Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 dicembre 2019, n. 31957

Autista di autobus di linea, Turni di lavoro comunicati
all’azienda di giorno in giorno, Preavviso non ragionevole, Disagio nella
gestione della vita di relazione, Risarcimento del danno non patrimoniale,
Normativa sull’orario di lavoro del personale degli automezzi pubblici di linea
adibiti al trasporto viaggiatori, Obbligo datoriale di affissione in luoghi
accessibili dei turni di servizio, Parametro della ragionevolezza preso a riferimento
dal lavoro part-time, Non sussiste, Limiti allo ius variandi
dell’imprenditore in tema di orario, non estensibili al contratto di lavoro a
tempo pieno

 

Fatti di causa

 

1. Gli odierni resistenti, tutti dipendenti della
società convenuta dal 1° gennaio 2013 con mansioni di autista di pullman di
linea, adivano il Tribunale di Aosta per ottenere, per quanto ancora qui
rileva: a) il risarcimento del danno non patrimoniale alla vita di relazione
causato dalla intempestiva comunicazione dei turni di lavoro; b) il pagamento
dell’indennità di trasferta previsto dall’articolo 20B del CCNL
autoferrotranvieri per tutti i servizi effettuati con partenza diversa
dalla sede di lavoro abituale.

1.1. Tali domande, respinte in primo grado venivano
accolte dalla Corte di appello di Torino, con sentenza n. 281/2017 del 12
aprile 2017, che condannava la società datrice di lavoro V. s.p.a. al pagamento
delle somme specificate in sentenza per i due suddetti titoli della
rivendicazione originaria.

2. Con l’atto di appello i lavoratori avevano
lamentato che nel periodo da gennaio 2013 a dicembre 2014 i turni di lavoro
erano stati comunicati all’azienda di giorno in giorno, ossia con un anticipo
non ragionevole, che aveva determinato per gli autisti un disagio nella
gestione della vita di relazione; che era illegittima anche l’organizzazione
del lavoro pattuita con l’accordo aziendale del 1° dicembre 2014 mediante
affissione dei turni il lunedì, il mercoledì e il venerdì, comportando un
preavviso inferiore alle 48 ore almeno per i giorni di martedì, giovedì e
sabato; che era irrilevante l’approvazione dell’accordo con referendum
aziendale, non potendo questo sanare la violazione di norme imperative di rango
costituzionale; che doveva essere riconosciuto a ciascun lavoratore il diritto
al risarcimento del danno alla persona cagionato dalla illegittima compressione
del tempo di riposo e del tempo libero, da ricondursi alla categoria del danno
esistenziale, in quanto influente sulla vita di relazione.

2.1. Tale domanda veniva giudicata ammissibile dalla
Corte di appello, che respingeva l’eccezione di novità sollevata dalla società
appellata, rilevando che, rispetto a quanto dedotto dei ricorsi introduttivi,
non era stata introdotta appello una nuova causa petendi, ma soltanto una
migliore qualificazione giuridica della pretesa, già chiaramente formulata sin
dall’origine.

3. Tanto premesso, la Corte di appello osservava che
la prova delle modalità di comunicazione dei turni era stata fornita dallo
stesso datore di lavoro: prima dell’accordo del 1° dicembre 2014 i turni
venivano organizzati ed affissi alle ore 12 del giorno precedente per il giorno
successivo e il venerdì alle ore 12 per i giorni di sabato e domenica, nonché
alle ore 12 del sabato per il giorno di lunedì; con l’accordo aziendale,
invece, i turni venivano organizzati ed affissi il lunedì per il martedì e il
mercoledì; il mercoledì per il giovedì e venerdì; il venerdì per il sabato, la
domenica e il lunedì.

3.1. Le modalità di comunicazione dei turni, tanto
prima che dopo l’accordo aziendale, comportavano un preavviso che non poteva
essere definito ragionevole, perché inferiore alle 48 ore di anticipo, ossia
inferiore al preavviso previsto per la disciplina del lavoro a tempo parziale (art. 6, commi 4 e 5 d.Igs. 81 del
2015), normativa che seppure non applicabile direttamente alla fattispecie
poteva essere utilizzata come parametro della programmazione ragionevole della prestazione
lavorativa.

