precisato che la
documentazione prodotta all’odierna udienza dalla società, volta a giustificare
la qualità di procuratore speciale della parte in senso sostanziale che, in
tale veste, aveva rilasciato il mandato per il giudizio di legittimità, è
ammissibile ex art. 372 c.p.c. (in termini Cass.
31.7.2015 n. 16274; Cass. 2.5.2007 n. 10122).
7. Ciò premesso, rileva il Collegio che, in ogni
caso, l’assunto di cui all’eccezione del ricorrente non coglie nel segno
perché, essenzialmente, è incentrata sul mancato deposito, agli atti, della
procura notarile con la quale al L. era stato conferito il potere di
rappresentare la società e, quindi, di conferire il mandato difensivo
all’avvocato, ma non viene contestata effettivamente la sussistenza di tale
potere in capo al soggetto conferente.
8. Peraltro, l’eccezione si palesa tardivamente
proposta in quanto già nel giudizio di appello D. L., con la memoria di
costituzione ex art. 1 co. 58 e
ss. legge n. 92 del 2012 con reclamo incidentale, si era dichiarato
procuratore speciale, in quanto Amministratore delegato, della A. I. spa e, in
tale qualità, aveva conferito il mandato difensivo.
9. Questa Corte (cfr. Cass 13.2.2009 n. 3541; Cass.
19.1.2017 n. 1332) ha affermato che, in tema di rappresentanza processuale
delle persone giuridiche, la parte che contesti che la persona fisica, la quale
assume di rivestire la qualità di rappresentante di una persona giuridica,
manchi del potere rappresentativo, deve sollevare siffatta contestazione nella
prima difesa, restando così onere dell’altra parte documentare la pretesa
qualità.
10. L’odierna ricorrente non ha dimostrato, invece,
di avere tempestivamente contestato, in quella sede, il potere rappresentativo
del L. né la gravata sentenza affronta tale questione, di talché la stessa deve
ritenersi tardivamente prospettata.
11. Ciò premesso, il primo motivo è infondato.
12. Esso, infatti, si fonda su un presupposto, cioè
la costituzione telematica del reclamo incidentale spiegato dalla società, che
risulta smentito sia da quanto evidenziato nella gravata sentenza, sia dai
riscontri sottolineati dalla stessa controricorrente.
13. Da essi si evince, invero, che la costituzione
della società era avvenuta con il deposito cartaceo della memoria di
costituzione e del relativo fascicolo, come risultava dal timbro apposto dalla
cancelleria il 4.1.2017, e che la conformità della copia notificata
all’originale era stata attestata, nella relata di notifica, dall’Ufficiale
Giudiziario che aveva proceduto alla notifica medesima.
14. Improprio, pertanto, è il richiamo de ricorrente
agli artt. 23 e 23 bis D.lgs. n. 82
del 2005, in relazione ai quali era stata fondata, nel giudizio di reclamo
l’eccezione di nullità della notifica dell’impugnazione incidentale, con
conseguente decadenza di essa, in quanto le citate disposizioni sono relative
ai duplicati e alle copie informatiche di documenti informatici e non a quelli
cartacei.
15. Così come inammissibile è il riferimento,
effettuato nella censura, ad una pretesa violazione dell’art. 156 c.p.c., sia perché la questione si
prospetta “nuova”, non essendo stato specificato il “come”
ed il “dove” la stessa sia stata formulata nei gradi di merito, sia
perché un eventuale difetto o irregolarità del procedimento notificatorio non
può comportare, nel rito del lavoro, la decadenza dell’impugnazione incidentale
essendo questa possibile solo nella ipotesi di mancato deposito dell’atto di
appello in cancelleria (che ne determina l’inammissibilità) ovvero di omissione
della successiva attività di notifica (che ne causa l’improcedibilità) (cfr.
Cass 19.10.2017 n. 24742): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso de quo ove
si fa astratto riferimento solo ad una irregolarità dell’attività dell’organo
notificante.
16. Il secondo motivo presenta diversi profili di
inammissibilità.
17. In primo luogo, deve precisarsi che la censura,
formulata ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. e
senza che fosse chiesta la declaratoria di nullità della sentenza, è stata mal
posta in quanto il rimedio contro l’asserita violazione del giudicato interno è
quello del ricorso per cassazione ai sensi dell’art.
