Giurisprudenza – TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE LAZIO – Ordinanza 29 ottobre 2019

Spese di giustizia, Rimborso delle spese di patrocinio legale
– Rimborso delle spese legali sostenute da dipendenti pubblici per la difesa
nei giudizi civili, penali o amministrativi in relazione a fatti commessi
nell’esercizio delle funzioni e conclusi con sentenza o provvedimento che
escluda la loro responsabilità, Mancata previsione del rimborso anche ai
funzionari onorari chiamati a svolgere funzioni sostitutive o integrative o
comunque equivalenti a quelle svolte da funzionari di ruolo
dell’Amministrazione dello Stato o quantomeno ai magistrati onorari nominati ai
sensi della legge n. 374 del 1991, Decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67 (Disposizioni
urgenti per favorire l’occupazione), convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 1997, n. 135, art. 18

 

Fatto e svolgimento del processo

 

1. La ricorrente, dottoressa M.M. …, giudice di
pace presso la sede di …, è stata sottoposta a procedimento penale ed
imputata dal reato p. e p. dall’art. 319-ter del
codice penale per fatti commessi nell’esercizio delle funzioni di giudice
onorario; è stata, poi, assolta dall’imputazione ascrittale «perchè il fatto
non sussiste» etanto con sentenza del GUP presso il Tribunale di Lecce n. 5/14
dell’8 gennaio 2014 (depositata in segreteria il 7 aprile 2014), divenuta
irrevocabile in data 27 maggio 2014.

2. Reimmessa nell’esercizio delle funzioni con
deliberazione del CSM del 22 luglio 2014, la dottoressa M. …, ha presentato
al Ministero della giustizia istanza di rimborso delle spese legali sostenute
del corso del predetto procedimento penale, invocando a tal fine l’art. 18 del decreto-legge n. 67/97,
convertito nella legge n. 135/1997. Tale
richiesta è stata respinta con provvedimento del Ministero della giustizia –
Direzione generale dei magistrati – prot. n. 0072812.U del 30 maggio 2016, che
si fonda su due rilievi: a) la norma citata riserva il beneficio di che
trattasi ai soli dipendenti e/o amministratori pubblici e non può trovare
applicazione al di fuori delle ipotesi ivi specificamente disciplinate; b) il
rapporto che lega i giudici onorari al Ministero della giustizia non può essere
inquadrato, nonostante la sua continuità, nel modello del rapporto di lavoro
subordinato o parasubordinato, e come tale sarebbe sottratto alla applicazione
dell’art. 18 del decreto-legge
n. 67/97.

 3. Con il
ricorso in epigrafe indicato la dottoressa M. …, ha chiesto, a questo
Tribunale amministrativo regionale, l’annullamento dell’indicato provvedimento
ministeriale, chiedendo altresì la condanna del Ministero al rimborso delle
spese legali sostenute per la difesa penale, nella misura già indicata nella
istanza del 23 ottobre 2014: il ricorso si fonda, in particolare: I) sulla
ritenuta natura subordinata del rapporto che lega i giudici di pace al
Ministero della giustizia, che sarebbe reso manifesto dall’esplicito
riconoscimento legislativo circa il fatto che i magistrati onorari sono
inseriti nell’Ordinamento giudiziario; II) sulla conseguente violazione dell’art. 18 del decreto-legge n. 67/97,
convertito nella legge n. 135/1997, posto che i
magistrati onorari, in quanto appartenenti all’Ordine giudiziario (ex art. 1, comma 2, della legge n.
374/91), sono appunto da considerarsi a tutti gli effetti quali «dipendenti
dell’amministrazione statale»; III) in subordine il ricorso prospetta
l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 del decreto-legge n. 67/97:
secondo la ricorrente, la circostanza che i magistrati onorari, seppure
nell’ambito di un rapporto non inquadrabile nel lavoro subordinato o parasubordinato,
svolgono vere e proprie funzioni giurisdizionali, impone che essi debbano
fruire del beneficio in questione, al pari di qualsiasi magistrato «togato» che
venga ingiustamente accusato per fatti commessi nell’esercizio delle funzioni,
venendo poi prosciolto con formula piena. L’attuale formulazione dell’art. 18 del decreto-legge n. 69/97,
se interpretato nel senso di non includere, tra i possibili beneficiari, i
magistrati onorari, determina quindi una irragionevole ed ingiusta disparità di
trattamento tra magistrati onorari e magistrati togati, in violazione dell’art. 3 della Costituzione, in relazione agli artt. 101 e 102
della medesima Carta costituzionale.

