Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 dicembre 2019, n. 33408

Inquadramento nel profilo Ufficiale giudiziario, Assenza per
congedo per maternità e per malattia dei figli, Decurtazione dell’indennità di
trasferta dalla retribuzione fissa mensile, Voce retributiva contemplata dal
CCNL come “struttura della retribuzione”, Non sussiste

 

Ritenuto

 

1. Che la Corte d’Appello di Milano, con la sentenza
n. 261 del 2014, rigettava l’impugnazione proposta dal Ministero della
giustizia, nei confronti di A.E., avverso la sentenza resa tra le parti dal
Tribunale di Milano.

2. La lavoratrice, già collaboratore UNEP e poi
inquadrata nel profilo Ufficiale giudiziario, aveva adito il Tribunale
esponendo di essere stata assente per congedo per maternità e congedo parentale
per malattia dei figli, e di essersi vista decurtare dalla retribuzione fissa
mensile due voci retributive rappresentate dalla percentuale sui crediti
recuperati dall’erario, di cui all’art. 122 del dPR n. 1229 del 1959, e dal 50%
dell’indennità di trasferta, pur trattandosi di voci retributive contemplate
dall’art. 2 del CCNL 24 aprile 2002, rubricato “struttura della
retribuzione”.

Aveva chiesto, pertanto, che fosse dichiarato il
proprio diritto all’intera retribuzione fissa mensile nei suddetti periodi di
assenza, comprensiva della quota pari al 50% dell’indennità di trasferta e
della percentuale sui crediti recuperati dall’erano, con conseguente condanna,
dell’Amministrazione al pagamento delle corrispondenti differenze retributive
maturate.

3. Il Tribunale di Milano accoglieva la domanda e
riconosceva alla lavoratrice (per il periodo in cui aveva usufruito dell’
astensione di cui all’art. 7,
comma 1, della legge n. 1204 del 1971), le suddette voci della retribuzione
in quanto componenti della retribuzione fissa mensile e non rientranti nelle
eccezioni previste dall’art. 10 (comma 2, lettera c, del CCNL Comparto
ministeri del 2001) costituite dal comperso per lavoro straordinario e dalle
indennità connesse a particolari caratteristiche delle prestazioni.

la Corte d’Appello nel confermare la sentenza di
primo grado, richiamava la suddetta disposizione contrattuale e ribadiva il
carattere fisso delle suddette voci della retribuzione.

Escludeva poi che potesse assumere rilievo l’Accordo
del 22 maggio 2009, che aveva parificato, per l’attribuzione della percentuale
sui crediti riscossi dall’erario alla presenza in servizio, tra l’altro, i
giorni di ferie, di astensione obbligatoria di congedo sindacale, atteso il
significato non univoco di tale previsione con riguardo alla fattispecie in
esame.

4. Per la cassazione della sentenza di appello
ricorre il Ministero, prospettando tre motivi di ricorso.

5. Resiste con controricorso la lavoratrice.

 

Considerato

 

1. Che con il primo motivo di ricorso,
l’Amministrazione deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 102, 106 e 107, cod. proc.
civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod.
proc. civ.

Essa ricorrente aveva eccepito la mancata
costituzione del contraddittorio rispetto agli altri ufficiali giudiziari su
cui si sarebbe riverberato l’eventuale accoglimento della domanda. Tale
eccezione era puntuale e fondava sulla decurtazione di una quota della
retribuzione che i contro interessati avrebbero potuto subire.

1.1. Il motivo non è fondato.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare
(Cass., n. 15521 del 2018) il litisconsorzio necessario ricorre, oltre che nei
casi espressamente previsti dalla legge, allorquando la situazione sostanziale
plurisoggettiva dedotta in giudizio deve essere necessariamente decisa in
maniera unitaria nei confronti di tutti i soggetti che ne sono partecipi, onde
non privare la decisione dell’utilità connessa all’esperimento della azione
proposta.

Nella specie non si riscontra tale evenienza, atteso
che, come affermato dalla Corte d’Appello, la controversia riguarda il singolo
rapporto di lavoro della A..

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la
violazione e falsa applicazione degli artt. 122 e 133, del dPR 1229 del 1959,
dell’art. 20 del dPR 115 del 2002,
degli artt. 2, 5, 6 e 10, del CCNL 24 aprile 2002, dell’art. 10, del CCNL 16
maggio 2001, degli artt. 1362 e 1363, cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.

Il ricorrente Ministero ripercorre la disciplina
delle voci retributive in questione, e dopo aver affermato che il trattamento
retributivo degli ufficiali giudiziari è oggetto di una complessa e autonoma
disciplina, come si evince dal dPR n. 1229 del 1959, rileva che la
contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego ha lasciato immutato il
quadro normativo, rendendosi necessaria una contrattazione a parte,
rappresentata dal CCNL 24 aprile 2002.

