Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 dicembre 2019, n. 32386
Insegnanti di ruolo, Riconoscimento dell’anzianità di
servizio e dell’attività di insegnamento, Scuole paritarie,Inquadramento e
trattamento economico
Svolgimento del processo
1. La Corte di Appello di Trento, con la sentenza n.
59/13, ha accolto l’impugnazione proposta dalla Provincia autonoma di Trento
nei confronti di C.R., D.T.C., D.A., M.C., S.N., S.M., avverso la sentenza
pronunciata tra le parti dal Tribunale di Trento.
2. Il Tribunale era stato adito da C.R., D.T.C.,
D.A., M.C., S.N., S.M., insegnanti di ruolo in scuole di secondo grado alle
dipendenze della Provincia autonoma di Trento, che chiedevano l’accertamento
del proprio diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio e
dell’attività di insegnamento svolta presso “scuole paritarie” a far
data dal 2000, con ogni effetto conseguente sull’inquadramento e sul
trattamento economico, previa disapplicazione dei decreti con i quali il datore
di lavoro aveva ricostruito la carriera annullando i precedenti decreti con i
quali erano stati riconosciuti invece validi gli anni pre-ruolo successivi al
2000.
Chiedevano, quindi, che la Provincia autonoma di
Trento venisse condannata al ripristino del trattamento economico, giuridico e
assistenziale già in godimento, con corresponsione di arretrati ove dovuti e
restituzione di eventuali trattenute nel frattempo effettuate ai fini del
recupero dell’asserito indebito.
3. Il giudice di primo grado annullava i decreti del
febbraio – marzo 2011, ed accertava che le ricorrenti avevano l’anzianità di
servizio che gli era stata riconosciuta inizialmente con conseguente
illegittimità di ogni riduzione stipendiale e di ogni pretesa restitutoria.
4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di
appello ricorrono le lavoratrici prospettando tre motivi di impugnazione.
5. Resiste la Provincia autonoma di Trento con
controricorso.
6. All’adunanza camerale del 10 ottobre 2018, la
causa veniva rinviata a nuovo ruolo per essere trattata nella stessa udienza
con altri ricorsi che presentavano analoghe questioni, ed è stata poi fissata
all’odierna udienza pubblica.
7. In prossimità dell’udienza pubblica, le
lavoratrici hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. In via preliminare, è opportuno richiamare l’iter
argomentativo della sentenza di appello oggetto dell’odierna impugnazione.
1.1. La Corte d’Appello ha individuato il thema
decidendum del giudizio, così qualificando la domanda, nell’accertamento della
legittimità o meno della ricostruzione delle carriere delle insegnanti
effettuata dall’Amministrazione, in ragione del doversi o meno tenere conto del
servizio pre-ruolo prestato presso scuole paritarie private.
In tal modo, ha disatteso l’affermazione del
Tribunale che la fattispecie andava inquadrata nello schema della ripetizione
dell’indebito, e in particolare nell’ipotesi di condicio indebiti ob causam
finitam, facendo applicazione dei principi relativi all’indebito oggettivo
sussistendo una questione di annullamento del contratto per errore.
Tale questione, espone il giudice di secondo grado,
peraltro, era stata svolta dalle ricorrenti solo nelle note conclusive del
giudizio di primo grado, nelle quali ribadivano la richiesta di disapplicazione
dei provvedimenti impugnati in ragione del riconoscimento del servizio
preruolo.
Il giudice di appello ha chiarito che solo in via
subordinata era stata posta dalle ricorrenti la questione della ripetibilità
dell’indebito.
La richiesta di restituzione delle somme percepite
era stata effettuata dalla Provincia autonoma di Trento a seguito della
rideterminazione della ricostruzione della carriera, in relazione all’anzianità
di servizio delle dipendenti, e non in ragione dell’annullamento unilaterale
del contratto di lavoro o di alcune clausole dello stesso.
Non si verteva, pertanto, in tema di annullamento di
clausola contrattuale.
1.2. La ripetizione dell’indebito costituiva atto
dovuto atteso che il d.lgs. n. 297 del 1994,
che prevede la valutazione del servizio pre-ruolo con riguardo al servizio
prestato presso le scuole pareggiate non poteva trovare applicazione.