 4. Il
Ministero della giustizia si è costituito in giudizio per resistere al ricorso.
Richiamati i tratti distintivi sussistenti tra il rapporto che lega il
Ministero della giustizia ai magistrati onorari e professionali, cosi come
evidenziati dalla consolidata giurisprudenza, il Ministero ha sostenuto che
l’inserimento dei magistrati onorari nell’Ordinamento giudiziario non può
considerarsi sintomatico dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato o
parasubordinato, avendo la sola funzione di estendere, nei confronti dei
magistrati onorari, i doveri, le responsabilità ed i controlli previsti per i
magistrati togati. L’Avvocatura erariale ha, in particolare, richiamato
pronunce di giudici di merito (cfr. Tribunale di Roma, 12 ottobre 2012, n.
16466; Tribunale di Avellino, 8 gennaio 2013, n. 17; Corte d’appello di Torino,
sentenza n. 367/2015 pubblicata il 19 giugno 2014; Tribunale ordinario di
Milano, sentenza n. 2147/2016 del 14 luglio 2016 pubblicata il 20 luglio 3016),
le quali hanno evidenziato la specialità del trattamento economico previsto per
i giudici onorari, la cumulabilità di esso con i trattamenti pensionistici
nonchè la possibilità garantita ai magistrati onorari di esercitare la
professione forense, per affermare che ad essi non sono estensibili le
posizioni giuridiche ed economiche previste per i dipendenti pubblici, il cui
status giuridico ed economico è disciplinato sulla base di parametri
completamente diversi da quelli previsti per i dipendenti pubblici. Nessuno
spazio può dunque esservi, a detta del Ministero della giustizia, per applicare
ai magistrati onorari l’art. 18
del decreto-legge n. 67/97.

 5. Il ricorso
è stato chiamato, per la discussione del merito, alla pubblica udienza del 19
giugno 2019, in occasione della quale la ricorrente, anche con memoria scritta,
ha ulteriormente argomentato sulla incostituzionalità dell’art. 18 del decreto-legge n. 67/97
ed il ricorso è stato introitato in decisione.

 

Diritto

 

 6. Il
Collegio ritiene che la questione di costituzionalità prospettata da parte
ricorrente sia rilevante e non manifestamente infondata, tenuto conto delle
considerazioni che in appresso si vanno ad esporre, anche in relazione
all’infondatezza dei primi due motivi di ricorso.

 7. Per quanto
riguarda l’inquadramento temporale della fattispecie, il Collegio evidenzia che
i fatti per i quali la ricorrente è stata tratta a giudizio risalgono all’anno
2007, mentre il provvedimento con cui il Ministero della giustizia ha respinto
l’istanza di rimborso delle spese legali è del 30 maggio 2016: tutti i fatti
rilevanti ai fini della decisione ricadono, quindi, sotto il vigore della legge 21 novembre 1991, n. 374, essendo anteriori
alla riforma della magistratura onoraria attuata con il decreto legislativo n. 116/2017, attuativo della
legge di delega n. 57/del 28 aprile 2016.

