Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 dicembre 2019, n. 32985

Accertamento del rapporto di lavoro, Mansione e qualifica,
Recesso, Rapporto di agenzia, Compenso provvigionale, Accordo economico

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’appello di Roma, con sentenza del
4.1.2017, respingeva il gravame proposto da G.G. avverso la sentenza di primo
grado di rigetto del ricorso avanzato dal predetto, inteso ad ottenere
l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato intercorso con la Banca
epigrafata nel periodo dal 31 maggio 2001 al 17 ottobre 2003, con mansioni
corrispondenti alla qualifica di quadro direttivo di primo livello, ovvero a
diversa qualifica ritenuta di giustizia, con pagamento di somme a titolo di
retribuzioni per la mensilità di ottobre 2003, a titolo di 13° mensilità e di
residuo importo per portafoglio gruppo, e, quanto al licenziamento, la
declaratoria di illegittimità del recesso, con ordine di reintegrazione nel
posto di lavoro e condanna della Banca al pagamento della retribuzione pattuita
dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione, oltre che dei
contributi previdenziali;

1.1 in subordine, la domanda era intesa ad ottenere
la tutela meramente risarcitoria e, qualora il rapporto fosse stato qualificato
come di agenzia, erano richieste le somme asseritamente dovute per l’impegno
assunto dalla Banca alla corresponsione del compenso fisso mensile per cinque
anni, residuandone trentadue mesi, nonché dell’ulteriore importo di € 59.803,04
a titolo di differenze ancora da corrispondere a titolo di premio di
portafoglio di gruppo;

2.2 la censura formulata in sede di gravame del G.
era riferita alla parte della decisione relativa alla domanda subordinata di
pagamento delle residue mensilità di compenso provvigionale fisso entro il
termine di durata minima garantita, laddove si era sostenuta la violazione
delle norme di ermeneutica contrattuale con riferimento all’Accordo Economico
del 31.5.2001, allegato al contratto di agenzia, ove era previsto il patto di
durata minima di cinque anni in favore dell’agente;

3. la Corte non condivideva l’assunto
dell’appellante che vi fosse stato in suo favore il riconoscimento di un
“fisso” provvigionale per cinque anni in modo assolutamente
incondizionato, in quanto, con l’accordo economico, le parti avevano solo
inteso prevedere, in via di miglior favore per il promotore, la possibilità di
percepire per i primi cinque anni di eventuale durata del contratto di agenzia,
un fisso provvigionale minimo garantito e non certo avevano stipulato una
clausola contrattuale diretta ad assicurare al rapporto di agenzia una durata
minima, peraltro a garanzia del solo agente;

3.1. sosteneva che il vincolo di collegamento tra
contratto principale ed accessorio era tale per cui le vicende del rapporto
principale si ripercuotevano sul rapporto accessorio, condizionandone la
validità ed efficacia, e che le argomentazioni dell’appellante a proposito
dell’applicabilità dei criteri di ermeneutica contrattuale sussidiari erano
errate, posto che gli stessi venivano in causa solo ove non fosse stato
possibile individuare il senso delle clausole e la volontà effettiva delle
parti alla stregua delle regole interpretative degli artt. da 1362 a 1365 c.c.,
ciò che non si era verificato nel caso considerato, esprimendo il significato
della clausola contrattuale, in unione con il tenore del contratto principale,
l’assenza di un intento negoziale di rinuncia, in capo ad entrambi i
contraenti, per un periodo di tempo predeterminato, ad avvalersi del diritto di
recedere dal rapporto;

3.2. la Corte osservava che tale interpretazione non
era smentita dalla testimonianza resa dal dirigente della Banca L., secondo cui
il testo contrattuale si riferiva all’ipotesi in cui nessuno dei contraenti
avesse esercitato il diritto di recedere;

3.3. peraltro, il contratto di agenzia doveva essere
provato per iscritto, sicché era inammissibile la prova testimoniale;

3.4. la Corte rigettava la censura relativa al
mancato riconoscimento della mensilità di ottobre 2003, in quanto ritenuta
riferita solo alla domanda di accertamento della subordinazione, né il diritto
poteva ritenersi rivendicato in forza di una estensione della domanda con la
quale si chiedeva il pagamento della mensilità anche a titolo di fisso
provvigionale, rigettata dal giudice di primo grado;

