Il licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica al lavoro è legittimo nel caso in cui non vi siano nell’organizzazione aziendale posizioni confacenti alle residue attitudini del dipendente.
Nota a Cass. 28 ottobre 2019, n. 27502
Sonia Gioia
Ai fini della legittimità del licenziamento per inidoneità fisica si configura, a carico del datore di lavoro, l’obbligo della previa verifica della possibilità di adattamenti organizzativi purché contenuti nei limiti della ragionevolezza. Lo ribadisce la Corte di Cassazione 28 ottobre 2019, n. 27502, che conferma App. Venezia n. 29/2017.
La Cassazione:
a) premette che, in caso di sopravvenuta inidoneità del lavoratore alle mansioni di originaria adibizione (v. Cass. S.U. n. 7755/1998), il giustificato motivo di recesso del datore di lavoro è escluso dalla possibilità di adibire il lavoratore ad una diversa attività “riconducibile alle mansioni attualmente assegnate o a quelle equivalenti o, se ciò è impossibile, a mansioni inferiori;
b) precisa (v. anche Cass. nn. 13649/2019 e 6798/2018) che la nozione di disabilità, anche ai fini della tutela in materia di licenziamento, va costruita in conformità al contenuto della Direttiva UE (2000/71/18), come interpretata dalla Corte di Giustizia (sentenze 1 dicembre 2016, C-395/15; 18 dicembre 2014, C-354/13; 18 marzo 2014, C-363/12 e 11 aprile 2013, C-335/11 e C-337/11) e deve esser letta alla luce di adattamenti organizzativi ragionevoli da parte del datore di lavoro onde consentire l’utilizzazione del lavoratore divenuto “disabile”. Inoltre, essa va intesa come “limitazione risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori”;
c) ma chiarisce che (per costante giurisprudenza) la verifica della possibilità di diversa utilizzazione del lavoratore nell’ambito dell’impresa incontra il limite rappresentato dall’assetto organizzativo “insindacabilmente stabilito dall’imprenditore”. Ciò, in quanto nel bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti (artt. 4, 32, 36 e 41 Cost.) non si può chiedere al datore di lavoro di ricollocare il dipendente non più fisicamente idoneo, modificando le scelte organizzative “riservate all’ambito della sua piena discrezionalità in quanto espressione della libertà di impresa tutelata dall’art. 41 Cost.”.
In particolare, la sopravvenuta inidoneità se, da un lato, non costituisce giustificato motivo di licenziamento, qualora in ambito aziendale si rinvengano posizioni lavorative, anche corrispondenti a mansioni inferiori, compatibili con la situazione del lavoratore divenuto inidoneo, dall’altro “non si spinge fino ad affermare l’obbligo datoriale di fare luogo a modifiche organizzative destinate a consentire l’utile reimpiego del lavoratore divenuto inidoneo” (art.4, co. 4, L. n. 68/1999), essendo peraltro previsto, in mancanza di posizioni reperibili nell’ambito dell’attuale organizzazione datoriale, l’avviamento del lavoratore presso altra azienda in attività compatibili con le sue residue capacità.