 8.
Relativamente alla questione se il rapporto tra i magistrati onorari ed il
Ministero della giustizia, come regolato dalla citata legge n. 374/1991, potesse essere qualificato o
equiparato ad un rapporto di pubblico impiego o ad un rapporto di natura
parasubordinata, si richiama, tra le più recenti, la pronuncia della Corte di
cassazione, sezione lav., 9 settembre 2016, n. 17862, la quale ha
categoricamente escluso che l’attività svolta dai giudici onorari possa essere
equiparata a quella di un pubblico dipendente ovvero a quella svolta da un
lavoratore parasubordinato, e ciò sul presupposto che la categoria del
funzionario onorario, nel cui ambito sono inclusi anche i magistrati onorari,
ricorre, secondo risalente e consolidata giurisprudenza (Cassazione sezione
unite 8 gennaio 1975, n. 27, Cassazione sezione unite 7 ottobre 1982, n. 5129,
Cassazione sezione unite 20 marzo 1985, n. 2033, Cassazione sezione unite 14
gennaio 1992, n. 363 e Cassazione sezione unite 17 febbraio 1994, n. 1556),
quando esiste un rapporto di servizio volontario, con attribuzione di funzioni
pubbliche, ma senza la presenza degli elementi che caratterizzano l’impiego
pubblico. La pronuncia medesima, inoltre, ha richiamato la sentenza di Cassazione sezione unite 9 novembre 1998, n. 11272,
che ha tracciato la distinzione tra i due rapporti «in base ai seguenti
elementi: 1) la scelta del funzionario, che nell’impiego pubblico viene
effettuata mediante procedure concorsuali ed è, quindi, di carattere
tecnico-amministrativo, mentre per le funzioni onorarie è di natura
politico-discrezionale; 2) l’inserimento nell’apparato organizzativo della
pubblica amministrazione, che è strutturale e professionale per il pubblico
impiegato e meramente funzionale per il funzionario onorario; 3) lo svolgimento
del rapporto, che nel pubblico impiego è regolato da un apposito statuto,
mentre nell’esercizio di funzioni onorarie è privo di una specifica disciplina,
quest’ultima potendo essere individuata unicamente nell’atto di conferimento
dell’incarico e nella natura di tale incarico; 4) il compenso, che consiste in
una vera e propria retribuzione, inerente al rapporto sinallagmatico costituito
fra le parti, con riferimento al pubblico impiegato e che invece, riguardo al
funzionario onorario, ha carattere meramente indennitario e, in senso lato, di
ristoro degli oneri sostenuti; 5) la durata del rapporto che, di norma, è a
tempo indeterminato nel pubblico impiego e a termine (anche se vi è la
possibilità del rinnovo dell’incarico) quanto al funzionario onorario (v. per
ulteriori riferimenti Cassazione 3 maggio 2005, n.
9155 e Cassazione 4 novembre 2015, n. 22569 che hanno escluso l’inquadrabilità
della figura giuridica del giudice di pace in quella della parasubordinazione,
delineata dall’art. 409 del codice di procedura
civile, n. 3)».

 9. In ordine
alla natura del rapporto di servizio instauratosi tra i magistrati onorari ed
il Ministero della giustizia nel vigore della legge
n. 374/91, si è, dunque, consolidato un orientamento, ancora attuale, che
esclude la possibilità di qualificare l’attività svolta dalla ricorrente, in
qualità di giudice di pace, nel senso da essa auspicato, cioè come rapporto di
pubblico impiego o, comunque, come rapporto di lavoro parasubordinato.

 10. L’art. 18 del decreto-legge n. 67/97,
convertito nella legge n. 135/97, stabilisce
che «Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e
amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali
in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con
l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o
provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle
amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura
dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato,
possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di
sentenza definitiva che accerti la responsabilità».

 11. Anche in
relazione a tale norma si è consolidato un orientamento, che si può ritenere
«diritto vivente», che si interpreta nel senso che il beneficio ivi previsto
spetta solo ai pubblici impiegati, cioè a coloro che siano legati ad una
amministrazione da rapporto di pubblico impiego, e siano stati ingiustamente
assoggettati a procedimento penale per fatti commessi nell’esercizio delle
funzioni. Sul punto si richiama la sentenza della Corte di cassazione, sezione
lav., n. 25690 del 1° dicembre 2011, che ha affermato, con riferimento al
rimborso delle spese legali in argomento, che “la particolare forma di
tutela di cui qui si controverte è contemplata unicamente per i «dipendenti»,
ossia per coloro che sono legati da un rapporto di pubblico impiego con
l’amministrazione e, in difetto di diversa previsione, non può essere estesa a
quei soggetti che, pur operando nell’ambito dell’amministrazione pubblica,
svolgano le proprie funzioni in base ad altro titolo, segnatamente di
amministratore comunale».