Né ciò poteva discendere dalla legge n. 62 del 2000 che aveva disciplinato gli
istituti paritari.
1.3. In ordine al mancato riconoscimento del
servizio pre-ruolo la Corte d’Appello ha affermato quanto segue.
La legge n. 62 del 2000
non aveva disciplinato il riconoscimento del servizio pre-ruolo ai fini della
ricostruzione della carriera presso scuole non statali.
Tale riconoscimento non poteva discendere dalla
dicotomia scuole paritarie, scuole non paritarie, né dalla previsione dell’art.
2, comma 2, del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 255, conv. dalla legge n. 332;
del 2001.
Infatti, tale ultima disposizione aveva sancito una
uniformità di valutazione dei servizi di insegnamento prescritti nelle scuole
paritarie e statali, ma ciò non in via generale, ma in relazione alla
specificità dell’inserimento degli insegnanti nelle graduatorie finalizzate
all’avvio dell’anno scolastico.
La disciplina regolatrice della fattispecie era
costituita dall’art. 485 del
d.lgs. n. 297 del 1994, che non poteva estendersi al personale docente
degli istituti secondari paritari.
Pertanto, correttamente la Provincia aveva escluso
la riconoscibilità dell’insegnamento prestato dopo il 2000 presso le scuole
paritarie private.
1.4. La non riconoscibilità dell’errore compiuto
dalla Provincia autonoma di Trento, dedotto dalle ricorrenti, era privo di
rilievo, atteso che la ripetibilità delle somme in questione erogate in ragione
dell’erroneo computo dell’anzianità di servizio non poteva essere esclusa per
la buona fede dell’accipiens, poiché l’art. 2033
cod. civ. riguarda solo la restituzione dei frutti e degli interessi, e la
natura del rapporto escludeva l’applicabilità della regola della non
ripetibilità delle somme percepite in buona fede e destinate al soddisfacimento
delle normali necessità di vita.
2. Tanto premesso, può passarsi ad esaminare i
motivi di ricorso.
3. Con il primo motivo di ricorso è dedotto error in
iudicando ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc.
civ.: per falsa applicazione di norme di diritto, e segnatamente degli artt. 1429-1431 cod.
civ., e dell’articolo unico della legge n. 576 del 1970, concernente il
riconoscimento del servizio prestato prima della nomina in ruolo del personale
insegnante e non insegnante delle scuole di istruzione elementare, secondaria e
artistica; per errata, travisata ed omessa applicazione al caso de quo delle
norme civilistiche in tema di annullamento per errore nel contratto, dovendosi
considerare il decreto di inquadramento con il quale la PA ricostruisce la
carriera delle lavoratrici, alla stregua di un contratto di lavoro, e comunque
parte integrante di esso, determinandone il contenuto economico e giuridico.
3.1. Assumono le ricorrenti che la sentenza di
appello ha fatto falsa applicazione della disciplina civilistica in tema di
errore nel contratto, in ragione di una errata lettura della sentenza di primo
grado.
Il Tribunale aveva affermato che il giudizio verteva
sulla ripetizione di indebito, nella specie corresponsione di maggiore
retribuzione, trovando, pertanto, applicazione la giurisprudenza in materia.
La ripetizione poteva intervenire in presenza della
prova da parte del datore di lavoro della invalidità della propria volontà di
derogare al meglio, e dunque della sussistenza di un errore essenziale e
riconoscibile da parte del lavoratore.
Nella specie, tale evenienza non si era verificata.
La Provincia aveva riconosciuto la maggiore
retribuzione in ragione dell’anzianità di servizio attribuita alle lavoratrici
con i decreti del 2007-2009.
La Provincia, nei decreti del 2011, oggetto di
impugnazione, ammetteva di aver commesso un errore nella determinazione
dell’anzianità di servizio, e in ragione di ciò chiedeva la restituzione di quanto
attribuito.
Le ricorrenti sino alla notificazione dei decreti,
intervenuta nel 2011, avevano percepito la retribuzione in assoluta buona fede,
facendo affidamento sui decreti del 2007-2009.
Le stesse, insegnanti in materie
umanistiche-letterarie, non erano in condizione di riconoscere errori di
diritto.