3.2. Le modalità di comunicazione dei turni erano da
considerare illegittime, perché contrarie all’art. 10 legge 138 del 1958,
interpretato la luce dell’art. 32 della
Costituzione, lesive della dignità del lavoratore e produttive di danno non
patrimoniale alla vita di relazione (c.d. danno esistenziale).

3.3. Neppure l’esistenza di un accordo aziendale e
la sua approvazione referendaria potevano prevalere su disposizioni imperative
di legge o su norme di rango costituzionale, quali quelle sopracitate (v. in
tal senso anche art. 8, comma 2
bis, d.l. 138 del 2011, conv. in I. n. 148 del
2011).

3.4. Né poteva addossarsi ai lavoratori l’onere di
indicare una diversa possibile organizzazione dei servizi aziendali, poiché
spetta all’imprenditore organizzare i turni di servizio dei propri dipendenti e
la loro tempestiva comunicazione, in modo che sia, ad un tempo, conforme alle
norme imperative di legge, rispettoso dei diritti dei lavoratori e satisfattivo
delle esigenze aziendali.

4. Quanto alla prova del danno alla vita di
relazione, osservava la Corte di appello che essa può essere oggetto di
presunzione, sulla base di fatti notori, quali l’impossibilità o la notevole
difficoltà di organizzare il proprio tempo libero, la vita familiare e le
relazioni sociali con anticipo inferiore alle 48 ore.

4.1. In merito al parametro per la liquidazione del
danno, trattandosi di danno molto più lieve rispetto a quello rivendicato
secondo le Tabelle del Tribunale di Milano, esso può essere determinato
equitativamente in 10 euro al giorno per 26 giorni del mese per il periodo
gennaio 2013 – novembre 2014, ossia per il periodo durante il quale la
comunicazione dei turni da parte della società avveniva con un preavviso sempre
inferiore alle 48 ore, e invece in 5 euro al giorno per 26 giornate lavorative
al mese per il periodo da dicembre 2014 ad agosto 2015, quando la comunicazione
dei turni da parte della società avveniva con preavviso inferiore alle 48 ore
per tre giorni alla settimana.

5. Quanto all’indennità di trasferta, la Corte di
appello riteneva fondata la censura dei lavoratori circa l’interpretazione
dell’art. 20B C.C.N.L.
autoferrotranvieri di cui alla sentenza di primo grado.

5.1. L’indennità di trasferta, secondo la disciplina
contrattuale è corrisposta per i turni di servizio che occasionalmente prendano
avvio da una località diversa da quella abituale e che sono considerati tali i
servizi effettuati su linee non facenti capo alla residenza del lavoratore. Il
concetto di residenza è specificato dal contratto collettivo nel senso che con
tale definizione si intende la località assegnata dall’azienda ad ogni singolo
lavoratore e tale località era per tutti gli appellanti il deposito di Arnad,
restando irrilevante la diversa residenza anagrafica di ciascuno.

5.2. I conteggi elaborati dai lavoratori prendevano
in considerazione i servizi giornalmente indicati con partenza da depositi
diversi dalla sede di lavoro anzidetta e non erano stati specificamente
contestati.

6. Per la cassazione di tale sentenza V. s.p.a. ha
proposto ricorso affidato a quattro motivi, cui hanno resistito con
controricorso i lavoratori.

7. Sul ricorso, inizialmente fissato per la
trattazione in adunanza camerale, il P.G. ha rassegnato le proprie conclusioni
scritte, chiedendo il rigetto del ricorso. Hanno fatto seguito le memorie
difensive di entrambe le parti ex art. 380-bis cod.
proc. civ..

8. All’esito dell’adunanza del 19 giugno 2019 il
Collegio ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti per la trattazione in sede
camerale e ha rinviato la causa a nuovo ruolo per la fissazione della pubblica
udienza.

 

Ragioni della decisione

 

1. Preliminarmente, va rilevato che ciascun motivo,
pur a fronte dell’indicazione promiscua delle norme che si assumono violate,
risulta articolato in singoli profili di doglianza, formulati in modo tale da
consentire di cogliere con chiarezza le censure prospettate e consentirne
l’esame separato (cfr. Cass. Sezioni Unite, 9100
del 2015; conf. Cass. n. 7009 del 2017 e molte altre successive).

2. Con il primo motivo si denuncia “motivazione
contraddittoria e solo apparente” e violazione dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ.
per avere la sentenza ammesso il mutamento di domanda introdotto in appello con
riguardo al periodo anteriore al 1° dicembre 2014.