 11.1. Il
principio è stato ribadito dalla Corte di cassazione, sezione III, con la
sentenza 25 settembre 2014, n. 20193, la quale ha esplicitamente affermato che
i rapporti di servizio onorari – come sarebbe, ad esempio, quello che
intrattiene un assessore con l’Ente locale di appartenenza – non sono compresi
tra quelli ai quali si applica il beneficio previsto dall’art. 18 del decreto-legge n. 67/97,
precisando che tale norma si sottrae ad una interpretazione analogica o
estensiva «Non soltanto perchè si verte di materia disciplinante, secondo
parametri di rigore e tassatività, le modalità ed i presupposti sostanziali di
impiego di denaro pubblico, ma anche perchè relative ad una fattispecie resa
peculiare dalla sussistenza di un rapporto di pubblico impiego, non
riscontrabile con riguardo all’amministratore. Nel caso in oggetto, in altri
termini, il rimborso viene richiesto con riguardo ad una situazione
obiettivamente differente da quelle disciplinate, perchè segnata dall’assenza
di un rapporto organico di dipendenza con l’ente. Sicchè appare conforme ai
criteri interpretativi generali (ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit) ritenere
che non si sia qui di fronte, in realtà, ad una vera e propria lacuna normativa
suscettibile di essere colmata in via di interpretazione analogica, bensì di
una diversa disciplina prevista e voluta come tale dal legislatore. E tale
diversa disciplina trova giustificazione proprio nella specificità insita nella
mancanza – nel caso dell’assessore comunale – di un rapporto di lavoro
dipendente con l’ente locale e, in particolare, nella natura onoraria di tale
rapporto (Cassazione sezioni unite n. 478 del 13 gennaio 2006; Cassazione n.
12645/10; Cassazione 25690/11).»

 11.2. Tale
orientamento è stato anche posto a fondamento della sentenza della Corte
d’appello di Genova, sezione lav., n. 3 del 1° febbraio 2019, la quale ha
statuito che «Le Autorità portuali hanno natura giuridica di enti pubblici non
economici; la nomina del Presidente dell’Autorità portuale va ricondotta alla
investitura in una carica pubblica e non può per certo configurarsi quale
costituzione di un rapporto di pubblico impiego, ma quale assunzione di un
incarico fiduciario affidato da un’autorità governativa, temporalmente limitato
e connesso all’esercizio di pubbliche funzioni. Di conseguenza il rapporto che
lega l’Autorità portuale al suo Presidente va qualificato come assunzione di
incarico fiduciario assimilabile a quello di un funzionario onorario con
conseguente esclusione di applicazione analogica o estensiva dell’art. 18, decreto-legge 25 marzo
1997, n. 67, convertito nella legge 23 maggio
1997, n. 135 che prevede le spese legali relative a giudizi per responsabilità
civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di
amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con
l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e
conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono
rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti
congrui dall’Avvocatura dello Stato».

 11.3. Ritiene
pertanto il Collegio che relativamente ai primi due motivi di ricorso e alla
interpretazione dell’art. 18 del
decreto-legge n. 67/97 si sia costituito un «diritto vivente» che: a)
esclude che la norma possa essere applicata estensivamente o analogicamente ad
ipotesi ivi non specificamente contemplate; b) la norma riserva il beneficio
delle spese legali di difesa in un procedimento penale, solo a soggetti legati
allo Stato da un vero e proprio rapporto di pubblico impiego; c) il rapporto di
servizio esistente tra lo Stato ed il funzionario onorario non è assimilabile a
quello di pubblico impiego e, pertanto, non rientra nell’ambito di applicazione
dell’art. 18 del decreto-legge
n. 67/97.

 12. Ciò
chiarito, ritiene il Collegio che l’art. 18 del decreto-legge n. 67/97,
come interpretato dal diritto vivente, nei termini dianzi riassunti, presti
però il fianco a censure di incostituzionalità, in relazione all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non
prevede che i funzionari onorari dello Stato, nella misura in cui svolgono
funzioni sostitutive o, comunque, equivalenti a quelle svolte da funzionari
pubblici dipendenti, possano fruire del beneficio in parola nel caso in cui
siano sottoposti ad un procedimento penale per fatti commessi nell’esercizio
delle funzioni, venendo poi prosciolti dalle accuse.

 12.1.
Considera il Collegio che il rimborso delle spese legali riconosciuto dall’art. 18 del decreto-legge n. 67/97
non costituisce una componente del trattamento economico del dipendente
pubblico, nè un «benefit» collegato al particolare status del dipendente
stesso.

