Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 novembre 2019, n. 30664
Indennità di trasferta, Rimborso chilometrico, Sede abituale
– Sede di nuova assegnazione
Rilevato che
1. La Corte di appello di Torino ha condannato la
società A. s.p.a. al pagamento in favore di W.B. della somma di € 3.250,01,
oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, a titolo di indennità di
trasferta e rimborso chilometrico di cui agli artt. 99 e 100 del c.c.n.l. di
categoria ed all’art. 21 del contratto integrativo regionale del Piemonte.
2. La Corte di merito ha ritenuto che ai sensi
dell’art. 21 del c.i r. l’indennità chilometrica e l’indennità di trasferta
sono corrisposte in tutte le ipotesi in cui il lavoratore sia assegnato, anche
temporaneamente, ad una sede diversa, (intesa come confine della sede di lavoro
ed anche nel caso di avvicinamento alla abitazione di residenza) a condizione
che la sede di nuova assegnazione disti più di venti chilometri da quella
abituale.
3. Nel pervenire a tale ricostruzione la Corte di
merito, richiamando dei suoi precedenti specifici, ha ritenuto che dovesse
essere valorizzato il dato letterale ed ha ritenuto che per sede abituale
dovesse ritenersi il comune in cui ha sede l’azienda, suoi distaccamenti o aree
individuati da accordi con le parti collettive che hanno sottoscritto il
contratto integrativo. Ha poi ritenuto che altro dato qualificante, sempre ai
sensi del citato art. 21, era dato dalla temporaneità dell’assegnazione con
provvedimento diverso dal trasferimento e, inoltre, la circostanza che la sede
di destinazione temporanea fosse più vicina di quella di aziendale
all’abitazione del lavoratore era giustificata dal fatto che l’art. 21 comma 4
deroga in melius alla previsione contenuta nell’art. 100 del c.c.n.l. secondo
cui in caso di avvicinamento, pari o inferiore a 20 Km, nulla è dovuto al
lavoratore.
4. Per la cassazione della sentenza propone ricorso
la A. s.p.a. che articola un unico motivo cui resiste con controricorso W.B..
Ai sensi dell’art. 380 bis.1. cod. proc. civ.
la ricorrente ha depositato memoria per insistere nelle conclusioni già prese.
Considerato che
5. Con un unico motivo di ricorso è denunciata la
violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,
1363 cod. civ. e degli artt. 99 e 100 del c.c.n.l.
per i dipendenti degli istituti di vigilanza e dell’art. 21 del c.c.i.r. di
lavoro per i dipendenti degli istituti di vigilanza del Piemonte.
5.1. Sostiene la ricorrente che la Corte
nell’interpretare le disposizioni collettive ricordate avrebbe dovuto tenere
conto oltre che del dato testuale anche degli altri canoni di interpretazione
tenuto conto dell’apparente contrasto che si evince dalla lettura del comma 4
dell’art. 21 e le altre disposizioni contrattuali ricordate.
5.2. Da un canto l’art. 21 comma 1, specificazione
delle disposizioni generali di cui agli artt. 99 e 100 c.c.n.l. che
escludono ogni compenso per il tragitto tra l’abitazione e la sede di lavoro
abituale, attribuisce il diritto al rimborso nel caso di temporanea
assegnazione a sede diversa in relazione al “maggior percorso effettuato
rispetto alla sede abituale di lavoro” quando il lavoratore sia inviato in
servizio temporaneamente ad almeno dieci Km dai confini dei comuni considerati
normale località di lavoro (trasferta per le ore fuori sede e rimborso spese)
rispetto a distanza abitualmente percorsa. In definitiva, ad avviso della
società ricorrente, l’art. 21 comma 4 del c.c.i.r. ha specificato in senso
migliorativo il contenuto dell’art.
100 del c.c.n.l. ed ha limitato il trattamento più favorevole al caso in
cui la sede temporanea, pur più vicina rispetto a quella di servizio alla sua
residenza, sia comunque ad una distanza superiore a venti km dalla sede di
servizio circostanza, questa, che nella specie non ricorreva.
6. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
6.1. La Corte territoriale, nell’interpretare la
disciplina collettiva evocata, non è incorsa nella violazione denunciata. Come
è stato anche di recente chiarito (cfr. Cass. 26/07/2019 n. 20294, 28/06/2017
n. 16181), nell’interpretazione del contratto – attività riservata al giudice
di merito censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni
ermeneutici o vizio di motivazione – il carattere prioritario dell’elemento
letterale non va inteso in senso assoluto in quanto il richiamo contenuto nell’art. 1362 cod.civ. alla comune intenzione delle
parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e
sistematici laddove si registri, pur nella chiarezza del testo dell’accordo,
una incoerenza con indici esterni che rivelino una diversa volontà dei
contraenti. In tal caso assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico
di cui all’art. 1363 cod.civ., che impone di
desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle
diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi conto, se
del caso, anche del comportamento successivo delle parti.
6.2. Orbene nel caso in esame la Corte di merito si
è preoccupata proprio di procedere ad una interpretazione complessiva delle
clausole contrattuali ed ha ritenuto che la disciplina regionale, dettata
dall’art. 21 comma 4, aveva derogato in melius a quella nazionale prevista
dall’art. 100 del c.c.n.l..
Ha poi sottolineato che l’indennità chiesta era connessa alla temporanea
assegnazione a sede diversa da quella assegnata e che l’avvicinamento alla
residenza non poteva escludere l’erogazione del compenso come previsto dalla
norma nazionale atteso che proprio questo era il contenuto migliorativo della
modifica prevista dalla disciplina collettiva regionale.
6.3. Osserva il Collegio che la ricostruzione
operata dalla Corte di appello della volontà delle parti collettive passa
attraverso una interpretazione della disposizione che tiene conto di tutto il
complesso in cui la norma collettiva si inserisce e valorizza l’intenzione
delle parti di apprestare un trattamento di miglior favore.
6.4. Nessuna incoerenza evidente poteva determinare
allora il ricorso ad altri canoni di interpretazione diversi da quelli
utilizzati dalla Corte di merito.
In conclusione, per le ragioni su esposte, il
ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
in dispositivo. Ai sensi dell’art.
13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso a norma dell’art.13
comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che si liquidano in € 4.000,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli
accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato
d.P.R., se dovuto.