Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 novembre 2019, n. 31137

CCNL Comparto Agenzie Fiscali, Riconoscimento dell’indennità
di produttività, Equiparazione delle ore di congedo per maternità/paternità
alla presenza in ufficio del dipendente, Articolo 71, comma 5, del D.L. n.
112 del 2008, Norma priva di efficacia retroattiva e abrogata,
Irrilevanza, Previsione già contenuta nella contrattazione collettiva

 

Fatti di causa

 

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il
5 agosto 2014) respinge l’appello dell’Agenzia delle Dogane avverso la sentenza
del Tribunale di Milano n. 6025/2011, di accoglimento integrale del ricorso
proposto da (…) e dai litisconsorti indicati in epigrafe, onde ottenere – a
seguito della nascita dei propri figli negli anni dal 2004 al 2010 – dalla loro
datrice di lavoro, Agenzia delle Dogane, “il riconoscimento
dell’incidenza” dei rispettivi permessi di allattamento, dei periodi di
astensione obbligatoria per maternità e/o dei congedi parentali ai fini
dell’attribuzione del diritto ai buoni pasto, all’indennità di produttività
d’ufficio, all’indennità di obiettivo istituzionale, al cumulo dei periodi di
riposo per allattamento con i permessi retribuiti e con i periodi di utilizzo
della c.d. banca ore.

La Corte d’appello di Milano, per quel che qui
interessa, precisa che:

a) deve essere respinto il primo motivo di gravame
che riguarda l’indennità di produttività (di cui all’art. 4 del CCNL 15 gennaio
2005) in relazione ai periodi di congedo suddetti, in quanto l’art. 55 del CCNL del Comparto delle
Agenzie fiscali sottoscritto il 28 maggio 2004 stabilisce che, in caso di
congedo parentale e di interdizione anticipata dal lavoro, al dipendente spetta
l’intera retribuzione, comprese le quote di incentivi eventualmente previste
dalla contrattazione integrativa;

b) deve anche essere precisato che il CCNI
dell’Agenzia delle Dogane del 29 luglio 2008 (quadriennio 2002-2005) prevede la
liquidazione ai dipendenti dell’indennità di professionalità (ora indennità di
obiettivo istituzionale) e dell’indennità di produttività ufficio (artt. 14 e
15);

c) quanto stabilito dall’art. 55 cit. trova anche
riscontro nell’art. 71, comma 5,
del d.l. n. 112 del 2008, convertito dalla legge
n. 133 del 2008, che in via eccezionale, ai fini della distribuzione delle somme
dei fondi per la contrattazione integrativa (di regola derivante dalla presenza
in ufficio), ha sancito l’equiparazione alla presenza in servizio della assenze
dal servizio dei dipendenti dovute, fra l’altro, al congedo di maternità,
compresa l’interdizione anticipata dal lavoro, nonché al congedo di paternità;

d) di conseguenza, tale equiparazione vale per la
ripartizione delle componenti variabili della retribuzione, regolate dalla
contrattazione integrativa, come quelle in esame;

e) le suindicate disposizioni normative e
contrattuali consentono di superare l’art. 4 del CCNI 15 dicembre 2005 e l’art.
3, comma 2, della “Preintesa sulla utilizzazione delle risorse del Fondo
per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività”
del 9 dicembre 2008, secondo cui gli incentivi in questione sono da parametrare
alle “ore ordinarie di servizio effettivamente prestato”;

f) invero, il suddetto criterio vale come regola
generale, ma tale regola generale non trova applicazione per le ipotesi di assenza
per cui è causa, come si è detto;

g) è da condividere l’equiparazione – contestata
dall’Agenzia – delle ore di permesso per allattamento alle ore di effettiva
presenza in ufficio effettuata dal primo Giudice a tutti i fini oggetto della
presente causa;

h) ciò vale, in particolare, anche per l’erogazione
dei buoni pasto, indipendentemente dal rientro in azienda e anche in assenza di
pausa;

i) la suddetta equiparazione è, infatti,
espressamente stabilita dall’art. 39
del d.lgs. n. 151 del 2001, secondo cui i permessi in questione “sono
considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del
lavoro” ed anche la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata in tal
senso;