Si assume che il ricorso introduttivo non era stato
correttamente interpretato in ordine al suo contenuto e che ciò aveva
comportato il vizio di ultrapetizione (art. 112
cod. proc. civ.) poiché la Corte, nel pronunciare sull’appello, aveva
erroneamente ritenuto ammissibile la domanda anche l’ordine al periodo gennaio
2013-dicembre 2014, in ordine al quale i lavoratori nulla avevano dedotto
nell’atto introduttivo del giudizio.

Si assume che per gli stessi motivi la sentenza
sarebbe affetta dal vizio di omessa e/o apparente motivazione.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia error in
iudicando sotto i seguenti aspetti:

a) l’art.
10 della legge n. 138 del 1958 non statuisce alcun termine per la
comunicazione dei servizi, ma si limita ad affermare che “le aziende
esercenti devono affiggere i turni di servizio negli uffici, nelle
autostazioni, nei depositi e nelle officine in modo che il personale ne possa
prendere conoscenza”;

b) la società svolge anche un servizio pubblico di
trasporto dei disabili e quello di noleggio di pullman con conducente e anche
solo analizzando il contratto di servizio stipulato con la Regione Autonoma
Valle d’Aosta è possibile rilevare che l’Amministrazione regionale indica le
corse autorizzate per il trasporto dei disabili alle ore 17 del giorno
precedente il servizio;

c) gli originari ricorrenti avevano lamentato non il
fatto che venissero a conoscenza il giorno prima del loro turno di lavoro, ma
che non sarebbero stati in grado di conoscere con sufficiente preavviso il
turno di riposo;

d) il d.l. 138 del 2011
consente al contratto aziendale di disciplinare gli orari e i turni di lavoro,
anche in peius rispetto alla contrattazione nazionale o a norme di legge;

e) l’art.
6, commi 4 e 5, d.lgs. 81 del 2015 è norma speciale, non applicabile in via
analogica a fattispecie diverse da quelle per le quali è stata dettata.

2.2. Con il terzo motivo si censura la sentenza
nella parte in cui ha ritenuto provato il danno richiamando il principio della
prova per presunzioni, ma in realtà facendo riferimento ad una situazione di
mera potenzialità lesiva, in violazione dell’art.
2697 cod. civ..

Il fatto notorio posto a base del ragionamento è da
ritenere frutto di un’ulteriore presunzione, in quanto non è comprensibile la
differenza tra un termine di 48 ore ed uno di 24 ore ai fini del coordinamento
con gli impegni dei familiari e personali.

2.3. Il quarto motivo denuncia erronea
interpretazione dell’art. 20B
del CCNL autoferrotranvieri, per avere la sentenza ritenuto che l’indennità
di trasferta sia dovuta per tutti i turni che prendono avvio da una sede
diversa da quella stabilmente assegnata al lavoratore, anche se più vicina alla
sua residenza anagrafica. Si sostiene che la società aveva contestato in primo
grado che i ricorrenti avessero come “depositi comandati” tutti
quelli indicati negli atti di parte, in quanto la partenza era avvenuta dal
deposito previsto in sede di assunzione.

3. Il primo motivo è infondato.

3.1. L’interpretazione della domanda spetta al
giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una
certa domanda era stata avanzata ed era compresa nel thema decidendum, tale
statuizione, ancorché erronea, non può essere direttamente censurata per
ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione
sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra
quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile
prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea. In tal
caso, il dedotto errore del giudice non si configura come error in procedendo,
ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della
volontà della parte (Cass. n. 20718 del 2018; Cass.
n. 21874 del 2015). Il principio è costante nella giurisprudenza di questa
Corte (v. le più risalenti, Cass. n. 3702 e n 8953 del 2006).