3.5. quanto alle somme richieste a titolo di premio
portafoglio gruppo, dalla mera lettura della clausola non era dato pervenire
all’accoglimento della richiesta, connotata da assoluta genericità e supportata
da conteggi unilateralmente predisposti dal ricorrente;

4. di tale decisione domanda la cassazione il G.,
affidando l’impugnazione a cinque motivi, variamente articolati, cui resiste,
con controricorso, la Banca, che propone ricorso incidentale con un motivo
condizionato ed altro autonomo; per resistere a quest’ultimo il G. ha
depositato proprio controricorso;

5. entrambe le parti hanno depositato memorie ai
sensi dell’art. 380 bis, 1 c.p.c.

RICORSO PRINCIPALE

1. con il primo motivo, il G. denunzia violazione o
falsa applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362, 1363, 1369 e 1366 c.c.,
nonché delle norme e principi in tema di qualificazione del contratto; deduce
la nullità della sentenza per violazione dell’art.
132, comma 2°, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att.
c.p.c., per motivazione meramente apparente o manifestamente
contraddittoria (art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c.)
relativamente al punto in cui la sentenza procede alla qualificazione dell’AEC
integrativo del 31.5.2001 ed alla ricostruzione dei rapporti tra quest’ultimo
ed il mandato di promotore finanziario, sull’assunto che le pattuizioni ad
personam oggetto di negoziazione specifica e contenute nell’accordo economico
successivo al mandato erano destinate a prevalere sulle condizioni
“standard” del mandato di promotore finanziario;

1.1. il ricorrente evidenzia come l’accordo
economico prevedeva non solo il riconoscimento di un fisso provvigionale di 21
milioni di lire al mese per un periodo di cinque anni dalla data di
conferimento del mandato, ma anche la valorizzazione al 24° mese di rapporto
del “premio portafoglio” nelle sue voci “personale” e di
“gruppo” ed il relativo tempo di pagamento, ciò che costituiva indice
di stabilità convenzionale del rapporto e temporanea rinuncia della Banca al
recesso se non per giusta causa;

1.2. sostiene che a nulla rilevino le generali
previsioni del mandato di promotore sulla libera recedibilità, in presenza di
pattuizioni confliggenti contenute nell’accordo economico, destinate, per
volontà espressa dalle parti, ad integrare e modificare il primo;

2. con il secondo motivo, il G. lamenta violazione o
falsa applicazione dei criteri di interpretazione del contratto, con particolare
riferimento a quelli di cui agli artt. 1369 e 1366 c.c., omessa pronuncia su motivo di appello
in violazione dell’art. 112 c.p.c., ovvero
omesso esame circa un fatto decisivo, rilevando la mancata verifica, da parte
della Corte territoriale, degli ulteriori criteri ermeneutici ex artt. 1369 e 1366 c.c.,
per essere stata la valutazione compiuta con riguardo al solo criterio
letterale e per avere il giudice omesso l’applicazione dei criteri di
interpretazione funzionale e di interpretazione secondo buona fede;

2.1. assume che, risultando documentalmente che il
G. era stato “ingaggiato” dalla Banca per costituire ex novo nella
provincia di Frosinone una struttura della rete commerciale, era evidente che
l’intenzione del predetto era quella di assicurarsi il trattamento economico
convenuto per il periodo minimo di cinque anni, come confermato anche in sede
di istruttoria orale;

2.2. adduce che era stata omessa l’applicazione
dell’art. 1369 c.c. ai fini
dell’interpretazione funzionale e, comunque, omesso l’esame circa un fatto
decisivo, escludendosi l’ammissibilità della testimonianza resa da dirigente
della Banca in violazione del disposto degli artt.
2725 e 2724 n. 3 c.c. ai fini
dell’accertamento della comune volontà delle parti risultante da contratto
scritto ad probationem;

2.3. altro criterio valutativo disatteso era,
secondo il ricorrente, quello previsto dall’art.
1366 c.c., che impone una interpretazione secondo buona fede ed aggiunge
che era stata conferita rilevanza dirimente alle parole “valido in
costanza di mandato”, laddove il recesso doveva ritenersi consentito solo
per giusta causa o impossibilità sopravvenuta della prestazione;