Trattasi, invece, di una provvidenza che viene
erogata, una tantum, solo ove si verifichino le circostanze indicate dalla
norma, la quale trova la sua ragion d’essere – secondo condivisibile
giurisprudenza – nella esigenza di tutelare il dipendente dall’ingiusta
sottoposizione a giudizi di responsabilità civile, penale e amministrativa,
dovuta all’esposizione causata da ragioni inerenti lo svolgimento del servizio,
nonchè, di porre la pubblica amministrazione al riparo da una perdita di
efficacia del proprio operato che detta esposizione potrebbe determinare (Cassazione civile, sezione lav., 8 novembre 2018, n.
28597). Nello stesso tempo si deve rilevare che, pur non incidendo in
concreto sul trattamento giuridico ed economico, il diritto in questione è
generalmente riconosciuto ad ogni dipendente pubblico, indipendentemente dalle
funzioni svolte, e quindi è espressione di un principio generale, o quantomeno
di una regola che non ha affatto il carattere della eccezionalità, nell’ambito
dell’espletamento di pubbliche funzioni.

12.2. Il Collegio dunque ritiene necessario
investire il giudice delle leggi in ordine alla ragione per la quale non possa
fruire del diritto in parola anche il funzionario onorario chiamato a svolgere,
in via sostitutiva, temporanea o «a regime», le medesime funzioni che
svolge/potrebbe svolgere anche un funzionario pubblico, in tal modo esponendo
sè stesso, e l’amministrazione a favore della quale presta servizio, ai rischi
connessi all’espletamento delle relative funzioni. Da questo punto di vista il
Collegio ritiene che, in riferimento all’art. 18 del decreto-legge n. 67/97,
non appaia manifestamente infondata la questione posta sulla violazione dell’art. 3 della Costituzione, laddove tale legge non
prevede l’estensione del diritto ivi contemplato anche ai funzionari onorari, o
quantomeno a quei funzionari onorari che svolgano funzioni
sostitutive/integrative, ed in ogni caso di valore equivalente, rispetto a
quelle svolte da funzionari «di ruolo», traducendosi una tale omissione in una
disparità di trattamento tra situazioni identiche, che non trova fondamento in
una ragionevole giustificazione, considerato che un’eventuale estensione: a)
come già precisato, non incide/inciderebbe sulla natura del rapporto di
servizio del funzionario e sul relativo trattamento economico, che
rimane/rimarrebbe inaerato, evitando cosi un aggravio della finanza pubblica
sproporzionato rispetto al beneficio conseguente al riconoscimento del diritto;
b) andrebbe a giovamento dello Stato, che si vedrebbe meglio tutelato anche
rispetto alla attività dei funzionari onorari, che a loro volta, sentendosi
maggiormente tutelati, sarebbero anche maggiormente responsabilizzati e propensi
a rendere un servizio di qualità, in particolare sotto il profilo della
indipendenza ed imparzialità.

 12.3. Per
quanto concerne, specificamente, il personale di magistratura, va soggiunto
che, proprio per il fatto che il diritto in questione è funzionale a garantire
al funzionario la migliore difesa, al fine di evitare ingiuste declaratorie di
responsabilità per fatti commessi nell’esercizio delle funzioni, il
riconoscimento del rimborso delle spese legali di cui all’art. 18 del decreto-legge n. 67/97
contribuisce indirettamente a garantire l’indipendenza di giudizio dei
magistrati, tutelata dagli artt. 104, comma 1, 107, e, con specifico riferimento alle
magistrature speciali ed ai pubblici ministeri, dall’art.
108, della Costituzione: dunque, il mancato riconoscimento di tale diritto
ai magistrati onorari risulterebbe incoerente e lesivo anche dei citati articoli
della Carta costituzionale che tutelano l’indipendenza della magistratura.

 12.4. Il
Collegio dubita, infine, che il mancato riconoscimento del diritto al rimborso
alle spese legali ai funzionari onorari possa incidere sulla qualità del
servizio e, quindi, sul buon andamento della amministrazione della giustizia;
pertanto la norma di legge in questione, non approntando una organizzazione
della magistratura onoraria tale da assicurare il buon andamento della
amministrazione della giustizia, risulterebbe anche lesiva dell’art. 97 della Costituzione.