A fronte di un’anzianità pari a circa 20-25 anni e
tenuto conto della retribuzione percepita, potevano considerarsi soggetto
debole o modesto consumatore in contrasto con quanto affermato dalla Corte d’Appello
in relazione alla ripetibilità dell’indebito ex art.
2032 cod. civ.
3.2. L’Amministrazione, come sarebbe stato
informalmente convenuto in sede di assunzione, dopo aver richiamato il
contratto individuale di lavoro e il superamento del patto di prova, aveva
riconosciuto l’anzianità maturata presso scuole paritarie a partire dal 2000 in
ragione della legge n. 62 del 2000.
I provvedimenti di inquadramento in ruolo e
ricostruzione della carriera del 2007-2009 costituivano non atti autoritativi,
ma elementi integrativi ed essenziali del contratto di lavoro, come confermato
dalla impugnabilità dinanzi al giudice ordinario, che opera il proprio
sindacato alla luce dei vizi della patologia negoziale.
Ed infatti, ai sensi dell’art. 6 del dPR n. 345 del
1983, la carriera ed anzianità dell’insegnante viene computata mediante la
temporizzazione del valore economico maturato nel ruolo di provenienza, e di
conseguenza l’insegnante è collocato nella classe o posizione stipendiale
corrispondente.
Dopo il periodo di prova si può chiedere il
riconoscimento di tutti i servizi di ruolo e pre-ruolo, ex lege n. 576 del
1970.
La Corte d’Appello erroneamente aveva disconosciuto
la natura contrattuale dei decreti di inquadramento, assumendo che l’errore non
riconoscibile in essi contenuto non avesse rilievo ai fini dell’applicabilità
degli artt. 1428-1431
cod. civ.
4. Con il secondo motivo di ricorso è prospettato
error in iudicando ai sensi dell’art. 360, n. 5,
cod. proc. civ., per omesso esame circa un fatto controverso tra le parti e
decisivo ai fini del decidere, riguardante la natura contrattuale dei decreti
di ricostruzione della carriera ed attribuzione ai fini economici e giuridici
dell’anzianità di servizio.
Il giudice di appello non aveva esaminato la natura
dei decreti di inquadramento che invece il Tribunale aveva qualificato quale
integrazione del contratto di lavoro. Ed infatti a seguito dei decreti in
questione le ricorrenti non avevano dovuto sottoscrivere un nuovo contratto di
lavoro.
Né rilevava la mancata produzione degli stessi,
atteso che la propria impostazione difensiva era volta a dedurne la natura di
atti gestionali a valenza contrattuale in relazione al tema dell’errore non
riconoscibile.
5. Con il terzo motivo di ricorso è prospettato
error in iudicando ai sensi dell’art. 360, n. 3,
cod. proc. civ., per fa sa applicazione al caso de quo della legge n. 62 del 2000, e del sistema nazionale di
istruzione comprensivo delle scuole statali e delle scuole paritarie.
Erroneamente, e in contrasto con lo spirito della legge n. 62 del 2000, la Corte d’Appello ha
ritenuto che, in mancanza di una espressa previsione, il riconoscimento degli
istituti paritari a tutti gli effetti debba essere limitato alla sola natura
dell’istruzione e non anche al rapporto di lavoro scuola/insegnante, mentre
invece la qualità del servizio di istruzione erogato dall’istituzione
scolastica paritaria deve essere considerata alla stregua di quello assicurato
dalla scuola statale.
La sentenza di appello afferma, inoltre, che la
legge n. 333 del 2001, all’art. 2, comma 2, ha previsto un’uniformità di
valutazione dei servizi di insegnamento prestati nelle scuole paritarie, ma ciò
avrebbe fatto non in via generale, ma in relazione alla specificità
dell’inserimento degli insegnanti nelle graduatorie finalizzate all’avvio
dell’anno scolastico.
Anche in questo caso l’interpretazione del a norma è
stata effettuata con portata limitativa al solo anno di riferimento, mentre
appare plausibile che il citato art. 2, successivo di poco alla legge n. 62 del 2000, abbia recepito il principio
della parità scolastica, applicandola anche al rapporto di lavoro
scuola/insegnante, con ciò confermando il diritto delle ricorrenti al
riconoscimento del servizio pre-ruolo prestato dopo il 2000, e fino
all’assunzione alle dipendenze della Provincia autonoma di Trento, presso le
scuole paritarie private.