I) non rileva, in contrario, l’eventuale mancanza di
pausa, perché la pausa costituisce un diritto del lavoratore la cui presenza in
ufficio si protragga oltre le sei ore, non un onere al quale possa essere
subordinata l’attribuzione dei buoni pasto, come di desume dall’art. 40 del
CCNL cit.;

m) in tal senso depongono sia l’art. 5, lettera c) del dPCM 18 novembre
2005 – che prevede l’attribuibilità dei buoni pasto anche se l’orario di
lavoro non stabilisce una pausa per il pasto – sia lo stesso art. 39 cit., secondo cui il
permesso per l’allattamento implica il “diritto ad uscire
dall’azienda”, diritto che non può precludere il riconoscimento del buono
pasto pure in assenza di una pausa;

n) del resto, sia il Comitato Nazionale di Parità (9
marzo 1999), sia l’ARAN (nota del 15 gennaio 1999), sia il Ministero delle
Attività Produttive (provv. del 2 febbraio 2006) hanno espressamente previsto
la spettanza dei buoni pasto in caso di fruizione dei permessi per
l’allattamento;

o) infine, il carattere generale dell’equiparazione
di cui all’art. 39 cit. impone
di considerare le ore di permesso per l’allattamento quali ore di effettivo
servizio sia per l’attribuzione degli incentivi di cui alla contrattazione
collettiva, sia per il cumulo con i periodi di fruizione delle ore accantonate
nella “banca ore”, pure nei casi in cui tale cumulo copra l’intera
giornata lavorativa e la presenza in servizio venga quindi a mancare del tutto;

p) tale conclusione trova conferma nella circolare dell’INPS n. 95-bis del 6 settembre 2006;

o) per tutte le anzidette ragioni la sentenza
appellata va integralmente confermata.

2. Il ricorso dell’Agenzia delle Dogane e dei
Monopoli (Direzione regionale per la Lombardia), rappresentata e difesa
dall’Avvocatura generale dello Stato, domanda la cassazione della sentenza per
tre motivi; resistono, con un unico controricorso, (…) e gli altri
litisconsorti indicati in epigrafe.

3. Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

I- Profili preliminari

1. Preliminarmente va respinta l’eccezione dei
controricorrenti di inammissibilità del ricorso ex art.
360-bis, n. 1, cod. proc. civ., per essere la sentenza impugnata conforme
alla giurisprudenza di legittimità e non offrendosi nel ricorso argomenti
validi per modificare il suddetto indirizzo.

Deve essere, infatti, precisato che tale eccezione è
basata sull’erroneo presupposto dell’esistenza, con riguardo alle questioni qui
dibattute, di una giurisprudenza di questa Corte “consolidata” che
sarebbe stata seguita dalla Corte d’appello, mentre le questioni controverse
sono da considerare per la maggior parte sostanzialmente nuove per la
giurisprudenza di legittimità.

1.1. Peraltro, per costante orientamento di questa
Corte, le situazioni di inammissibilità indicate nell’art. 360-bis, primo comma, cod. proc. civ., non
integrano dei nuovi motivi di ricorso accanto a quelli previsti dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., in quanto
sono state configurate dal legislatore come strumenti utili alla specifica
funzione di “filtro”, dei ricorsi per cassazione di agevole
soluzione, sicché sarebbe contraddittorio trarne la conseguenza di ritenere
ampliato il catalogo dei vizi denunciabili (vedi, per tutte: Cass. 29 ottobre 2012, n. 18551; Cass. 8 aprile
2016, n. 6905).

In particolare, quanto all’ipotesi di cui al n. 1
dell’art. 360-bis cod. proc. civ. – che viene
qui in considerazione – è stato precisato che la funzione di filtro
dell’ipotesi di inammissibilità prevista dalla disposizione consiste
nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimerecompiutamente la sua adesione al
persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida
delibazione dei ricorsi “inconsistenti” (Cass. SU 21 marzo 2017, n.
7155).

1.2. Il presente ricorso non risponde a tale schema
proprio perché le censure con esso proposte non contestano alcun orientamento
“consolidato” di questa Corte cui si sarebbe uniformata la Corte
territoriale ed è quindi necessario esaminarle nel merito.

II – Sintesi dei motivi di ricorso

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

1.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione
all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione
e/o falsa applicazione degli artt.
7, comma 5, e 45 del
d.lgs. n. 165 del 2001; dell’art.
22, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 e dell’art. 4 del CCNI del 15
novembre 2005 nonché dell’art. 3, comma 2, della “Preintesa sulla
utilizzazione delle risorse del Fondo per le politiche di sviluppo delle
risorse umane e per la produttività” del 9 dicembre 2008 e degli artt. 1362 e ss. cod. civ., con riguardo al
riconoscimento dell’indennità di produttività, avvenuto in base all’art. 55 del CCNL Comparto Agenzie Fiscali
del 28 maggio 2004 e all’art.
71 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

Ad avviso della Agenzia ricorrente l’interpretazione
sul punto della Corte d’appello – fondata sulla equiparazione delle ore di
congedo per / maternità/paternità alla presenza in ufficio del dipendente, ai
fini della corresponsione dell’indicata indennità – sarebbe erronea perché,
ponendosi in contrasto con la normativa invocata e in particolare con l’art. 4
del CCNI (volto a premiare la presenza dei dipendenti in ufficio, in coerenza
con l’art. 7, comma 5, del
d.lgs. n. 165 del 2001), si è tradotta nella equiparazione tra ore di
assenza ed ore di lavoro effettivo, in caso di congedo parentale, per tutta la
durata dei periodi cui si riferiscono le domande dei dipendenti (i cui figli
sono nati negli anni dal 2004 al 2010).