 12.5. Tutto
ciò considerato, quindi, ritiene il Collegio che l’attuale formulazione dell’art. 18 del decreto-legge n. 67/97,
nel non prevedere il rimborso delle spese legali anche favore dei funzionari
onorari, o quantomeno di quei funzionari onorari che, come i magistrati
onorari, siano chiamati a svolgere funzioni sostitutive/integrative, e comunque
equivalenti, a quelle svolte dai funzionari «di ruolo», comporta il
prospettarsi di una questione non manifestamente infondata di costituzionalità,
richiedendosi, al fine della conformità a Costituzione, il riscontro della
ragionevolezza delle norme censurate, ragionevolezza che si esprime nel
rapporto di congruità del mezzo al fine (ex plurimis: Corte costituzionale nn.
264/1996, 270/2010, 62/2013), e nella verifica della intrinseca
coerenza (ex plurimis: Corte costituzionale nn. 195/1998) e congruenza del
sistema (ex plurimis: Corte costituzionale n. 84/97, 509/2000, 70/2010, 333/2010, 185/1995), che appunto non si
apprezzano in quello disegnato dalla attuale formulazione della norma.

 13. Il
Collegio precisa, a questo punto, di non poter pervenire direttamente, come
auspicato nei primi motivi di ricorso dalla ricorrente, ad una interpretazione
della norma in argomento differente da quella dianzi prospettata, segnatamente
nel senso di includere i funzionari onorari, chiamati ad espletare funzioni
sostitutive/integrative, e comunque equivalenti, a quelle svolte da funzionari
di ruolo della Amministrazione statale, o quantomeno i magistrati onorari, nel
novero delle persone che possono fruire del rimborso delle spese legali
previsto dalla richiamata norma, e ciò in ragione della lettera della stessa,
che, indicando come beneficiari i «dipendenti di amministrazioni statali» e
come soggetti obbligati ad effettuare il rimborso «le amministrazioni di
appartenenza», testualmente riserva il beneficio solo ai soggetti legati allo
Stato da un rapporto di lavoro di impiego pubblico, di guisa che una
interpretazione che estenda il beneficio anche a funzionari onorari, come i
magistrati onorari, si tradurrebbe in una forzatura della norma, in una
arbitraria invasione della potestà del legislatore e nell’aumento di oneri a
carico della finanza pubblica senza preventiva autorizzazione parlamentare, il
che di per sè renderebbe una siffatta interpretazione, analogica o estensiva,
della norma, non costituzionalmente orientata, in relazione alla possibile
violazione dell’art. 81 della Costituzione.
Ribadito, infine, che una interpretazione analogica o estensiva della norma è
espressamente esclusa dal «diritto vivente», come sopra si è già fatto
rilevare, solo un intervento della Corte costituzionale può, allora, porre
rimedio alle censure di costituzionali, sopra prospettati, che attingono l’art. 18 del decreto-legge n. 67/97.

 13.1. Il
Collegio ritiene pertanto che la questione di costituzionalità, che si solleva
con la presente ordinanza, sia ammissibile in ragione della sua non manifesta
infondatezza e dell’impossibilità di dare della norma censurata una
interpretazione costituzionalmente orientata, tenuto conto del fatto che la
Corte costituzionale «…ha in più occasioni affermato che quando il rimettente
si prospetta la via dell’interpretazione conforme ma esclude che essa sia
percorribile, la questione di legittimità costituzionale che ne deriva non può
ritenersi inammissibile. Al contrario, laddove l’univoco tenore letterale della
disposizione precluda un’interpretazione conforme, s’impone il sindacato di legittimità
costituzionale (da ultimo, ex multis, sentenze n. 83 e n. 82 del 2017, n.
241 e n. 219 del 2016)» (Corte costituzionale n. 268/2017), ed ha inoltre
precisato che il fatto che l’interpretazione proposta risulti, o meno, conforme
ai parametri della Costituzione indicati dal rimettente, «attiene evidentemente
al merito della questione qui prospettata, e non già al dedotto profilo di
inammissibilità per omesso esperimento di interpretazione costituzionalmente
conforme della disposizione censurata.» (Corte costituzionale n. 197/2018).