Non condivisibile è anche l’assunto della Corte
d’Appello che ha inteso ravvisare nell’art. 485 del d.lgs. n. 297 del
1994, non rientrante nelle norme abrogate dalla novella del 2000, l’unica
regola che disciplina la riconoscibilità del servizio pre-ruolo, con riguardo a
istituti scolastici diversi.
Tale norma infatti si riferisce alle scuole
pareggiate, che non possono essere ritenute equipollenti alle scuole paritarie.
In ogni caso, volendo ritenere applicabile detta
norma alle ricorrenti, andava riconosciuta alle stesse l’anzianità maturata.
6. I suddetti motivi devono essere trattati
congiuntamente in ragione della loro connessione.
7. Preliminarmente va rilevato che è applicabile
alla fattispecie l’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.,
nel testo modificato dalla legge 7 agosto 2012 n.
134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, che consente di
denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte
(Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053
del 2014) che la ratio di detto intervento normativo è ben espressa dai
lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 n. 5, cod. proc. civ. ha la finalità di
evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non
strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare
la funzione nomofilattica propria delle Corte di cassazione, quale giudice
dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della
violazione di legge.
Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo
allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, in
quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti
dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze
processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella
“motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice
difetto di “sufficienza” della motivazione”, sicché quest’ultima
non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di
tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte
a sostegno della propria tesi.
Pertanto, sono inammissibili le censure sopra
esposte riferite all’art. 360, n. 5, cod. proc.
civ., non ravvisandosi nella sentenza di appello, in ragione del percorso
motivazionale che ha tenuto conto degli atti di causa, le suddette lacune, e
non potendosi in sede di legittimità procedere ad un riesame delle risultanze
istruttorie.
In tema di procedimento civile, sono riservate al
giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio,
il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove,, la scelta,
tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in
discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del
proprio convincimento (cfr., Cass., n. 21187 del 2019).
8. Un profilo delle articolate censure (formulato,
in particolare, con il primo motivo di ricorso) attiene alla riqualificazione
della domanda operata dal giudice di appello nel senso della richiesta dalle
lavoratrici di accertamento del diritto alla ricostruzione della carriera,
computandovi l’anzianità del servizio pre-ruolo svolto dal 2000 presso scuole
paritarie, come riconosciuto dai decreti di inquadramento del 2007-2009, con
conseguente illegittimità dei decreti di rideterminazione dell’anzianità di
servizio adottati nel 2011, ed insussistenza dell’indebito.
Lo stesso non è fondato.
Come si è sopra illustrato, le lavoratrici, nella
censura, espongono che il thema decidendum, come sancito dal Tribunale, era
l’accertamento della non ripetibilità dell’indebito, atteso che l’errore della
Provincia autonoma di Trento che veniva posto alla base dei decreti del 2011
(da intendersi, secondo le ricorrenti, così come i decreti del 2007 e 2009,
quali clausole negoziali integrative del contratto di lavoro), che avevano
escluso la suddetta anzianità, era essenziale e non riconoscibile.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che in
virtù del principio “iura novit curia” di cui all’art. 113, comma 1, cod. proc. civ., il giudice ha
il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e
ai rapporti dedotti in giudizio, nonché all’azione esercitata in causa, potendo
porre a fondamento della propria decisione disposizioni e principi di diritto
diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purché i fatti necessari
al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli
della fattispecie concreta sottoposta al suo esame (Cass., n. 30607 del 2018,
n. 8645 del 2018, n. 12943 del 2012).
Tale principio, va posto in immediata correlazione
con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., in applicazione del
quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e
delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli
estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato
oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non
richiesto o diverso da quello domandato.
Correttamente, in applicazione dei suddetti
principi, la Corte d’Appello ha riqualificato la domanda, in ragione dei fatti
come allegati e come contestati dalle parti in causa.