Di conseguenza la Corte territoriale ha disposto la
liquidazione dell’indennità di produttività – secondo il criterio adottato e
contestato – anche per gli anni dal 2002 al 2006, in cui la disciplina era
dettata dal citato art. 4 del CCNI, così facendo retroagire illegittimamente
gli effetti dell’art. 71, comma
5, del d.l. n. 112 del 2008, convertito dalla legge
n. 133 del 2008, di cui l’Agenzia aveva dato applicazione già a partire
dall’anno 2007.

Il suddetto art. 71, comma 5, ha previsto,
ai fini della distribuzione delle somme dei fondi per la contrattazione
integrativa, l’equiparazione alla presenza in servizio della assenze dal
servizio dei dipendenti dovute, fra l’altro, al congedo di maternità, compresa
l’interdizione anticipata dal lavoro nonché al congedo di paternità.

Tuttavia tale norma non solo era priva di efficacia
retroattiva, ma è stata abrogata dall’art. 17, comma 23, lett. d), del
d.l. 1° luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge
3 agosto 2009, n. 102, sicché essa può essere applicata soltanto alle
assenze effettuate nel periodo compreso tra la vigenza del d.l. n. 112 del 2008 e quella del d.l. n. 78 del 2009.

Di tutto questo la Corte d’appello non ha tenuto
conto.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione
all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione
e/o falsa applicazione dell’art. 39
del d.lgs. n. 151 del 2001 e dell’art. 98 del CCNL 28 maggio 2004,
in riferimento al riconoscimento dei buoni pasto.

Si rileva che tale statuizione è fondata sulla
ritenuta applicabilità dell’equiparazione delle ore di permesso per
allattamento all’effettiva presenza in ufficio ai fini dell’attribuzione dei
buoni pasto e a prescindere dalla pausa per consumazione del pasto, mentre di
tratta di un diritto riconosciuto al lavoratore a condizione che la sua
presenza sul lavoro si protragga oltre le sei ore.

Si sostiene che una simile interpretazione si pone
in contrasto con le norme sopra richiamate nonché con la natura giuridica dei
buoni pasto quale stabilita dalla giurisprudenza di legittimità ed indicata
anche dall’ARAN (nota n. 9186 del 26 ottobre 2006).

Né il Giudice d’appello ha correttamente valutato la
posizione lavorativa dei ricorrenti – che, in ogni giornata lavorativa, hanno
svolto 5, 12 ore di lavoro effettivo e si sono giovati di 2 ore di riposo per
allattamento – secondo le indicazioni della con trattazione collettiva.

Infatti, anche se i permessi per l’allattamento non
comportano restrizioni sul fronte del trattamento retributivo, tuttavia non è
ragionevole attribuire ai lavoratori che ne usufruiscono anche quegli speciali
trattamenti assistenziali (quali sono i buoni pasto) previsti in favore dei
lavoratori che non si allontanano dal luogo di lavoro.

1.3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione
all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione
e/o falsa applicazione dell’art. 39,
comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001, in riferimento al disposto
riconoscimento in favore dei dipendenti di tutti gli ulteriori emolumenti
richiesti, sempre sulla base dell’erronea premessa dell’equiparazione delle ore
di permesso per allattamento all’effettiva presenza in ufficio.

Con riguardo a tali emolumenti la contrattazione
collettiva non reca alcuna specifica disciplina.

Pertanto l’unica disposizione cui fare riferimento è
il citato art. 39, comma 2, ove
si riconosce “il diritto della donna ad uscire dall’ufficio” per
fruire di brevi periodi di riposo, che concorrono nella durata dell’orario di
lavoro, pur non configurandosi come attività lavorativa.

Tuttavia, dalla lettura del testo della disposizione
si desume che il riconoscimento del suddetto diritto implica che l’interessata
abbia fatto ingresso in ufficio o abbia effettivamente svolto la prestazione
lavorativa.