 14. La
questione di costituzionalità che si solleva con la presente ordinanza risulta
poi rilevante ai fini del decidere, dal momento che l’esclusione dei magistrati
onorari dal novero delle persone che possono fruire del diritto al rimborso
delle spese legali, contemplato dall’art. 18 del decreto-legge n. 67/97,
costituisce l’unica ragione posta a fondamento dell’atto impugnato nel presente
giudizio: sicchè, ove dichiarata l’incostituzionalità della norma citata nei
sensi indicati in motivazione, ovvero nella parte in cui non prevede che tale
rimborso possa essere accordato anche ai funzionari onorari che svolgano
funzioni sostitutive/integrative e comunque equivalenti a quelle svolte da
funzionari pubblici di ruolo, o, quantomeno, ai magistrati onorari, il Collegio
dovrebbe pervenire all’annullamento dell’atto per violazione dell’art. 18 del decreto-legge n. 67/97,
con conseguente obbligo della Amministrazione di rideterminarsi tenendo conto
della astratta ammissibilità della ricorrente al beneficio, e procedendo quindi
a valutare se sussistano, in concreto, i requisiti indicati dalla norma per
concederle il rimborso delle spese legali.

 14.1. Valga
dipoi la considerazione che magistrati onorari, per definizione, svolgono
funzioni sostitutive/integrative ed equivalenti a quelle svolte dai magistrati
«togati», come si desume dal fatto che la loro nomina avviene in base a norme
legislative che traggono fondamento nell’art. 106,
comma 2, della Costituzione, il quale stabilisce che «La legge
dell’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di
magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite ai giudici singoli», con
ciò esplicitamente ammettendo che le funzioni dei magistrati onorari sono del
tutto equivalenti e sostitutive rispetto a quelle svolte da magistrati
professionali. Di conseguenza, la questione di costituzionalità sollevata
risulta comunque rilevante, sia con riferimento alla violazione dei parametri
di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione, il cui rispetto imporrebbe
l’estensione del beneficio a tutti i funzionari onorari, sia con riferimento
agli artt. 104, comma 1, 107 e 108, comma 2,
laddove l’indipendenza della magistratura e del relativo operato imporrebbero,
in concorso con il parametro di cui all’art. 3
della Costituzione, l’estensione del beneficio ai soli magistrati onorari.

 15. Sotto
diverso profilo il Collegio ritiene che la questione di costituzionalità
sollevata con la presente ordinanza non richieda alla Corte di individuare
alcun elemento di carattere discrezionale che sia ascrivibile alla esclusiva
competenza del legislatore (cfr. ad esempio, Corte
costituzionale, sentenza n. 198/2009): invero, la scelta di rimborsare le
spese legali ai funzionari dipendenti delle amministrazioni statali, che siano
stati sottoposti ingiustamente a giudizi di responsabilità per fatti commessi
nell’esercizio delle funzioni, è già stata compiuta dal legislatore, che ha
anche già individuato i requisiti per accedere al beneficio in questione. Il
Collegio si domanda, pertanto, se tale beneficio, cosi come già disciplinato, non
debba essere esteso anche a favore degli altri soggetti su indicati, sul
presupposto che essi prestano servizio a favore dello Stato nelle medesime
condizioni, e, pertanto, corrisponde alla ratio della norma darne applicazione
anche nei di loro confronti.

 15.1. Ciò
potrebbe consentire alla Corte costituzionale di pronunciarsi anche con una
sentenza c.d. «additiva», qualora lo ritenesse. Tale possibilità può rinvenirsi
dalla constatazione che:

a) l’interpretazione dell’art. 18 del decreto-legge n. 67/97
qui accreditata, nel non prevedere in maniera esplicita che il rimborso delle
spese legali possa essere accordato anche ai funzionari onorari e/o ai
magistrati onorari, esclude il beneficio in parola a favore dei predetti
soggetti; b) l’estensione del beneficio anche ai funzionari onorari, ed in
particolare ai magistrati onorari, costituisce, secondo l’avviso del Collegio,
l’unico modo per riportare la norma nell’alveo della conformità a Costituzione,
integrando una soluzione costituzionalmente obbligata, nel senso indicato nella
ordinanza della Corte n. 256/2017.