Ciò trova conferma in quanto riportato dalle stesse
lavoratrici nel “fatto” del ricorso per cassazione (pag. 5 del
ricorso), nel trascrivere lo svolgimento del giudizio di primo grado come
riferito nella sentenza del Tribunale: «le professoresse C.R., D.T.C., D.A.,
M.C., S.N., S.M., tutte attualmente insegnanti di ruolo nelle scuole di secondo
grado alle dipendenze della convenuta Provincia autonoma di Trento dagli anni
2005-2006-2007» «dette professoresse hanno adito questo giudice per sentir
accertare il loro diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio e
dell’attività di insegnamento svolte presso “scuole paritarie” a far
data dal 2000, con ogni effetto conseguente sull’inquadramento e trattamento
economico, giudico assistenziale e pensionistico da parte della Provincia,
previa disapplicazione dei decreti (…)» di ricostruzione della carriera che,
nel 2011, avevano annullato i predetti decreti in quanto erano stati
riconosciuti erroneamente gli anni di servizio pre-ruolo prestati presso scuole
paritarie.
I fatti allegati a sostegno della fattispecie
giuridica prospettata nell’atto introduttivo coincidano con i fatti costitutivi
della diversa fattispecie giuridica come riqualificata dal Giudice di appello
rispetto al Tribunale.
9. Dunque, è preliminare l’esame, rispetto alle
altre, della censura, come illustrata nei diversi motivi di ricorso, relativa
alla computabilità o meno del servizio pre-ruolo presso scuole paritarie di
secondo grado nella determinazione dell’anzianità di servizio del docente con
rapporto di lavoro di impiego pubblico contrattualizzato, in sede di
ricostruzione della carriera. Computabilità esclusa dalla Corte d’Appello di
Trento.
10. La Costituzione (art.
33, terzo comma, Cost.) sancisce il diritto dei privati di istituire scuole
e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
Essa (art. 33, secondo
comma, Cost.) affida inoltre alla legge ordinaria il compito di fissare i
diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità,
assicurando ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico
equipollente a quello degli alunni delle scuole statali.
10.1. Prima della legge
10 marzo 2000, n. 62, nell’ordinamento vi erano, accanto alle scuole
statali, due tipologie di scuole private: quelle che non rilasciavano titoli di
studio avente valore legale e quelle – parificate, pareggiate, legalmente
riconosciute – che avevano tale legittimazione.
10.2. Occorre ricordare, in particolare, che il d.lgs,. n. 297 del 1994, nell’ambito
dell’istruzione non statale, per l’istruzione secondaria, disciplinava oltre il
riconoscimento legale, il pareggiamento.
Per la concessione del pareggiamento, occorreva, tra
l’altro che le cattedre fossero occupate da personale nominalo, secondo norme
stabilite con regolamento, in seguito ad apposito pubblico concorso, o che
fosse risultato vincitore, o avesse conseguito la votazione di almeno sette
decimi in identico concorso generale o speciale presso scuole statali o
pareggiate o in esami di abilitazione all’insegnamento corrispondente, ovvero
per chiamata, dal ruolo di scuole di pari grado, statali o pareggiate, ai sensi
della lettera b) dell’articolo unico del regio decreto 21 marzo 1935, n. 1118.
L’art.
485 del d.lgs. n. 297 del 1994, al comma 1, stabiliva che: “Al
personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il
servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese
quelle all’estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come
servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi
quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai
soli fini economici per il rimanente terzo. I diritti economici derivanti da
detto riconoscimento sono conservati e valutati in tutte le classi di stipendio
successive a quella attribuita al momento del riconoscimento medesimo”.
10.3. Con la legge n. 62
del 2000, il legislatore ha sancito che il sistema nazionale di istruzione,
fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, secondo comma, della
Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie
private e pubbliche degli enti locali.
Si afferma (art. 1, secondo periodo, della legge
n. 62 del 2000) che «La Repubblica individua come obiettivo prioritario
l’espansione dell’offerta formativa e la conseguente generalizzazione della
domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita».
Le scuole paritarie costituiscono, insieme alle
scuole statali, il sistema nazionale di istruzione, secondo un modello
pluralistico integrato.
