L’illegittima applicazione dei criteri di selezione del personale da espellere è sanzionata con la tutela reale.
Nota a Cass. 28 ottobre 2019, n. 27501
Francesco Belmonte
In tema di licenziamenti collettivi, qualora la comunicazione finale ai lavoratori in esubero, ex art. 4, co. 9, L. 23 luglio 1991, n. 223 – carente sotto il profilo formale delle indicazioni relative alle modalità di applicazione dei criteri di scelta – “si sia risolta nell’accertata illegittima applicazione di tali criteri, vi è annullamento del licenziamento, con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura non superiore alle dodici mensilità”, secondo quanto previsto dall’art. 18, co. 4, Stat. lav., come modificato dall’art. 1, co. 42, L. 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. Riforma Fornero).
Il principio è affermato dalla Corte di Cassazione 28 ottobre 2019, n. 27501, in relazione ad una fattispecie concernente l’annullamento del recesso datoriale intimato ad un lavoratore nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo per riduzione del personale in cui era emersa la violazione dei criteri selettivi dei dipendenti in esubero.
Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno confermato le statuizioni della Corte di Appello di Genova che aveva fondato l’illegittimità del provvedimento espulsivo sul presupposto che “le modalità di applicazione del criterio delle esigenze tecnico produttive nella selezione del personale da licenziare erano frutto di scelta in alcun modo concordata in sede sindacale e neppure successivamente indicate nella comunicazione finale ex art. 4 co. 9, L. n. 223/1991, ma esplicitate solo nel corso del giudizio di primo grado ed in particolare nella fase di opposizione.” Per la Corte territoriale, “ciò aveva determinato l’assegnazione dei punteggi in violazione del principio della trasparenza rappresentante l’unica ed effettiva garanzia per il lavoratore nella procedura di licenziamento collettivo.”
Più specificatamente, “l’azienda aveva deciso di delimitare unilateralmente l’applicazione del criterio delle esigenze tecnico produttive agli anni 2013 e 2014 e di fondarsi, per l’individuazione delle lavorazioni svolte nel biennio in questione, sulle indicazioni delle bolle emesse, bolle che per sua stessa ammissione non registravano i lavori in squadra ovvero proprio quei lavori svolti principalmente dal D.S.” (n.d.r. lavoratore licenziato). Inoltre, “per ovviare a tale modus procedendi, la società aveva poi attribuito al D.S. (n.d.r. lavoratore licenziato) punteggi aggiuntivi relativi a tre lavorazioni, senza ulteriori specificazioni”. Pertanto, ad avviso della Cassazione, App. Genova ha correttamente evidenziato la mancata trasparenza aziendale in relazione a tali scelte “e ciò nonostante le determinanti ricadute connesse alla arbitraria limitazione della verifica al biennio 2013 /2014 e all’individuazione delle lavorazioni sulla base delle bolle.”
Da simili considerazioni, “si evince, quindi, che l’annullamento del licenziamento è stato dalla Corte di merito collegato alle non corrette e sostanzialmente arbitrarie applicazioni del criterio legale delle esigenze tecnico produttive ed organizzative e, quindi, non solo alla mera incompletezza della comunicazione ex art. 4, co. 9, L. n. 223/1991 ma per l’ipotesi, ritenuta integrata, di violazione sostanziale dei criteri di scelta”, che giustifica l’applicazione del rimedio reintegratorio per il dipendente espulso, così come previsto dall’art. 18, co. 4, Stat. Lav.
Sulla base di tali premesse, dunque, i giudici di legittimità hanno confermato la pronuncia di merito con cui la Corte genovese ha annullato il recesso e condannato la società datrice a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro ed a corrispondergli un’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità, oltre ad accessori ed alla regolarizzazione dei contributi previdenziali ed assistenziali.