3.2. In particolare, nell’interpretazione degli atti
processuali delle parti occorre, fare riferimento ai criteri di ermeneutica di
cui all’art. 1362 cod. civ., che valorizzano
l’intenzione delle parti e che, pur essendo dettati in materia di contratti,
hanno portata generale (Cass. n. 4205 del 2014). Inoltre, nel compiere
l’interpretazione della domanda giudiziale, il giudice non è condizionato dalle
formali parole utilizzate dalla parte, ma deve tener conto della situazione
dedotta in causa e della volontà effettiva, nonché delle finalità che la parte
intende perseguire, poiché per fondamentale principio logico la volontà è
inscritta in ogni parte dell’atto, e per interpretare la domanda giudiziale si
applicano gli artt. 1362, secondo comma, e 1363 cod. civ.; dapprima deve essere valutato
l’atto in ogni sua parte per ricostruire la volontà che è alla base di esso, e
poi devono esser valutati la domanda nel suo complesso ed il comportamento
della parte (cfr. Cass. n. 6226 del 2014 e n. 8140 del 2004); occorre dunque
avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come
desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte
istante (Cass. 21087 del 2015; conf. Cass. 19002 del 2017).

3.3. Nel caso in esame, i giudici di merito hanno
interpretato il complessivo tenore del ricorso introduttivo, evidentemente
valorizzando un insieme di elementi, anche temporali, nel senso dell’estensione
del petitum ad un periodo più ampio di quello regolato dall’accordo aziendale
del dicembre 2014, così ritenendo che il thema decidendum corrispondesse a
quello oggetto dell’atto di appello.

3.4. A fronte di ciò, l’odierna ricorrente per
cassazione non ha proposto un motivo nei termini prescritti, in quanto il vizio
di ultrapetizione, prospettato mediante allegazione e trascrizione diretta (di
parte) del ricorso originario, sollecita questa Corte ad un nuovo esame del
contenuto della domanda introduttiva, senza muovere specifiche censure alla
motivazione della sentenza.

3.5. A ciò aggiungasi che la sentenza impugnata ha
evidenziato che parte convenuta in primo grado aveva argomentato anche in
ordine alle modalità di organizzazione dei turni nel periodo anteriore
all’accordo del dicembre 2014 (v. pag. 9 della sentenza). Proprio le
argomentazioni della memoria difensiva di primo grado di cui riferisce la
sentenza depongono per l’esatta comprensione, anche da parte della convenuta,
della esatta portata della domanda introduttiva e per il compiuto esercizio di
diritti di difesa al riguardo.

4. Il secondo motivo appare meritevole di
accoglimento nei termini seguono.

4.1. Preliminarmente, le questioni di cui alle
lettere b) e c) del punto 2.1. che precede attengono a temi (ragioni
organizzative connesse al trasporto dei disabili e alle convenzioni stipulate
con la Regione Autonoma Valle d’Aosta; censure relative alle modalità di
comunicazione dei “turni di riposo”) di cui non vi è cenno di
trattazione nella sentenza impugnata e che, pertanto, devono ritenersi
questioni nuove e come tali inammissibili in questa sede (cfr. tra le altre
recentemente Cass. n. 27568 del 2017).

5. Il nucleo del motivo investe invece la questione
giuridica vertente sui tempi del preavviso di turni lavorativi.

5.1. Quanto all’interpretazione dell’art. 10 della l. 14 febbraio 1958
n. 138, il quale dispone che le aziende esercenti autoservizi pubblici di
linea extraurbani adibiti al trasporto dei viaggiatori “devono affiggere i
turni di servizio negli uffici’, nelle autostazioni, nei depositi e nelle
officine in modo che il personale ne possa prendere conoscenza”, questa
Corte ha già avuto modo di affermare che l’obbligo datoriale di affissione in
luoghi accessibili dei turni di servizio di cui all’art. 10 della legge n. 138 del 1958
deve essere inteso come volto a consentire al lavoratore di conoscere in via
anticipata, in un tempo ragionevole, i propri impegni lavorativi, al fine di
una programmazione del proprio tempo di vita (Cass.
n. 12962 del 2008, in fattispecie in cui i dipendenti a tempo pieno di una
società di pubblici servizi avevano lamentato di essere messi a conoscenza dei
turni di servizio senza adeguato anticipo rispetto al giorno di svolgimento
della prestazione lavorativa, chiedendo il risarcimento del danno alla vita di
relazione).