La parità è riconosciuta alle scuole non sta:a!i che
ne fanno richiesta e che siano in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge,
tra cui: personale docente fornito del titolo di abilitazione; contratti
individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i
contratti collettivi nazionali di settore.
10.4. Questa Corte, con la sentenza n. 4080 del 2018. ha affermato, in tema
di scuole private riconosciute, che, ai sensi dell’art. 1, commi 4 e 6, della legge n.
62 del 2000 e degli artt. 3 e 6 della legge n. 86 del 1942, l’abilitazione
all’insegnamento è requisito di validità del contratto di lavoro avente ad
oggetto mansioni di insegnamento; ne consegue che il mancato possesso del
titolo di abilitazione rende nullo il contratto a termine concluso con una
scuola paritaria e, pur accertata la illegittimità del termine, ne preclude la
trasformazione in contratto a tempo indeterminato.
Le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico e
sono soggette alla valutazione dei processi e degli esiti da parte del sistema
nazionale, secondo standard stabiliti dalla legge; a queste condizioni la
scuola paritaria è abilitata al rilascio dei titoli di studio (Corte cost., n.
220 del 2007, n. 242 del 2014).
11. Successivamente, il decreto-legge n 255 de 2001,
conv. dalla legge n. 333 del 2001, nel dettare “Disposizioni urgenti per
assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2001/2002”, ha stabilito
che nell’integrazione delle graduatorie permanenti, i servizi di insegnamento
prestati dal 1° settembre 2000 nelle scuole paritarie sono valutati nella
stessa misura prevista per il servizio prestato nelle scuole statali.
12. Interveniva, quindi, l’art. 1 – bis del d.l. n. 250 del 2005,
convertito dalla legge n. 27 del 2006, che
sanciva come le scuole non statali di cui alla parte II, titolo VIII, capi I,
II e III, del testo unico di cui al d. Igs. n. 297 del 1994, sono ricondotte
alle due tipologie di scuole, scuole paritarie riconosciute ai sensi della legge 10 marzo 2000, n. 62, e scuole non
paritarie.
13. L’attuale disciplina delle scuole paritarie si
inserisce in una più ampia evoluzione del sistema scolastatico.
Nel tempo, l’attuazione dell’art. 33 Cost., ha visto, infatti, il legislatore
modificare progressivamente un assetto organizzativo caratterizzato dal governo
centrale della scuola, pervenendo, tra l’altro, ad una pluralità di centri di
riferimento in ragione dell’affermazione dell’autonomia scolastica, e
dell’integrazione tra scuola pubblica e scuola paritaria privata.
13.1. La Corte costituzionale ha avuto un ruolo
significativo in materia, basti pensare alla pronuncia n. 42 del 2003 che ha
dichiarato inammissibile la richiesta referendaria intervenuta su diverse
diposizioni della legge n. 62 del 2000.
Il Giudice delle Leggi, nel ritenere inammissibile
la richiesta di referendum ha affermato che «Le scuole paritarie, che, per
effetto di una pronuncia popolare, si vorrebbero escludere dal sistema
nazionale di istruzione, ne costituirebbero invece parte integrante alla
stregua della disciplina più dettagliata che non è toccata dal quesito
referendario. Ove si conformino ai prescritti standard qualitativi, esse non
potrebbero infatti non concorrere, con le scuole statali e degli enti locali,
al perseguimento di quello che la stessa legge definisce “obiettivo
prioritario della Repubblica”, vale a dire “l’espansione della
offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione
dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita”». (…) «il principio della
esclusione dal sistema scolastico nazionale che si pretende di introdurre in
via referendaria rende attiva una connotazione discriminatoria a carico delle
scuole private, pur a fronte di una disciplina dettagliata che realizza un
sostanziale regime di parità» (citata sentenza n. 42 del 2003).
13.2. La Corte costituzionale ha altresì affermato
(sentenza n. 33 del 2005) che «la legge n. 62 del
2000, nel prevedere l’istituzione delle scuole paritarie, quali componenti
del sistema nazionale di istruzione, ha altresì dettato un principio, valido
per tutte le scuole inserite in detto sistema di istruzione, volto a rendere
effettivo il diritto allo studio anche per gli alunni iscritti alle scuole
paritarie, da essa disciplinate».