Pertanto, sarebbe palesemente illegittima
l’interpretazione – adottata dalla Corte d’appello – secondo cui, sulla base di
tale norma, si arriva a riconoscere a dipendenti anche del tutto assenti dal
servizio, per qualsiasi motivo, degli emolumenti accessori, a carattere
speciale e tassativo, previsti esclusivamente per i dipendenti effettivamente
presenti in ufficio.

III – Esame delle censure

3. L’esame delle censure porta al rigetto del primo
e del terzo motivo di ricorso e all’accoglimento del secondo motivo, per le
ragioni di seguito esposte.

4. Il primo motivo – con il quale si contesta il
riconoscimento dell’indennità di produttività – è inammissibile per la parte in
cui viene denunciata la violazione dell’art. 4 del CCNI del 15 novembre 2005
nonché dell’art. 3, comma 2, della “Preintesa sulla utilizzazione delle
risorse del Fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la
produttività” del 9 dicembre 2008, in primo luogo, perché tali censure
sono proposte senza osservare il principio di specificità dei motivi di ricorso
per cassazione, in base al quale il ricorrente, qualora proponga delle censure
attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali, è
tenuto a trascriverne nel ricorso il contenuto essenziale e nel contempo a
provvedere al relativo deposito insieme con il ricorso per cassazione stesso
oppure a fornire alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e
il reperimento negli atti processuali (di recente: Cass. SU 23 settembre 2019,
n. 23552 e n. 23553).

Il suddetto principio di applica anche ai contratti
collettivi integrativi perché come chiarito da questa Corte, con un consolidato
e condiviso indirizzo, l’esenzione dall’onere di depositare, unitamente con il
ricorso per cassazione, il contratto collettivo del settore pubblico su cui il
ricorso si fonda deve intendersi limitata ai contratti nazionali, con
esclusione di quelli integrativi, atteso che questi ultimi, attivati dalle
Amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dai contratti
collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi
ultimi prevedono, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al
Comparto, pure nell’ipotesi in cui siano parametrati al territorio nazionale in
ragione dell’Amministrazione interessata e per essi non è previsto, a
differenza dei contratti collettivi nazionali, il particolare regime di
pubblicità di cui all’art.
47, ottavo comma, del d.lgs. n. 165 del 2001 (vedi, per tutte: Cass. 11
aprile 2011, n. 8231; Cass. 12 ottobre 2016, n. 20554; Cass. 9 giugno 2017, n.
14449).

A maggior ragione il principio suddetto trova
applicazione con riguardo agli altri atti della contrattazione collettiva
diversi dai contratti collettivi nazionali di lavoro, quale è nella specie la
suddetta Preintesa.

4.1. La mancata estensione per i contratti
integrativi dell’esenzione dal duplice onere di depositare il contratto e di
riportare nel ricorso il contenuto della normativa collettiva integrativa di
cui censuri l’illogica o contraddittoria interpretazione comporta anche che la
denuncia di tale ultimo vizio non possa essere formulata facendo esclusivo
riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
ma debba essere prospettata come violazione dei canoni legali di ermeneutica
contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ.

Ciò significa che il ricorrente non solo deve fare
puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica
indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti,
ma deve, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il Giudice
del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza
dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita
violazione delle norme ermeneutiche e si risolva, in realtà, nella proposta di
una interpretazione diversa da quella adottata nella sentenza impugnata (tra le
tante: Cass. 30 aprile 2010, n. 10554; Cass. 10 maggio 2018, n. 11254; Cass. 26
luglio 2019, n. 20294).

4.3. Nel presente motivo la Agenzia ricorrente si è
limitata ad includere, nella rubrica, gli artt.
1362 e ss. cod. civ. tra le norme asseritamente violate, senza alcuna
successiva specificazione al riguardo, nei sensi dianzi detti, nell’ambito
delle argomentazioni delle censure.

4.4. Per il resto il primo motivo non è fondato.

4.4.1. In primo luogo va precisato che nella
presente controversia non viene in considerazione l’astensione facoltativa per
maternità (cui fa riferimento la Agenzia ricorrente in memoria), ma quella
obbligatoria oltre ai congedi di maternità, di paternità e parentali, come
chiaramente indicato nella sentenza impugnata.

4.4.2. Deve anche essere osservato che l’art. 55 CCNL del Comparto Agenzie
fiscali del 28 maggio 2004 invocato dalla Corte d’appello ha avuto
applicazione a partire dall’1 gennaio 2002, come risulta dall’art. 2, comma 1, dello stesso
contratto ove si precisa che: “il presente contratto concerne il periodo 1
gennaio 2002 – 31 dicembre 2005 per la parte normativa ed il periodo 1 gennaio
2002 – 31 dicembre 2003 per la parte economica”.