L’art. 2 del suddetto CCNL disciplina la struttura
della retribuzione ed elenca le voci retributive che competono agli ufficiali
giudiziari.

Tale norma si limita ad elencare tutte le voci
retributive senza distinguere le voci fisse da quelle accessorie.

In relazione alla disciplina dell’indennità di
trasferta, l’art. 2 citato sancisce che gli ufficiali giudiziari sono
retribuiti con il 50% della suddetta indennità, ove spettante.

La spettanza va determinata con riguardo all’art.
133, comma 1, del dPR n. 1229 del 1959, poi trasfuso nel dPR n. 115 del 2002, che prevede che l’indennità
spetti per gli atti compiuti fuori dall’edificio in cui ha sede l’ufficio, al
dipendente in servizio.

Pertanto, assume il ricorrente tale indennità è
dovuta a rimborso di ogni spesa per il viaggio di andata e di ritorno e non
costituisce componente fisso della retribuzione.

Dal suddetto quadro normativo e contrattuale, il
ricorrente afferma che emerge che l’indennità di trasferta non è una componente
fissa della retribuzione essendo variabile ed accessoria, rapportata in
concreto alla produttività o cooperazione del funzionario UNEP o dell’ufficiale
giudiziario, relativamente all’effettivo svolgimento dei servizi di istituto.

In tal senso, si era pronunciato il giudice di
legittimità con la sentenza n. 12906 del 2013, affermando che “l’indennità
di trasferta prevista a favore degli ufficiali giudiziali dal dPR n. 1229 del
1959, art. 133, per gli atti compiuti fuori dell’edificio ove ha sede
l’ufficio, non costituisce trattamento fisso e continuativo ma piuttosto
rimborso spese connesso all’imprescindibile compimento delle peculiari attività
di notificazione”.

In ragione dell’art. 10 del CCNL 16 maggio 2001, al
dipendente che abbia fruito dell’astensione facoltativa compete l’intero trattamento
retributivo, purché lo stesso abbia carattere fisso e ricorrente,
caratteristiche che non si rinvengono nella indennità di trasferta.

3. Con il terzo motivo di ricorso, è dedotta la
violazione e falsa applicazione degli artt. 38, comma 2, 122, n. 2, e 167, del
dPR n. 1229 del 1959, degli artt. 2, 5, 6 e 10 del CCNL 24 aprile 2002,
dell’art. 10 del CCNL 16 maggio 2001, del CCNL 22 maggio 2009, nonché dagli artt. 1362 e 1363,
in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.

Assume il ricorrente che la sentenza di questa
Corte, n. 12906 del 2013, ha affermato che: “alla voce detta doppio
decimo, il dPR n. 1229 del 1959, art. 122 ha altresì previsto che la
retribuzione degli ufficiali giudiziali sia costituita da “una percentuale
sui crediti recuperati dall’Erario, sui campioni civili, penali ed
amministrativi e sulle somme introitate dall’Erario per effetto della vendita
dei corpi di reato, in ragione del quindici per cento. Tale percentuale è
comprensiva anche delle quote di spettanza degli aiutanti ufficiali
giudiziari” (art. 122, n. 2 cit.).

Anche in questo caso si tratta di voce non fissa
della retribuzione mensile ma variabile e accessoria, e pertanto non poteva
essere corrisposta nel periodo di astensione facoltativa.

3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, con
cui, nella sostanza, il Ministero contesta l’attribuzione alla lavoratrice
delle suddette voci della retribuzione per l’astensione facoltativa dal lavoro
di cui a l’art. 7, comma 1, della legge n. 1204 del 1977, nel testo come
modificato dalla legge n. 52 del 2000, devono essere trattati congiuntamente in
ragione della loro connessione.

Gli stessi sono fondati e vanno accolti.

4. Come le Sezioni Unite hanno affermate (Cass. S.U. n. 16895 del 2006, Cass. n. 16125 del 2009) gli ufficiali
giudiziari, come gli aiutanti ufficiali giudiziari ed i coadiutori giudiziari
addetti agli UNEP si inquadrano nella categoria degli impiegati civili dello
Stato poiché essi, quali “ausiliari dell’ordine giudiziario” (come
definiti dall’art. 1 del d.P.R. n. 1229 del 1959, al fine di attestare il
collegamento funzionale della loro attività con quelle dei giudici e
cancellieri), godono di uno stabile inserimento nell’amministrazione
giudiziaria, idoneo ad escludere in radice qualsiasi accostamento della loro
collocazione lavorativa a quella di privati cittadini esercenti pubbliche
funzioni, e, del resto, la legge (art. 2 cit. dPR n. 1229 del 1959) li equipara
ai predetti impiegati statali agli effetti, tra l’altro, dei congedi e della
impignorabilità ed insequestrabilità sia della retribuzione, sia delle
indennità, sia degli assegni.