14. Senza dubbio il legislatore ha inteso
riconoscere all’insegnamento svolto nelle scuole paritarie private lo stesso
valore di quello che viene impartito nelle scuole pubbliche, garantendo un
trattamento scolastico equipollente agli alunni delle une e delle altre, da
intendere tale equipollenza non solo con riguardo al riconoscimento del titolo
di studio, ma anche con riguardo alla qualità del servizio di istruzione
erogato dall’istituzione scolastica paritaria.
Come già affermato dalle Sezioni Unite (Cass., S.U.,
n. 9966 del 2017) nel sistema così delineato, la scuola statale e quella
paritaria devono garantire i medesimi standard qualitativi.
15. Tuttavia, ciò non dà luogo all’equiparazione del
rapporto di lavoro che intercorre con la scuole paritaria, con quello
instaurato in regime di pubblico impiego privatizzato, attesa la persistente
non omogeneità dello status giuridico del personale docente, come si evince già
dalla modalità di assunzione, che nel primo caso può avvenire al di fuori dei principi
concorsuali di cui all’art. 97 Cost.
15.1. Sul punto è significativa la statuizione
contenuta in Cass. n. 11595 del 6 giugno 2016,
che ha affermato: «Va altresì rammentato che il lavoro pubblico e il lavoro
privato non possono essere totalmente assimilati (Corte cost., sentenze n. 120 del 2012 e n. 146 del 2008) e le differenze, pur attenuate,
permangono anche in séguito all’estensione della contrattazione collettiva a
una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni, e che la medesima eterogeneità dei termini posti a raffronto
connota l’area del lavoro pubblico contrattualizzato e l’area del lavoro
pubblico estraneo alla regolamentazione contrattuale (Corte cost., sentenza n. 178 del 2015): in
particolare i principi costituzionali di legalità ed imparzialità concorrono
comunque a conformare la condotta della pubblica Amministrazione e l’esercizio
delle facoltà riconosciutele quale datore di lavoro pubblico in regime
contrattualizzato» (…) «D’altro canto la peculiarità del rapporto di lavoro
pubblico, rinviene la sua origine storica, non solo nella natura pubblica del
datore di lavoro, ma nella relazione che sussiste tra la prestazione lavorativa
del dipendente pubblico e l’interesse generale, tutt’ora persistente anche in
regime contrattualizzato».
16. Non sussiste quindi, in mancanza di una norma di
legge – come invece nella fattispecie di cui all’art. 485 del d.lgs. n. 297 del
1994 – la necessaria premessa della omogeneità delle posizioni
professionali per pervenire al riconoscimento del servizio pre-ruolo prestato
presso le scuole paritarie in via interpretativa.
Né è applicabile l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del
1994, in quanto attiene alla diversa fattispecie delle scuole pareggiate.
17. Argomenti a sostegno della tesi delle ricorrenti
non possono trarsi neppure dalla disciplina dell’art. 2, comma 2, della legge
n. 333 del 2001 e dall’art. 2 del decreto-legge n. 370 del 1970, come
convertito dall’articolo unico della legge n. 576 del 1970.
La prima disposizione, infatti consente di valutare
il servizio preruolo, ma sempre nell’ambito della procedura che disciplina la
costituzione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato.
La seconda disposizione (si v., in particolare il
comma 2), riprodotta dall’art.
485 del d.lgs. n. 297 del 1994 (si v., Cass., in. 1035 del 2014) prevede,
ai fini giuridici ed economici, il riconoscimento, a favore del personale
docente delle scuole elementari statali, del periodo di insegnamento pre-ruolo
prestato, tra l’altro, nelle scuole materne statali o comunali, e dunque regola
una fattispecie che esula da quella in esame (scuole secondarie paritarie).
Peraltro, un’interpretazione più ampia della norma
(Corte cost., sentenza n. 228 del 1986, Cass., n. 1035 del 2014), richiederebbe
un’omogeneità (si v. anche Cass. n. 16623 del 2012, relativa all’art. 1 del
d.l. n. 370 del 1970), nella specie di status giuridico dei docenti, in
mancanza della quale «una differenza di trattamento appare giustificata sul
piano obiettivo e funzionale relativamente al complessivo sistema scolastico
unitariamente considerato» (Cass. n. 16623 del 2012).