5.2. Quanto al richiamo fatto dalla società
ricorrente all’art. 8, comma 3,
d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, in legge n. 148 del 2011, secondo cui “Le
disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e
sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le
parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità
produttive cui il contratto si riferisce a condizione che sia stato approvato
con votazione a maggioranza dei lavoratori”, è sufficiente osservare che nel
caso in esame non si controverte sulla applicabilità o meno del contratto
aziendale a tutto il personale dipendente dalla società ricorrente, compresi
gli odierni resistenti, ma della ritenuta (dalla Corte di appello) nullità
delle relative clausole del contratto aziendale nella parte in cui è previsto
un preavviso del turno di servizio anche inferiore a 48 ore. In tal caso, ad
avviso della Corte di appello, il preavviso del turno non sarebbe
“ragionevole”, dovendo assumersi a parametro della ragionevolezza la regola
posta dal d.lgs. 81 del 2015 per il lavoro
part-time.

5.3. Rileva piuttosto l’art. 8, comma 2-bis, legge n. 148 del 2011, di
conversione del d.l. n. 138 del 2011,
richiamato dalla Corte territoriale, secondo cui «2-bis. Fermo restando il
rispetto della Costituzione, nonche’ i vincoli derivanti dalle normative
comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese
di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che
disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative
regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro». La
deroga alle disposizioni di legge ad opera dei contratti collettivi di cui all’art. 8 cit. trovano il limite del
“rispetto della Costituzione” e dei “vincoli derivanti dalle
normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro”.

6. Tutto ciò premesso, venendo al parametro assunto
dalla Corte territoriale a fondamento del decisum, va osservato che il d.lgs. 81 del 2015 dispone, al quarto comma dell’art. 6, che “Nel rispetto di
quanto previsto dai contratti collettivi, le parti del contratto di lavoro a
tempo parziale possono pattuire, per iscritto, clausole elastiche relative alla
variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa ovvero
relative alla variazione in aumento della sua durata” e, al quinto comma
dell’art. 6, che “Nei
casi di cui al comma 4, il prestatore di lavoro ha diritto a un preavviso di
due giorni lavorativi, fatte salve le diverse intese tra le parti, nonché a
specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme determinate dai
contratti collettivi”.

6.1. Invero, l’analogia posta tra la prestazione di
lavoro a tempo parziale e quello a tempo pieno non è stata ritenuta
accreditabile in alcune pronunce di questa Corte (v. Cass. n. 4502 del 1993 e 23552 del 2004). Secondo tale orientamento, qui
condiviso e ribadito, in tema di orario di lavoro, i limiti allo ius variandi
dell’imprenditore nei contratti di lavoro part time – nei quali la
programmabilità del tempo libero (eventualmente in funzione dello svolgimento
di un’ulteriore attività lavorativa) assume carattere essenziale e giustifica
l’immodificabilità dell’orario da parte datoriale – non sono estensibili al
contratto di lavoro a tempo pieno, nel quale un’eguale tutela del tempo libero
del lavoratore si tradurrebbe nella negazione del diritto dell’imprenditore di
organizzare l’attività lavorativa, diritto che può subire limiti solo in
dipendenza di accordi che lo vincolino o lo condizionino a particolare
procedure (Cass. 16 aprile 1993 n. 4507).

6.2. Sotto questo profilo, è fondata la critica
formulata dalla società ricorrente alla decisione impugnata, laddove contesta l’analogia
posta dalla Corte territoriale a fondamento della estensione ai lavoratori a
tempo pieno della regola dettata dal legislatore per i lavoratori part-time.

7. Il d.lgs. n. 66 del
2003 non ha introdotto elementi di novità in tema di potere datoriale di
determinare o di variare unilateralmente la collocazione e coordinamento
temporale della prestazione lavorativa, che tuttavia non può essere totalmente
discrezionale, dovendo pur sempre conformarsi al principio di buona fede e
correttezza, oltre che al rispetto dei canoni costituzionali, sebbene non
sussista in linea generale un diritto soggettivo del dipendente alla stabilità
dell’orario di lavoro.

8. In dottrina si è osservato che il lavoratore a
tempo pieno, a differenza di quello a tempo parziale, percepisce un trattamento
retributivo che per definizione dovrebbe porlo in condizione di soddisfare le
proprie esigenze personali e familiari senza dovere ricercare altre occasioni
di guadagno o dover usufruire di spazi temporali liberi dal lavoro per svolgere
quelle attività di cura o di lavoro domestico che la ridotta retribuzione non
gli consentono di acquisire pagando i relativi servizi. Ciò non toglie tuttavia
che la possibilità del datore di mutare la dislocazione dell’orario lavorativo
del rapporto lavorativo incontra innanzitutto il limite rappresentato da
contratti collettivi che lo vincolino a determinate procedure.