4.1. Il personale UNEP, dunque, rientra a pieno
titolo tra i destinatari del CCNL Comparto Ministeri, non costituendo più una
“carriera speciale”, bensì uno specifico “profilo
professionale” dei dipendenti dello Stato (di cui al dPR 17 gennaio 1990,
n. 44), come tale assoggettato alle disposizioni del d.lgs.
3 febbraio 1993, n. 29, poi confluito nell’attuale d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (v., Cass. 9 luglio 2009 n. 16125).

In relazione alle modalità della prestazione
lavorativa del personale in questione, le parti contrattuali hanno previsto
l’emanazione di “eventuali norme di raccordo per l’adeguamento della
disciplina di particolari istituti” (cfr. CCNL 16 febbraio 1999 Comparto
Ministeri, art. 1, punto 2).

Tali norme di raccordo sono state emanate con il
CCNL 24 aprile 2002, il quale prevede le voci retributive spettanti agli
ufficiali giudiziari (struttura della retribuzione: art. 2), il minimo
garantito (are. 4), l’indennità di trasferta per ogni atto compiuto fuori
dall’edificio ove ha sede l’ufficio giudiziario (art. 5), la percentuale sui
crediti recuperati dall’erario (art. 6), il tempo di lavoro (art. 7),
disponendo a tale ultimo riguardo che gli ufficiali giudiziari
“organizzano il proprio tempo di lavoro, correlandosi con la massima
flessibilità alle esigenze connesse all’espletamento degli incarichi loro
affidati”.

Lo stesso contratto collettivo stabilisce inoltre (art.
9) che, per quanto non previsto dalla normativa di raccordo, il rapporto di
servizio del personale UNEP rimane regolato “dalle pertinenti norme
speciali contenute nel dPR n. 1229 del 1959 e dalle disposizioni dei Contratti
Collettivi Nazionali del Comparto Ministeri, la cui disciplina sia compatibile
con il citato decreto e con la normativa di settore”(Cass., n. 15074 del
2014).

4.2. L’art. 133 del citato dPR sancisce che
“Per gli altri compiuti fuori dell’edificio ove l’ufficio giudiziario ha
sede è dovuta all’ufficiale giudiziario, a rimborso di ogni spesa, l’indennità
di trasferta”. Tale disposizione è stata poi trasfusa nell’art. 20 del dPR n. 115 del 2002.

La retribuzione degli ufficiali giudiziari ed
aiutanti ufficiali giudiziari, comprende anche, a norma dell’art. 122, n. 2 del
dPR n. 1229 del 1959, “una percentuale sui crediti recuperati dallo
erario, sui campioni civili, penali e amministrativi e sulle somme introitate
dell’erario per effetto della vendita dei corpi di reato, in ragione del
quindici per cento” (Cass., n. 22868 del 2013).

4.3. A sua volta l’art. 2 del CCNL 24 aprile 2002
all’art. 2 indica gli elementi che compongono la retribuzione, tra cui le due
voci per cui è causa (lettera f, e lettera g, del comma 1).

In particolare l’indennità di trasferta nella misura
del 50% compete “ove spettante” (ai sensi dell’art. 5; “Per ogni
atto compiuto fuori dell’edificio ove l’ufficio giudiziario ha sede è dovuta
all’ufficiale giudiziario, a titolo di rimborso di ogni spesa, l’indennità di
trasferta. Tale indennità spetta per il viaggio di andata e per quello di
ritorno nelle misure e con le procedure stabilite dal DPR 1229/59, in tutte le
ipotesi ivi previste”), mentre sui crediti recuperati è dovuta una
percentuale.

Tali voci sono escluse dal minimo garantito ai sensi
dell’art. 4.

4.4. In mancanza di una espressa previsione,
l’astensione facoltativa ex lege n. 1204 del 1971
e succ. modifiche, trova disciplina contrattuale nell’art. 10 del CCNL del
2001.

L’art. 10, comma 2, lettera a), del CCNL Comparto
ministeri del 16 maggio 2001, stabilisce: “Nel periodo di astensione
obbligatoria, ai sensi degli artt.
4 e 5 della legge n. 1204/1971, alla lavoratrice o al lavoratore, anche
nell’ipotesi di cui all’art.
6 bis della legge n. 903/1977, spetta l’intera retribuzione fissa mensile
nonché l’indennità di ammnistrazione di cui all’art. 33 del CCNL 16 febbraio 1999
e l’indennità di posizione organizzativa di cui all’art. 18 del medesimo CCNL
ove spettante e le quote di incentivo eventualmente previste dalla
contrattazione integrativa”.