360 co. 1 n. 4 c.p.c. (in termini Cass. 8.1.2014 n. 155).
18. In secondo luogo, va osservato che, anche a
voler considerare la censura correttamente proposta, la stessa incontrerebbe il
limite di inammissibilità della cd. “doppia conforme” ex art. 348 ter u.c. c.p.c., vertendo la stessa
sostanzialmente su questioni di fatto veicolate attraverso una asserita
violazione del principio del giudicato.
19. In terzo ed ultimo luogo, deve darsi atto che la
Corte territoriale, in ordine alla sussistenza del giustificato motivo
oggettivo, ha svolto un discorso articolato precisando, da un lato, che sulla
esigenza di riorganizzazione aziendale e sulla derivata soppressione del ruolo
ricoperto dal M. nell’Ufficio Servizi Generali, si era formato un giudicato sul
punto, non essendo stato oggetto del reclamo e, dall’altro, che le assunzioni
avvenute prima e dopo il licenziamento (lavoratori L., B., S. e M.), per le
loro modalità e per la loro tempistica, non erano rilevanti ai fini
dell’osservanza dell’obbligo di repechage.
20. La censura, pertanto, non si confronta con
l’effettiva ratio decidendi, limitandosi ad invocare una violazione del
principio del giudicato interno senza contestare, però, in modo specifico tutti
i passaggi motivazionali dell’iter logico seguito dai giudici di seconde cure.
21. Il terzo motivo, infine, presenta profili di
inammissibilità e di infondatezza.
22. Sono inammissibili le doglianze che, al di là
del formale richiamo contenuto nell’epigrafe del motivo di impugnazione in
esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, si sostanziano
nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale
del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente
acquisiti, dei fatti di causa e dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti.
23. Si tratta, infatti, di argomentazioni critiche
con evidenza dirette a censurare una erronea ricognizione della fattispecie
concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze
probatorie di causa.
24. Ciò è pacificamente inammissibile in sede di
legittimità.
25. Sono, invece, infondate le argomentazioni in
punto di diritto sulla denunziata violazione dell’obbligo di repechage,
connessa sia in ordine agli adempimenti del datore di lavoro sia relativamente
alla ipotesi di reimpiego del lavoratore in mansioni inferiori.
26. L’obbligo di repechage, ossia l’onere di non
potere ragionevolmente utilizzare il dipendente interessato dal recesso in
altre mansioni diverse da quelle che svolgeva, costituisce una creazione
giurisprudenziale (tratta dalla esegesi dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966,
formante indiscutibilmente parte del diritto vivente.
27. E’ unanimamente riconosciuto che esso appartenga
alla tematica del giustificato motivo oggettivo del licenziamento e che
richieda la prova datoriale ex articolo
5 della legge n. 604 del 1966 (cfr. per tutte Cass.
2.5.2018 n. 10435).
28. La finalità dell’istituto è quella di garantire,
attraverso un contemperamento tra l’interesse del datore di lavoro a perseguire
una organizzazione produttiva ed efficiente e quello del lavoratore diretto
alla stabilità del posto, che il recesso datoriale rappresenti l’extrema ratio
cui ricorrere (in termini cfr. Cass n. 23698 del
2015).
29. La regola del repechage, che non è applicabile a
tutte le tipologie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, viene
sicuramente in rilievo nella fattispecie in esame ove la causale del recesso
intimato al M. è stata individuata nella soppressione della sua posizione
lavorativa.
30. La problematica specifica sottesa al motivo,
oltre alla inutilizzabilità del lavoratore in altre mansioni anche inferiori,
coinvolge una serie di questioni – come detto- riguardanti sia l’obbligo di
prospettazione che incombe sul datore di lavoro in ordine all’utile tentativo
di reimpiego del lavoratore anche in mansioni inferiori, sia il contenuto
dell’obbligo datoriale in relazione alla individuazione delle mansioni stesse
cui potenzialmente adibire il destinatario del recesso.
31. La relativa analisi deve essere svolta avendo
riguardo alla normativa antecedente alla modifica dell’art. 2103 cc, come modificato dall’art. 3 del D.lgs. n. 81 del 2015
applicabile ratione temporis al caso di specie.