9. La sentenza di questa Corte
n. 12962 del 2008 richiamata dalla Corte di appello e dai controricorrenti,
nel cassare la sentenza impugnata, ha esaminato una fattispecie in cui mancava
una norma che specificasse il tempo necessario per una adeguata conoscenza
preventiva e ha ritenuto non adeguata una comunicazione dell’inizio del turno
lavorativo avvenuta soltanto il giorno precedente. Nel caso in esame, una
regola è stata introdotta dal contratto collettivo aziendale del 1° dicembre
2014.

10. Diversamente da quanto implicitamente ritenuto
dalla Corte di appello di Torino, deve escludersi la nullità della clausola del
contratto collettivo aziendale approvato a maggioranza dei lavoratori, ai sensi
8, comma 3, d.l. n. 138 del 2011,
convertito, con modificazioni, in legge n. 148 del
2011, che ha articolato il preavviso mediante un coordinamento delle
esigenze aziendali con quelle dei dipendenti, riconoscendo un preavviso di 48
ore per quattro giorni alla settimana. Tale previsione non contrasta con alcuna
norma inderogabile, né con parametri costituzionali, in quanto articola le
comunicazioni dei turni in modo da consentire comunque al lavoratore una
programmazione e un’organizzazione periodica del tempo libero nell’arco della
settimana.

11. Per quanto attiene al periodo anteriore
all’accordo aziendale, la sentenza impugnata si fonda sulla considerazione che
la disciplina unilaterale del datore di lavoro comprimeva eccessivamente la
possibilità di organizzazione, pianificazione e programmazione dei tempi di
vita del lavoratore. Sostanzialmente ha ritenuto che se è evidentemente
consentito al datore di lavoro, in relazione a sue specifiche esigenze,
organizzare l’attività in turni di servizio, ciò nonostante, pur in assenza di
disposizioni specifiche di legge o di contratto, questi devono essere portati a
conoscenza dei lavoratori con un ragionevole anticipo così da consentire loro
una programmazione del tempo di vita.

11.1. Tuttavia, il parametro assunto dalla Corte di
appello a riferimento per ritenere la violazione di un preavviso ragionevole,
ossia il parametro normativo previsto per il rapporto di lavoro part-time, non
è utilizzabile, per tutte le ragioni sopra illustrate. Ne consegue che anche su
tale capo la sentenza va cassata, in quanto la ritenuta violazione si fonda su
un criterio inidoneo a sostenerla.

12. Tutto quanto finora detto porta all’accoglimento
del secondo motivo restando assorbito il terzo che verte sul risarcimento del
danno, il quale è condizionato alla nuova valutazione di merito demandata al
giudice di rinvio.

13. Il quarto motivo è in parte inammissibile, in
quanto incentrato nella riproposizione degli assunti della memoria difensiva di
parte convenuta e della motivazione della sentenza di primo grado, a loro volta
entrambi vertenti principalmente sul difetto di prova dei presupposti di fatto
relativi all’indennità rivendicata piuttosto che sulla interpretazione delle
norme di riferimento.

13.1. Quanto alla contestazione in fatto relativa
alle indicazioni dei luoghi di comando diversi dalla residenza di servizio,
trattasi di questione che attiene alla disamina delle prove documentali, ossia
a valutazione delle risultanze istruttorie, di competenza del giudice di
merito, non sindacabile in sede di legittimità.

13.2. Il motivo e’ infondato quanto
all’interpretazione dell’art.
20b del CCNL autoferrotranvieri di cui alla sentenza impugnata, tenuto
conto del concetto di “residenza”, che è “la località assegnata
dall’azienda ad ogni singolo lavoratore”, e dei presupposti per
l’erogazione dell’indennità di trasferta, che spetta “al personale
viaggiante inviato in servizio occasionale diverso da quello abituale: sono
considerati occasionali i servizi effettuati su linee non facenti capo alla
residenza del lavoratore”.

14. In conclusione, va accolto il secondo motivo,
con assorbimento del terzo, mentre vanno rigettati il primo e il quarto.

14.1. La sentenza va cassata in relazione al motivo
accolto con rinvio, anche per quanto attiene alla regolazione delle spese del
presente giudizio, alla Corte di appello di Torino in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo, assorbito il terzo;
rigetta il primo e il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Torino in
diversa composizione.

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