L’art. 10, lettera c), a sua volta prevede
“Nell’ambito del periodo di astensione facoltativa dal lavoro previsto dall’art. 7, comma 1, della legge n.
1204/1971 e successive modificazioni e integrazioni, per le lavoratrici
madri o, in alternativa, per i lavoratori padri, i primi trenta giorni di
assenza, fruibili anche in modo frazionato, non riducono le ferie, sono
valutati ai fini dell’anzianità di servizio. Per tale assenze spetta l’intera
retribuzione fissa mensile, comprese le quote di salario fisse e ricorrenti,
con esclusione dei compensi per lavoro straordinario e la indennità per
prestazioni disagiate, pericolose o dannose per la salute”.

In ragione dei riferimenti normativi agli istituti
disciplinati dalla legge n. 1204 del 1971 e
succ. modifiche, l’art. 10, lettera a), del CCNL del 2001, si riferisce
all’astensione obbligatoria dal lavoro (art. 4, legge n. 1204 del 1971,
nel testo modificato dalla legge 53 del 2000, a
cui fa riferimento la disposizione della contrattazione collettiva) e
all’interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza nel
periodo anteriore all’astensione obbligatoria disposta dall’Ispettorato del
lavoro (art. 5, della legge n.
1204 del 1971, nel testo modificato dalla legge
53 del 2000, a cui fa riferimento la disposizione della contrattazione
collettiva).

L’art. 10, lettera c), del CCNL del 2001, si
riferisce invece all’astensione facoltativa dal lavoro, nei primi otto anni di
vita del bambino di ciascun genitore per un periodo continuativo o frazionato
non superiore a sei mesi (o di dieci mesi nel caso di un solo genitore (art. 7, comma 1, della legge n.
1204 del 1971 nel testo modificato dalla legge
53 del 2000, a cui fa riferimento la disposizione della contrattazione
collettiva).

5. Dunque, in primo luogo, occorre stabilire se le
voci della retribuzione per cui è causa abbiano carattere accessorio o
rientrino nella retribuzione fissa.

Quanto alla percentuale sul recupero dei crediti,
questa Corte, con la sentenza n. 13152 del 2016,
le cui motivazioni si richiamano ai sensi dell’art.
118 disp. att. cod. proc. civ., ha affermato la natura accessoria e
variabile della suddetta quota percentuale attribuita con criterio di riparto
nazionale.

Si tratta di una indennità incentivante variabile e
accessoria.

La citata sentenza ha, altresì posto in evidenza
come la stessa non rientra nel cd. minimo garantito, atteso che dalla letture
del combinato disposto dell’art. 4, comma 1, e dell’art. 2, comma 1, del CCNL
del 2002 cit., emerge che il minimo garantito è costituito dalla somma dello
stipendio tabellare e della retribuzione individuale di anzianità, sicché sono
state le stesse parti collettive ad escludere che l’elemento accessorio della
quota percentuale variabile del 15% sui crediti recuperati dal Fisco potesse
entrare a fare parte di tale minimo garantito.

Analogamente, anche l’indennità di trasferta, a cui
la giurisprudenza di legittimità (si v., Cass., n. 29855 del 2017), successiva
alla sentenza n. 12906 del 2013, ha riconosciuto natura retributiva e non di
mero rimborso spese, non rientra nel minimo garantito ed ha carattere di
retribuzione non fissa, ma variabile e accessoria.

6. Pertanto, per il congedo facoltativo di cui alla
lettera 10, lettera c), del CCNL del 2001, spetta l’intera retribuzione fissa
mensile, comprese le quote di salario fisse e ricorrenti, e con esclusione dei
compensi per lavoro straordinario e le indennità per prestazioni disagiate,
pericolose o dannose per la salute.

7. L’indennità di trasferta e la quota sui crediti
riscossi dall’erario, per cui è causa, poiché, pur avendo natura incentivante,
non sono quote fisse, ma accessorie e variabili della retribuzione, non possono
essere ricomprese nelle spettanze retributive che devono essere corrisposte ai
sensi del citato art. 10, lettera c), del CCNL del 2001.

8. La Corte d’Appello, dunque, non ha fatto corretta
applicazione delle disposizioni normative e contrattuali che vengono in
rilievo, in ragione dei principi sopra richiamati.

9. Il ricorso deve essere accolto e la sentenza di
appello va cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alle
Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Milano
in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 dicembre 2019, n. 33408
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