3. il terzo motivo ascrive alla decisione impugnata
violazione o falsa applicazione delle norme e principi in tema di rinuncia al
recesso e di clausole di stabilità convenzionale di rapporti di durata, nella
specie di agenzia; violazione delle regole di buona fede e correttezza e di
solidarietà contrattuale, di cui agli artt. 1175
e 1375 c.c. e 2
Cost. nella fase di esecuzione del contratto, in relazione alla
comunicazione di recesso da parte della Banca, osservandosi come, pure a fronte
delle anomalie motivazionali denunziate, la sentenza abbia dichiarato legittimo
il recesso del 14.10.2003, che era, invece, in virtù della clausola esaminata,
da qualificare come ante tempus rispetto alla convenuta stabilità
convenzionale, con riguardo anche ai patti contenuti nell’accordo economico
concernenti la valorizzazione al 24° mese del premio portafoglio, la
liquidazione del premio al 24° mese e dopo ulteriori 12 mesi, della seconda
rata; a sostegno si richiama giurisprudenza di legittimità (Cass. 18376/2009; 17817/2005, 1158/1997) che
conforterebbe la possibilità di inserire legittimamente una clausola di durata
minima, prevedendo, a fronte di anticipato recesso, l’obbligo della parte
recedente di risarcimento del danno;

3.1. si aggiunge che nella specie il recesso era del
tutto immotivato e quindi si poneva in violazione anche delle norme di
correttezza e buona fede.

4. con il quarto motivo, si deduce nullità della
sentenza per violazione dell’art. 345 cpc,
error in procedendo con riguardo alla inammissibilità affermata in relazione
alla novità della domanda intesa alla corresponsione del compenso per la
mensilità di ottobre 2003, ritenuto ancorato alla richiesta di accertamento di
un rapporto di lavoro subordinato, nella specie escluso;

4.1. si sostiene che la domanda doveva essere
interpretata con riguardo al suo contenuto sostanziale e che la domanda
subordinata era relativa al fisso provvigionale per il mese di ottobre 2003,
anche per l’ipotesi di ritenuta legittimità del recesso della Banca, avvenuto
già a mese inoltrato;

5. il quinto motivo attiene alla dedotta nullità
della sentenza, per violazione degli artt. 132,
comma 2, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.
per motivazione meramente apparente, o manifestamente contraddittoria, affetta
da grave anomalia, violazione dell’art. 115 c.p.c.
in sé ed in combinato disposto con l’art. 416
c.p.c., con riferimento al rigetto della domanda coltivata dal G. nel terzo
motivo di gravame concernente il pagamento del residuo portafoglio di gruppo
per € 59.803,04;

6. i primi tre motivi, da trattarsi congiuntamente
per l’evidente

connessione delle questioni che ne costituiscono
l’oggetto, sono in parte inammissibili per la preclusione derivante da una
doppia conforme ex art. 348 ter, comma 5, c.p.c.,
con riguardo alla deduzione del vizio di cui all’art.
360 n. 5 c.p.c. e per il resto inammissibili, per essere la interpretazione
effettuata dalla Corte territoriale osservante dei criteri ermeneutici
contrattuali che privilegiano l’applicazione delle regole di cui agli artt. 1363, 1365 c.c.,
solo in via sussidiaria prevedendosi il ricorso agli ulteriori criteri
interpretativi e comunque, con riferimento al testo dell’accordo . economico, è
corretto quanto argomentato in ordine al travisamento del tenore letterale
dello stesso, che si limita a disciplinare gli aspetti economici del rapporto
con riguardo al fisso provvigionale convenuto ed al trattamento di miglior
favore garantito all’agente per l’ipotesi di superamento dello stesso, con
possibilità di rinunciare al fisso minimo garantito: tanto è sufficiente per
ritenere non idonee le censure a scalfire l’impianto motivazionale della
decisione, configurandosi come connotato da assoluta novità il richiamo
effettuato solo in sede di gravame alla fattispecie del contratto per adesione
ed alla predisposizione unilaterale;