18. In ragione della infondatezza delle censure
sin’ora esaminate, va esaminata il profilo di impugnazione relativo alla
revocabilità dei decreti con cui era stata inizialmente disposta la
ricostruzione della carriera, prospettata in particolare con il primo motivo di
ricorso.
19. La censura non è fondata.
Anche se gli atti di gestione del rapporto di lavoro
pubblico contrattualizzato sono regolati da schemi di diritto privato, ciò non
esclude che l’Amministrazione possa riesaminarli.
Osserva il Collegio che la Pubblica Amministrazione,
nell’ambito dei rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato, non può agire
con gli istituti dell’autotutela, non potendo trovare applicazione, peraltro in
mancanza di provvedimenti autoritativi, la legge n.
241 del 1990 (cfr. Cass., n. 15444 e n.
16088 del 2016).
Tuttavia, l’adozione da parte della Pubblica
Amministrazione, nella gestione del rapporto di lavoro pubblico
contrattualizzato, di un atto negoziale di diritto privato, con il quale venga
attribuito al lavoratore un determinato trattamento economico, non è
sufficiente di per sé, a costituire un diritto soggettivo in capo al lavoratore
medesimo, poiché la misura economica deve trovare fondamento nella
contrattazione collettiva, e si legittima in ragione della conformità a
quest’ultima, diversamente incorrendo nel vizio di nullità per contrarietà a
norme imperative (cfr., Cass., S.U., n. 21744 del
2009, Cass., n. 15444 del 2016).
Il più ampio contesto pubblicistico in cu si collocano
i rapporti di lavoro stipulati dalla pubblica amministrazione iure privatorum,
implica che per gli stessi operano i canoni di buon andamento e di imparzialità
dell’amministrazione, quali criteri che devono conformare anche l’attività di
diritto privato dell’Amministrazione, in ragione della persistenza anche in
regime contrattualizzato di una significativa relazione tra la prestazione
lavorativa del dipendente pubblico e l’interesse generale, insieme ai canoni
della correttezza e della buona fede che caratterizzano le relazioni negoziali
tra l’Amministrazione datore di lavoro e il lavoratore.
20. Infine, va esaminata la censura relativa alla
dedotta mancanza delle condizioni per la restituzione dell’indebito.
La stessa non è fondata.
21. Occorre procedere ad un corretto inquadramento
giuridico della fattispecie in esame, rilevando che l’indebito retributivo, per
cui è causa, deve essere ricondotto nell’ambito dell’art.
2033 cod. civ., che stabilisce che chi ha eseguito un pagamento non dovuto
ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli
interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede,
oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda.
22. Con la sentenza n. 166 del 1996 la Corte
costituzionale ha affermato che l’art. 2033 cod.
civ., per se stesso, non è censurabile in riferimento ad alcun parametro
costituzionale (nella specie erano invocati gli artt.
3 e 38, secondo comma, Cost.), essendo
improntato al principio di giustizia che vieta l’arricchimento senza causa a
detrimento altrui.
23. La giurisprudenza di legittimità (v., Cass., n. 8338 del 2010, n. 29926 del 2008) ha
affermato che “in materia di impiego pubblico privatizzato, nel caso di
domanda di ripetizione dell’indebito proposta da una amministrazione nei
confronti di un proprio dipendente n relazione alle somme corrisposte a titolo
di retribuzione, qualora, risulti accertato che l’erogazione è avvenuta sine
titulo, la ripetibilità delle somme non può essere esclusa ex art. 2033 cc per la buona fede dell’accipiens, in
quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la
restituzione dei frutti e degli interessi”.
Con le sentenze n. 4230
del 2016 e n. 4086 del 2016, che richiamano la citata sentenza Cass. n.
8338 del 2010, questa Corte ha riaffermato il suddetto principio.
La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione
del principio enunciato da questa Corte, con conseguente rigetto della
esaminata censura.
24. Il ricorso deve essere rigettato.
25. La
complessità della questione e i diversi approdi della giurisprudenza di merito,
inducono a compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
26. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, Compensa tra le parti le spese
del giudizio di cassazione.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.