Pertanto, diversamente da quel che sostiene
l’Agenzia ricorrente, la suindicata disposizione era applicabile anche per gli
anni dal 2002 al 2006, come ritenuto dalla Corte territoriale, senza che nella
sentenza impugnata sia stata effettuata alcuna illegittima retroazione degli
effetti dell’art. 71, comma 5,
del d.l. n. 112 del 2008, convertito dalla legge
n. 133 del 2008 (di cui l’Agenzia aveva dato applicazione a partire
dall’anno 2007).

4.4.3. Detto questo, dalla piana lettura dell’art. 55 del CCNL del Comparto
delle Agenzie fiscali cit. risulta che, con esso, si è fra l’altro stabilito
che, oltre a quanto previsto dalle disposizioni in materia di tutela della
maternità contenute nel d.lgs. n. 151 del 2001,
“ai fini del trattamento economico le parti concordano quanto segue: a)
nel periodo di astensione obbligatoria, ai sensi degli artt. 16 e 17, commi 1 e 2 del d.lgs.
151/2001, alla lavoratrice o al lavoratore, anche nell’ipotesi di cui all’art. 28 del citato decreto
legislativo, spetta l’intera retribuzione fissa mensile nonché l’indennità di
Agenzia di cui all’art. 87
( indennità di Agenzia) e l’indennità di posizione organizzativa di cui all’art. 28 (retribuzione di
posizione e di risultato), ove spettante, e le quote di incentivo eventualmente
previste dalla contrattazione integrativa”.

Questo regime ha trovato anche riscontro nell’art. 71, comma 5, del d.l. n. 112
del 2008, convertito dalla legge n. 133 del
2008, che in via eccezionale, ai fini della distribuzione delle somme dei
fondi per la contrattazione integrativa (di regola derivante dalla presenza in
ufficio), ha sancito l’equiparazione alla presenza in servizio della assenze
dal servizio dei dipendenti dovute, fra l’altro, al congedo di maternità,
compresa l’interdizione anticipata dal lavoro, nonché al congedo di paternità.

4.4.4. Tale comma 5 è stato abrogato dall’art. 17, comma 23, lett. d), d.l. 1
luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 3
agosto 2009, n. 102, che ha stabilito che gli effetti di tale abrogazione
dovessero concernere le assenze effettuate successivamente alla data di entrata
in vigore del suddetto d.l. n. 78 del 2009 (1
luglio 2009).

Tuttavia, ai fini che qui interessano, la suddetta
abrogazione non ha rilievo in quanto il suindicato art. 55 CCNL cit. non risulta
essere mai stato modificato o eliminato dalla contrattazione collettiva
nazionale del Comparto Agenzie fiscali.

Anzi nell’art. 44 del CCNL 12 febbraio 2018
del Comparto Funzioni centrali Periodo 2016-2018 – applicabile ai dipendenti di
tutte le Amministrazioni di tale Comparto, indicate all’art. 3 del CCNQ sulla
definizione dei Comparti di contrattazione collettiva del 13 luglio 2016, ivi
comprese l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli,
destinatarie dei precedenti CCNL del comparto Agenzie Fiscali (art. 1, comma 6,
del suddetto CCNL) – si riprende, sostanzialmente, il contenuto precettivo del
suddetto art. 55
(allargandone anche l’ambito applicativo) stabilendosi che:

“1. Al personale dipendente si applicano le
vigenti disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della
paternità contenute nel d.lgs. n. 151 del 2001,
come modificato e integrato dalle successive disposizioni di legge, con le
specificazioni di cui al presente articolo.

2. Nel periodo di congedo per maternità e per
paternità di cui agli articoli 16,
17 e 28 del d.lgs. n. 151 del 2001, alla lavoratrice o al lavoratore
spettano l’intera retribuzione fissa mensile, inclusi i ratei di tredicesima
ove maturati, le voci del trattamento accessorio fisse e ricorrenti, compresa
l’indennità di posizione organizzativa, nonché i premi correlati alla
performance secondo i criteri previsti dalla contrattazione integrativa ed in
relazione all’effettivo apporto partecipativo del dipendente, con esclusione
dei compensi per lavoro straordinario e delle indennità per prestazioni
disagiate, pericolose o dannose per la salute”.

4.4.5. Poiché, com’è noto, la contrattazione
collettiva integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti
stabiliti dai contratti collettivi nazionali è da escludere che tale
contrattazione possa contenere norme che non rispettino i suddetti vincoli e
limiti, tanto che le clausole che siano in contrasto con essi sono nulle, non
possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419,
secondo comma, cod. civ. (art. 40 d.lgs. n. 165 del 2001).

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