32. Orbene, quanto alla prima tematica, occorre
richiamare il principio, statuito in sede di legittimità (Cass 8.3.2016 n. 4509; Cass. 19.11.2015 n. 23698) secondo cui, in
attuazione del principio di buona fede e di correttezza, il datore di lavoro deve
prospettare al dipendente, al fine di ottenerne il consenso, la possibilità di
reimpiego in mansioni inferiori.
33. L’eventuale consenso, a tale prospettazione,
deve essere anteriore o coevo al licenziamento e non può essere successivo ad
esso (cfr. Cass. 18.3.2009 n. 6552).
34. Il consenso, inoltre, deve essere espresso
liberamente, anche in forma tacita, ma attraverso fatti univocamente attestanti
la volontà del lavoratore di aderire alla modifica “in peius” delle
mansioni (cfr. Cass. 26.2.2019 n. 5621; Cass.
7.2.2005 n. 2375).
35. La motivazione dell’eventuale licenziamento,
poi, anche dopo la novellazione dell’art. 2 comma 2 della legge n. 604
del 1966 per opera dell’art. 1 comma 37
della legge n. 92 del 2012, non deve essere dettagliata sul punto, nel
senso di cisvere esporre in modo analitico tutti gli elementi di fatto e di
diritto alla base del provvedimento, ma deve essere in grado di consentire al
lavoratore di comprendere, nei termini essenziali, le ragioni del recesso (cfr.
Cass. 7.3.2019 n. 6678).
36. Quanto alla seconda questione sopra richiamata,
è pacifico che la possibilità del cd. repechage vada condotta con riferimento a
mansioni equivalenti.
37. La giurisprudenza si è, però, posta il problema
se l’espulsione del lavoratore dal processo produttivo non possa avvenire se
non prima che non sia stato tentato ogni utile tentativo di reimpiego
all’interno dell’azienda, anche in mansioni inferiori.
38. Su tale tema è possibile evidenziare varie
posizioni nell’ambito della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 22798 del 2016).
39. Secondo un risalente orientamento che poneva
come presupposto del proprio argomentare il divieto del “patto di
demansionamento”, sancito dall’art. 2103 cc
nella versione antecedente alla novella legislativa del 2015, l’impossibilità
di adibire il lavoratore a mansioni inferiori, in ottemperanza a tale divieto,
poteva risolversi anche in un pregiudizio per il prestatore stesso, così
escludendo del tutto la possibilità di impiego in mansioni inferiori.
40. Si è poi affermato un altro indirizzo che,
proprio partendo da alcune eccezioni al divieto del patto di demansionamento
previste dal legislatore (per esempio: a) art. 4, comma 11°, legge n. 293/91:
nel corso delle procedure di mobilità, quando gli accordi sindacali prevedono
il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori in esubero con
l’assegnazione di mansioni diverse e, più in generale, quando l’accordo
costituisce l’unica alternativa al licenziamento; b) art. 7, comma 5°, D.lvo n. 151/2001:
nel caso della lavoratrice spostata obbligatoriamente ad altre mansioni,
durante il periodo della gestazione e fino a sette mesi dopo il parto, per
evitare pregiudizi alla sua salute e comunque con retribuzione corrispondente
alle mansioni precedentemente svolte; c) art. 4 comma 4°, legge n. 68/1999:
per il lavoratore divenuto inabile allo svolgimento delle proprie mansioni in
conseguenza della violazione da parte del datore di lavoro, accertata in sede
giurisdizionale, delle norme in materia di sicurezza e igiene del lavoro; d) art. 42 D.lvo n. 81/2008: per il
lavoratore giudicato inidoneo alle mansioni specifica ed adibito ad altra
mansione compatibile con il suo stato di salute) ha ritenuto possibile
l’interesse al mantenimento del posto di lavoro rispetto alla estinzione del
rapporto.
