Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 dicembre 2019, n. 32703
Licenziamento per giusta causa, Illegittimità, Abuso dei
permessi ex art. 33, co. 3, L.
n. 104/1992, Elementi probatori acquisiti
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Cagliari, con sentenza
n.55 depositata il 13.2.2018, ha confermato la sentenza del Tribunale della
medesima sede ed ha ritenuto illegittimo il licenziamento per giusta causa
intimato da Impresa terminalista di Cagliari – I. s.r.l., con lettera
dell’8.4.2016, a D. T. per abuso dei permessi ex art. 33, comma 3, della legge n.
104 del 1992.
2. La Corte di appello, ha, in sintesi, osservato,
che non poteva ritenersi raggiunta la prova dell’abuso di tre permessi ex art. 33, comma 3, della legge n.
104 del 1992 risultando – dalla relazione dell’agenzia investigativa
(incaricata dal datore di lavoro) nonché dalle prove testimoniali – che il T.
nelle giornate del 12 e 15 febbraio e 18 marzo 2016 aveva prestato assistenza
al proprio zio, recandosi presso la sua abitazione o presso il suo medico
curante ovvero effettuando acquisti a lui dedicati ovvero effettuando presenza
notturna, anche mediante ospitalità presso casa propria.
3. Per la cassazione di tale sentenza la società ha
proposto ricorso affidato a un motivo. Il sig. T. ha resistito con
controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo ed unico motivo di ricorso si
deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5,
cod.proc.civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio,
avendo, la Corte territoriale, omesso di considerare – con riguardo alla
giornata del 12.2.2016 – che il lavoratore aveva dichiarato in udienza che
“alla sera mi sono recato da mio zio a Narcao frazione Pesus, sulle 22/23
della sera”, con ciò rendendo evidente che il T. si era recato a casa
dello zio disabile al massimo per 2 ore della giornata; con riguardo alla
giornata del 15.2.2016, la Corte ha omesso di considerare che il T. aveva
dichiarato, nel ricorso introduttivo del giudizio, di essere rimasto a casa
dello zio fino alle ore 9,00 e le indagini investigative avevano dimostrato che
lo stesso era uscito da quella abitazione alle 9.40, risultando inoltre, che si
era recato nuovamente dallo zio presumibilmente verso le 22,00; con riguardo
alla giornata del 18 marzo 2016, la Corte territoriale ha omesso dì valutare le
dichiarazioni rese dal T. dalle quali emergeva che lo zio disabile non fu
trasportato a casa della sorella P. il giorno precedente.
2. Il ricorso è inammissibile.
Non può sottacersi che le svolte censure si
traducono in critiche ed obiezioni avverso la valutazione delle risultanze istruttorie
quale operata dal giudice del merito nell’esercizio del potere di libero e
prudente apprezzamento delle prove a lui demandato dall’art. 116 cod. proc. civ. e si risolvono altresì
nella prospettazione del risultato interpretativo degli elementi probatori
acquisiti, ritenuto dallo stesso ricorrente corretto ed aderente alle suddette
risultanze, con involgimento, così, di un sindacato nel merito della causa non
consentito in sede di legittimità (cfr. in motivazione, ex plurimis, Cass.
n.22283 del 2014).
Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite
(sentenza n. 8053 del 2014) e dalle successive
pronunce conformi (cfr. Cass., n. 27325 del 2017;
Cass., n. 9749 del 2016), l’omesso esame deve
riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale
(ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato)
o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti
dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere
decisivo.
L’interpretazione di questa Corte (da ultimo, Cass.
n. 27415 del 2018) ha chiarito come l’art. 360,
primo comma, n. 5, cod.proc.civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n.
83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134,
abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per
Cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia
carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito
diverso della controversia).
Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non
integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il
fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione
dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., non una
“questione” o un “punto”, ma un vero e proprio
“fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero
una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio
fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5,
08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1,
5/03/2014, n. 5133).
Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il
cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art.
360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., le argomentazioni o deduzioni difensive
(Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli
elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario
insieme dei materiali di causa” (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439).
E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di
cui all’art. 360 n. 5 cod.proc.civ. per
sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni
di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche
rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a
contenuto tecnico), o della “non contestazione dell’avvenuta
usucapione” (un fatto che non sia stato “oggetto di discussione tra
le parti” è, d’altro canto, fuori dall’ambito dell’art. 360 n. 5 cod.proc.civ. per sua stessa
definizione), o per lamentarsi di una “motivazione non corretta”.
3. Ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso
è rappresentato dalla pronuncia “doppia conforme”.
L’art. 348 ter,
comma 5, cod.proc.civ. prescrive che la disposizione di cui al comma 4 – ossia
l’esclusione del n. 5, dal catalogo dei vizi deducibili di cui all’art. 360, primo comma, cod.proc.civ. – si applica,
fuori dei casi di cui all’art. 348 bis, comma 2,
lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che
conferma la decisione di primo grado, con la conseguenza che il vizio di
motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia
conforme.
Nel caso di specie, per l’appunto, la Corte ha
confermato, in sede di reclamo, la statuizione del Tribunale (emessa in sede di
opposizione), che aveva rinvenuto l’illegittimità del licenziamento per aver
accertato l’effettuazione, da parte del T., di prestazione legata
all’assistenza dello zio disabile nelle giornate contestate.
Quando la ricostruzione delle emergenze probatorie
effettuata dal Tribunale sia stata confermata dalla Corte d’appello, com’è nel
caso, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di
cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.( deve
indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e
quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che
esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 10/03/2014), ciò che nel caso non
è stato fatto.
4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile. Le spese di lite del presente giudizio seguono il criterio della
soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
e sono liquidate come da dispositivo.
5. Il ricorso è stato notificato in data successiva
a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17), che ha integrato il D.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del
seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta
integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha
proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o
incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della
sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di
pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso
in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da
respingersi, deve provvedersi in conformità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità,
liquidate in euro 200,00 per esborsi nonché in euro 5.000,00 per compensi
professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso articolo 13,
ove dovuto.