 15.2. Si
tratterebbe, più precisamente, di una sentenza c.d. «additiva di prestazione»,
poichè comporterebbe l’estensione del beneficio in parola ai funzionari, o ai
soli magistrati, onorari: nondimeno, anche tale constatazione non pare
costituire, ad avviso del Collegio, un ostacolo alla declaratoria di
incostituzionalità dell’art. 18
del decreto-legge n. 67/97, nei termini sopra indicati. Benchè, infatti,
l’intervento manipolativo della Corte possa determinare l’individuazione di una
nuova categoria di beneficiari di una prestazione – quest’ultima costituita appunto
dal rimborso di spese legali – si tratterebbe di estendere un beneficio che non
avrebbe carattere continuativo, non riguarderebbe la generalità dei beneficiari
potenziali – interessando solo i funzionari o i magistrati onorari che
incorrano in giudizi di responsabilità, occasionati dall’esercizio delle
funzioni, e conclusisi con il completo proscioglimento del funzionario onorario
– e non si tradurrebbe in esborsi di danaro arbitrariamente determinati,
essendo il rimborso delle spese legali condizionato dal parere di congruità
della Avvocatura dello Stato. I maggiori oneri che si riverserebbero a carico
del bilancio dello Stato risulterebbero, quindi, contenuti e, comunque,
sarebbero compensati dai benefici che ridonderebbero a favore dello Stato stesso,
in termini di maggior qualità ed efficienza della giustizia amministrata dai
magistrati onorari, e diminuzione del rischio di invalidazione delle decisioni
adottate da funzionari, o magistrati, onorari sottoposti a giudizio di
responsabilità. Per tale ragione, benchè l’intervento manipolativo, sollecitato
dalla presente questione di costituzionalità, possa determinare maggiori oneri
a carico dello Stato, esso pare rispondere ad un equilibrato contemperamento
degli interessi in gioco.

16. Va, quindi, dichiarata rilevante e non
manifestamente infondata la descritta questione di legittimità costituzionale
dell’art. 18 del decreto-legge
n. 67/97, convertito nella legge n. 135/97,
in relazione agli artt. 3, 97, 104, comma 1, 107 e 108, comma 2,
della Costituzione, nella parte in cui non prevede che l’ivi contemplato
rimborso delle spese legali spetti anche ai funzionari onorari chiamati a
svolgere funzioni sostitutive o integrative, e comunque equivalenti, a quelle
svolte da funzionari di ruolo, dipendenti da Amministrazioni dello Stato, o,
quantomeno, ai magistrati onorari nominati ai sensi della legge n. 374/91.

 17. Il
presente giudizio va quindi sospeso con trasmissione degli atti processuali
alla Corte costituzionale.

 

P.Q.M.

 

 dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 18 del
decreto-legge n. 67/97, convertito nella legge
n. 135/97, in relazione agli artt. 3, 97, 104, comma 1, 107 e 108, comma 2,
della Costituzione, nella parte in cui non prevede che l’ivi contemplato
rimborso delle spese legali, sostenuto dai dipendenti pubblici per difendersi
in giudizi di responsabilità civile, penale o amministrativa originati da fatti
commessi nell’esercizio delle funzioni, spetti anche ai funzionari onorari
chiamati a svolgere funzioni sostitutive o integrative, e comunque equivalenti,
a quelle svolte da funzionari di ruolo, dipendenti da Amministrazioni dello
Stato, o, quantomeno, ai magistrati onorari nominati ai sensi della legge n. 374/91; ciò per irragionevole disparità
di trattamento, per lesione del buon andamento e della imparzialità della
azione amministrativa, nonchè per lesione della indipendenza della magistratura
e del relativo operato;

– dispone l’immediata trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale;

– sospende il giudizio in corso;

– dispone che, a cura della Segreteria, la presente
ordinanza venga notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei
ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica.

 Ritenuto che
sussistano i presupposti di cui all’art.
52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’art. 10 del regolamento (UE) n.
2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a
tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla
Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonchè di qualsiasi
altro dato idoneo ad identificare la ricorrente.

 

Provvedimento pubblicato nella G.U. del 04 dicembre 2019, n. 49

Giurisprudenza – TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE LAZIO – Ordinanza 29 ottobre 2019
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