7. in ordine al quarto motivo, la giurisprudenza
richiamata in sentenza, Cass. 26687/2005 afferma che: “Il carattere
normalmente unitario della domanda risarcitoria per equivalente pecuniario – il
cui oggetto è, di regola, rappresentato dalla perdita patrimoniale e non
patrimoniale subita dal danneggiato nella sua globalità e non nei singoli
elementi che lo compongono – implica la necessità di considerare la domanda risarcitoria,
fondata sul dedotto illecito del convenuto, comprensiva di tutte le possibili
voci di danno da esso originate (e non solo alcune di esse) in tutti i casi in
cui non risulti il contrario attraverso una manifestazione esplicita,
intervenuta “ab origine” e concretantesi nella precisazione che la
somma globalmente pretesa, ovvero i singoli importi riferiti a specifiche voci,
non esauriscono l’intero danno patito, nonché nella esplicita riserva di
rinviare ad altro procedimento il soddisfacimento delle ulteriori ragioni di
credito temporaneamente accantonate, di modo che sia inequivocamente rivelato
che la parte, avvalendosi del suo potere dispositivo, abbia inteso agire solo
per una parte del suo credito. In assenza di una tale univoca dichiarazione, dovrà
ritenersi preclusa la possibilità di una nuova azione, funzionale al
risarcimento di altri danni derivanti dal medesimo illecito pur se in relazione
a voci nuove e diverse da quelle esposte nel precedente giudizio, attesa la
preclusione derivante dal primo giudicato”;

7.1. tanto premesso, la pretesa, con riferimento a
quanto indicato nel ricorso originario, doveva essere specificata
ritrascrivendo i passaggi rilevanti dell’atto introduttivo della lite, in
ossequio al principio di specificità, al fine di consentire la valutazione
sollecitata, ovvero se la stessa fosse collegata unicamente alla prospettazione
dell’asserita esistenza del patto di durata minima garantita;

8. il quinto motivo contiene una censura connotata
da assoluta genericità, in quanto non si indica neanche il contenuto dei
tabulati richiamati e si invocano erroneamente norme di cui si assume la
violazione, che non trovano spazio in relazione a doglianze che si limitano a
ripercorrere aspetti valutativi del fondamento della pretesa vantata a titolo
di “portafoglio di gruppo”, ulteriore rispetto a quelle che avevano
trovato soddisfazione in sede di decreto ingiuntivo ottenuto passato in
giudicato;

RICORSO INCIDENTALE

9. è denunciata, con il primo motivo, violazione e
falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c. per
ritenuta erroneità del capo di sentenza che, nel rigettare l’eccezione
preliminare della convenuta, ha ritenuto il gravame del G. ammissibile in
relazione agli oneri di specificità richiesti dal novellato art. 434 c.p.c.;

10. con il secondo motivo, ci si duole della
violazione e falsa applicazione dell’art. 324
c.p.c. con riguardo al capo della decisione in sede di gravame che ha
riformato quella di primo grado nella parte in cui quest’ultima aveva ritenuto
che l’esistenza del decreto ingiuntivo esonerasse da ogni ulteriore valutazione
della domanda di pagamento di residui compensi maturati a titolo di premio di
portafoglio: si assume che la pretesa non potesse essere esaminata e che la
clausola di riserva non era stata riportata in appello nella sua interezza, e
ciò nonostante che la sentenza della Corte d’appello abbia rigettato il motivo
formulato al riguardo dal G.;

11. il primo motivo è condizionato, essendone
l’esame sollecitato solo per l’ipotesi di accoglimento di uno dei motivi del
ricorso principale ed, in ogni caso, ancor prima, pecca di specificità;

12. analogamente, il secondo motivo non è sorretto
da alcun interesse all’impugnativa della sentenza in parte qua, interesse che
non può ritenersi persistere una volta respinto l’ultimo motivo del ricorso
principale;

13. in conclusione, deve pervenirsi alla
declaratoria di inammissibilità di entrambi i ricorsi;

14. le spese del giudizio di legittimità vanno
compensate, avuto riguardo alla reciproca soccombenza;

15. ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115
del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente
incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale e di quello incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara entrambi i ricorsi inammissibili e compensa
tra le parti le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1
quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato
D.P.R., ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 dicembre 2019, n. 32985
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: