La sentenza con cui si dispone la reintegrazione del lavoratore non comporta, di per sé, la restituzione all’INPS dell’indennità ordinaria di disoccupazione percepita dallo stesso prestatore assunto con un contratto di lavoro a tempo determinato dichiarato illegittimo.
Nota a Cass. 4 novembre 2019, n. 28295
Alfonso Tagliamonte
L’INPS non potrà richiedere la restituzione dell’indennità ordinaria di disoccupazione percepita dal disoccupato finché non si concretizzi la effettiva reintegra del lavoratore beneficiario a seguito della dichiarazione di illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro. La sola sentenza che ordina la reintegrazione, se pure definitiva, non è, infatti, sufficiente a legittimare la restituzione dell’indennità di disoccupazione percepita dal lavoratore.
Perché sia dovuta la restituzione, devono sussistere, contemporaneamente: il pagamento, da parte dell’azienda, dei contributi per il periodo di assenza del lavoratore; il pagamento della retribuzione spettante per il medesimo periodo; ed il rientro materiale in azienda del dipendente.
Ciò, in quanto “l’evento coperto dal trattamento di disoccupazione è l’involontaria disoccupazione per mancanza di lavoro, ossia quella inattività, conseguente alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro, non riconducibile alla volontà del lavoratore, ma dipendente da ragioni obiettive e cioè mancanza della richiesta di prestazioni del mercato di lavoro. La sua funzione è quella di fornire in tale situazione ai lavoratori (e alle loro famiglie) un sostegno al reddito, in attuazione della previsione dell’art. 38 Cost., comma 2” (così, Corte Cost.16 luglio1968, n. 103).
Inoltre, secondo la giurisprudenza di legittimità, la domanda per ottenere il trattamento di disoccupazione non presuppone neppure la definitività del licenziamento e non è incompatibile con la volontà di impugnarlo, mentre l’effetto estintivo del rapporto di lavoro, derivante dell’atto di recesso, determina comunque lo stato di disoccupazione che rappresenta il fatto costitutivo del diritto alla prestazione e sul quale non incide la contestazione in sede giudiziale della legittimità del licenziamento (v. Cass. 11 giugno 1998, n. 5850; Cass. 27 giugno1980, n. 4040).
Pertanto, solo una volta che il licenziamento sia dichiarato illegittimo ed il rapporto venga ripristinato per effetto della reintegrazione, “le indennità di disoccupazione potranno e dovranno essere chieste in restituzione dall’Istituto previdenziale, essendone venuti meno i presupposti” (v. Cass. 20 aprile 2007, n. 9418; Cass. 17 aprile 2007, n. 9109; Cass. 16 marzo 2002, n. 3904; Cass. 15 maggio 2000, n. 6265).
Questi i principi affermati dalla Corte di Cassazione 4 novembre 2019, n. 28295, in un caso in cui le parti avevano raggiunto un accordo transattivo di risoluzione del rapporto, dopo la sentenza con la quale veniva dichiarato illegittimo il termine ed ordinata la reintegra, con il pagamento da parte dell’impresa datrice dei contributi dovuti, oltre ad un importo corrisposto a favore del prestatore a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.
L’INPS, a seguito del pagamento dei contributi previdenziali da parte del datore di lavoro corrispondenti al periodo di disoccupazione, ha richiesto al lavoratore la ripetizione dell’indennità concessa per lo stesso intervallo di tempo. Ma, per i giudici di legittimità, “qualora sia stata resa in sede di impugnativa del termine contrattuale una sentenza di conversione ex tunc del rapporto di lavoro, elemento ostativo alla percezione dell’indennità di disoccupazione sarebbe… l’effettiva ricostituzione del rapporto, nei suoi aspetti giuridici ed economici, che nel caso non si è realizzata, atteso che la sentenza oggi impugnata ha accertato che il lavoratore non è mai stato reintegrato e che per il periodo in contestazione non ha ricevuto le proprie spettanze retributive” e che, quindi, l’INPS non poteva pretendere la restituzione delle indennità corrisposte al disoccupato.