41. In particolare, nell’ipotesi di sopravvenuta
infermità permanente, con conseguente impossibilità della prestazione
lavorativa, è stato, infatti, affermato il principio con il quale si è
valorizzata l’assegnazione a mansioni inferiori del lavoratore divenuto
fisicamente inidoneo, costituendo tale possibilità un adeguamento del contratto
alla nuova situazione di fatto: adeguamento che deve essere sorretto, oltre che
dall’interesse, anche dal consenso del prestatore (cfr. Cass. n. 7755 del 1998; Cass. n. 15500 del 2009; Cass. n. 18535 del 2013).
42. In tal caso le esigenze di tutela del diritto
alla conservazione del posto di lavoro sono state considerate prevalenti su
quelle della salvaguardia della professionalità del lavoratore.
43. Nel licenziamento per giustificato motivo
oggettivo, la giurisprudenza di legittimità ha operato una sintesi dei due
orientamenti affermando sì la possibilità di un reimpiego del lavoratore in
mansioni inferiori, purché queste rientrino nel bagaglio professionale dello
stesso (Cass. 8.3.2016 n. 4509; Cass. n. 21579 del 2008).
44. A tal proposito si è anche precisato che,
qualora il lavoratore svolga ordinariamente in modo promiscuo mansioni
inferiori, oltre quelle soppresse, a carico del datore di lavoro sussiste
l’obbligo di repechage anche in ordine alle mansioni inferiori (Cass. n. 13379 del 2017).
45. In tale ricostruzione vanno tenuti,
naturalmente, pur sempre in considerazione, per l’operatività dell’istituto, i
due limiti rappresentati dalla ragionevolezza dell’operazione che non deve
comportare rilevanti modifiche organizzative ovvero comportanti ampliamenti di
organico o innovazioni strutturali (Cass. n. 239
del 2005; Cass. n. 11427/2000) e dal
rispetto della dignità del lavoratore (Cass. n. 16305 del 2004), oltre alla
necessità del consenso di questi.
46. Delineato in tal modo il quadro giuridico, nel
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, può ritenersi che non vengono
in rilievo, ai fini dell’obbligo del repechage, tutte le mansioni inferiori
dell’organigramma aziendale, ma solo quelle che siano compatibili con il
bagaglio professionale del prestatore (cioè che non siano disomogenee e
incoerenti con la sua competenza) ovvero quelle che siano state effettivamente
già svolte, contestualmente o in precedenza.
47. Ciò è possibile affermare, ai fini del
bilanciamento di interessi di cui sopra, in un’ottica di compatibilità e di non
ingerenza nella determinazione dell’assetto aziendale, non essendo previsto un
obbligo del datore di lavoro, secondo la precedente versione dell’art. 2103 cc, di fornire un’ulteriore o diversa
formazione del prestatore per la salvaguardia del posto di lavoro (cfr. in
motivazione Cass. n. 5963 del 2013).
48. Resta fermo, comunque, che grava sul datore di
lavoro l’obbligo di provare -in base a circostanze oggettivamente
riscontrabili- che il lavoratore non abbia la capacità professionale richiesta
per occupare la diversa posizione libera in azienda, altrimenti il rispetto
dell’obbligo di repechage risulterebbe sostanzialmente affidato ad una mera
valutazione discrezionale dell’imprenditore (cfr. Cass.
n. 23340 del 2018).
49. Venendo, quindi, all’esame del motivo, rileva il
Collegio che la sentenza è immune dalle violazioni di legge denunciate.
50. Nella lettera di recesso, come evidenziato dallo
stesso ricorrente a pag. 11 del ricorso, era stato specificato che non vi erano
altre posizioni lavorative cui potere adibire il M.: ciò è sufficiente in
relazione agli oneri di prospettazione imposti al datore di lavoro.
51. La Corte territoriale, poi, attenendosi ai
principi giurisprudenziali sopra esposti, ha accertato, con indagine
adeguatamente e logicamente motivata, che l’unico posto disponibile
nell’organizzazione aziendale, nel periodo di osservazione ritenuto idoneo (semestre
successivo al licenziamento), riguardava una attività non attinente alle
competenze del M..
52. Correttamente, quindi, è stata esclusa ogni
violazione del principio dell’obbligo di repechage sotto i diversi profili
oggetto della censura.
53. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve
essere rigettato.
54. Al rigetto del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si
liquidano come da dispositivo.
55. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie della misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.