Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 dicembre 2019, n. 31697

Stato passivo del fallimento, lnsinuazione del credito per
differenze retributive e per tfr, Qualificazione del rapporto come lavoro
autonomo, Volontà espressa dalle parti nel contratto, Contestazione della
valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito,
Ricorso inammissibile in Cassazione

 

Rilevato

 

che con decreto in data 5- 9 ottobre 2017 numero
2379 il Tribunale di Napoli rigettava la opposizione proposta da G.M. avverso
lo stato passivo del fallimento della società G. Srl, per l’insinuazione del
credito per differenze retributive e per TFR (euro 85.081,79) maturato nel
corso del rapporto di lavoro dipendente intercorso con la società fallita dal
28 aprile 2008 al maggio 2010;

che a fondamento della decisione il Tribunale
osservava che al M. era stato affidato con contratto del 28 aprile 2008
l’incarico professionale di direzione del cantiere della G. S.r.l. in Napoli,
Via N.P..

Particolare rilievo assumeva la volontà espressa
dalle parti nel contratto nel senso della qualificazione del rapporto come
lavoro autonomo; tale collaborazione corrispondeva alla professionalità
dell’opponente, che aveva già svolto numerosi incarichi nell’interesse della
società in bonis quale libero professionista.

Le clausole del contratto erano coerenti con la
qualificazione formale; il contratto disciplinava oggetto e durata
dell’incarico e prevedeva un compenso maggiore di quello stabilito dal
contratto di categoria, ad ulteriore conferma del fatto che la determinazione
del corrispettivo era parametrata in ragione della tariffa professionale,
mediante la pattuizione di un ammontare unico— e non periodico— pagato dalla
società dietro l’emissione di regolare fattura.

Le clausole invocate dal ricorrente a riprova della
fondatezza della sua tesi non erano decisive: quanto alla imposizione di una
presenza giornaliera nell’area di cantiere, la stessa legge professionale
(legge 144/1949 e successive modifiche) contemplava l’ipotesi che la direzione
del cantiere potesse svolgersi con la presenza giornaliera e prolungata del
geometra, ricollegando a ciò un incremento del corrispettivo; quanto
all’osservanza delle direttive impartite dalla società committente, il
particolare contesto lavorativo— il cantiere per la realizzazione di un’opera
edile— necessitava di una organizzazione del lavoro, per la confluenza di
diversi profili professionali (direttore dei lavori, direttore di cantiere,
progettista).

Il regolamento contrattuale non solo non prevedeva
il versamento a cadenze fisse della retribuzione ma consentiva al M. di
avvalersi di collaboratori per l’adempimento della prestazione.

I testimoni escussi nel giudizio di lavoro
interrotto per il fallimento, le cui deposizioni erano state acquisite al
procedimento, pur confermando la continuità della presenza del M. nel cantiere,
avevano escluso sia che lo stesso avesse un orario di lavoro predeterminato e
soggetto a rilevazione sia che egli dovesse ricevere l’autorizzazione del
committente per assentarsi. Inoltre avevano precisato che il M. si alternava
con gli altri professionisti e che dopo l’interruzione dei lavori presso il
cantiere aveva continuato a prestare la sua opera esclusivamente al fine di
risolvere le problematiche che avevano determinato il suo sequestro.

che avverso il decreto ha proposto ricorso G.M.,

articolato in un unico motivo, cui il curatore del
fallimento della società G. Srl non ha opposto difese;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle
parti — unitamente al decreto di fissazione della adunanza camerale— ai sensi
dell’articolo 380 bis codice di procedura civile;

che la parte ricorrente ha depositato memoria in
data 1 luglio 2019;

 

Considerato

 

che con l’unico motivo la parte ricorrente ha
dedotto – ai sensi dell’articolo 360 numero 3
codice di procedura civile – violazione degli articoli
2094 e 2222 codice civile per erronea
determinazione dei criteri di qualificazione del rapporto di lavoro
subordinato.

Ha assunto che il Tribunale, pur formalmente
richiamando i criteri di qualificazione enunciati da questa Corte, aveva basato
la decisione esclusivamente sul nomen iuris dato dalle parti al contratto di
lavoro e che alla luce di esso aveva proceduto alla valutazione di tutti gli
elementi istruttori.

Dalla prova testimoniale risultava che egli era
sottoposto al potere direttivo dell’amministratore della G. srl, signor L.G. e
che era inserito stabilmente nell’organizzazione del datore di lavoro, con il
compito di coordinare le attività del cantiere, decidere l’ utilizzo delle
macchine e delle attrezzature, di proprietà della G., assicurare il
rifornimento dei materiali e controllarne qualità e quantità.

Egli non aveva assunto alcun rischio economico né
una obbligazione di risultato ma piuttosto di lavoro, svolgendo tale attività
ininterrottamente dall’aprile 2008 all’aprile 2010, tanto che era rimasto nel
cantiere anche dopo il suo sequestro, continuando ad occuparsi dell’aspetto
amministrativo dei lavori.

che ritiene il Collegio si debba dichiarare il
ricorso inammissibile;

che, invero, nella giurisprudenza di questa Corte è
costante l’affermazione secondo cui, ai fini della qualificazione del rapporto
di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità
soltanto la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso
concreto – cioè l’individuazione del parametro normativo- mentre costituisce
accertamento di fatto, come tale censurabile in detta sede nei limiti di
deducibilità del vizio di motivazione, la valutazione delle risultanze
processuali al fine della verifica di integrazione del parametro normativo
(cfr. Cassazione civile sez. lav., 01/03/2018,
n.4884; Cass., n. 17009 del 2017; Cass.,
Sez. 6, n. 9808 del 2011; Cass., n. 13448 del 2003; Cass., n. 8254 del 2002;
Cass., n. 14664 del 2001; Cass., n. 5960 del 1999).

Nella fattispecie di causa la parte ricorrente
deduce formalmente la violazione dei criteri di qualificazione del rapporto di
lavoro ma nei contenuti della censura contesta la valutazione delle risultanze
istruttorie compiuta dal giudice del merito. Assume, invero, che dalla prova
testimoniale sarebbe emersa la propria soggezione al vincolo gerarchico, ciò
che invece la Corte di merito ha motivatamente escluso all’esito della
valutazione dei medesimi elementi di prova valorizzati dalla odierna parte
ricorrente a sostegno del proprio assunto . La censura devolve, dunque, a
questo giudice di legittimità un non-consentito riesame del merito;

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del
relatore, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ordinanza in camera
di consiglio ex articolo 375 cod.proc.civ;

che non vi è luogo a provvedere sulle spese per la
mancata costituzione del curatore del fallimento;

che, il ricorrente, ammesso al patrocinio a spese
dello Stato con delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del
14.11.2017, non è tenuto al versamento dell’ulteriore importo del contributo
unificato di cui all’art. 13, comma
1-quater DPR 115/2002, stante la prenotazione a debito prevista dal
combinato disposto di cui agli artt.
11 e 131 del medesimo
decreto (ex plurimis: Cassazione civile, sez. VI, 12/04/2017, n. 9538)

 

P.Q.M.

 

dichiara la inammissibilità del ricorso. Nulla per
le spese.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. 115
del 2002 dà atto della NON sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello
stesso articolo 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 dicembre 2019, n. 31697
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