Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 dicembre 2019, n. 33703
Indennità di anzianità, Inclusione nella base di calcolo,
Sottoscrizione di una quietanza da parte del lavoratore, Natura dell’atto
sottoscritto, non contentente una espressa rinunzia di ogni ulteriore pretesa,
Tenore delle dichiarazioni e delle proposizioni adoperate e rilasciate dal
lavoratore, Nessun intento di porre fine alla res controversa e di prevenire
qualsiasi eventuale lite
Rilevato
che G. C. conveniva in giudizio l’Enel Produzione
S.p.A. chiedendo che, previa declaratoria della spettanza dei relativi diritti,
la società venisse condannata al pagamento delle differenze tra l’indennità di
anzianità percepita e quella vantata, includendo nella base di calcolo il
compenso percepito, in epoca anteriore al 31.5.1982, per il lavoro
straordinario prestato e l’indennità guida/ore di viaggio; al pagamento delle
quattro mensilità aggiuntive previste dalla contrattazione collettiva di
settore del CCNL 1989, art. 43; al versamento della indennità per il mancato
godimento del riposo settimanale; che il Tribunale di Agrigento, con la
sentenza n. 521/2011, resa il 7.3.2011, accoglieva esclusivamente la domanda
relativa al ricalcolo dell’indennità di anzianità, tenendo conto dello straordinario
effettuato nel triennio antecedente al 31.5.1982, condannando la società a
corrispondere al ricorrente la somma di Euro 2.938,07, oltre accessori di
legge;
che, avverso tale pronunzia il C. proponeva appello,
limitatamente alla parte in cui era stata respinta la domanda relativa alla
corresponsione delle quattro mensilità aggiuntive di cui all’art. 43 del CCNL
del 1989;
che Enel Produzione S.p.A. spiegava appello
incidentale relativamente alla parte in cui la sentenza di prima istanza
dichiarava che il lavoratore avesse effettivamente reso, in epoca anteriore al
31.5.1982, delle prestazioni di lavoro straordinario con i requisiti della
continuità e costanza, in modo tale da dover essere incluse nella base di
calcolo dell’indennità di anzianità; che la Corte territoriale di Palermo, con
sentenza pubblicata in data 15.1.2014, in riforma della sentenza gravata,
accogliendo l’appello incidentale, dichiarava inammissibile la domanda proposta
dal C., condannando quest’ultimo a restituire all’Enel Produzione S.p.A. quanto
da essa versato in esecuzione della sentenza medesima, oltre alle spese di
lite; che la Corte di merito, per quanto ancora in questa sede rilevi, ha
reputato fondata la doglianza formulata nell’appello incidentale ai sensi dell’art. 2113 c.c., per non avere il giudice di prima
istanza attribuito natura transattiva all’atto sottoscritto dal lavoratore in
data 24.1.2001, nel quale lo stesso non si è limitato a dare atto del pagamento
ricevuto, ma ha anche espressamente rinunziato ad ogni ulteriore pretesa, non
con una mera formula di stile, ma sulla base di una dichiarata piena
consapevolezza della normativa e del contratto applicabile e dopo avere preso
visione dei dati retributivi posti a base del computo della indennità di
anzianità;
che per la cassazione della sentenza ricorre G. C.,
articolando tre motivi contenenti più censure, cui la S.p.A. Enel Produzione
resiste con controricorso; che il P.G. non ha formulato richieste.
Considerato
che, con il ricorso, si deduce: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.,
<<l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia e, segnatamente, nella parte in cui, interpretando
il tenore letterale degli atti del 21.12.2001 e del 30.1.2002, non li ritiene
delle mere quietanze, dichiarando inammissibile la domanda del C.>>, e si
lamenta che la Corte distrettuale abbia errato “nell’interpretazione data alle
suddette scritture, contraddicendo con motivazioni del tutto insufficienti
anche le proprie precedenti decisioni sul punto”; 2) la violazione dell’art. 2113 c.c. e dell’art.
115 c.p.c. e la omessa considerazione di documenti presenti agli atti del
giudizio e relativi ad un punto decisivo della controversia e, segnatamente,
degli atti di impugnativa ex art. 2113 c.c.,
avendo il lavoratore sottoscritto la quietanza con riserva ed avendo proposto
tempestiva impugnazione innanzitutto in sede di tentativo obbligatorio di
conciliazione in data 8.3.2002; 3) la violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancata corrispondenza tra il
chiesto ed il pronunciato, per avere la Corte di merito posto a fondamento
della decisione la mancata impugnativa ex art. 2113
c.c. delle dichiarazioni rese dal lavoratore, senza che l’Enel avesse mai
eccepito la mancata impugnativa delle stesse; che i primi due motivi – da
esaminare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione non sono
meritevoli di accoglimento: ed invero – premesso che il primo motivo è
inammissibile per la formulazione non più consona con le modifiche introdotte
al n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c.
dall’art. 54, comma 1, lett. b),
del D.L. 22/6/2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7/8/2012, n. 134, applicabile, ratione
temporis, al caso di specie poiché la sentenza oggetto del giudizio di
legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 15.1.2014 – la
questione prospettata, più in particolare, con il secondo mezzo di impugnazione
attiene alla sussistenza o meno della <<rinunzia>> (e
<<transazione>>) da parte del ricorrente ai diritti dai medesimi
“azionati”. Invero, se la soluzione sarà da porsi in senso favorevole
alla tesi sostenuta nella sentenza oggetto del presente giudizio, si dovrà
pervenire non solo ad una absolutio ab istantia, ma proprio ed altresì ad una
abolutio ab actione della società datrice di lavoro. E la soluzione non può che
essere favorevole a quest’ultima, per le considerazioni che seguono;
che non può non dirsi, invero, iuxta alligata ed
avendo riguardo al contenuto ed al tenore delle dichiarazioni e delle
proposizioni adoperate e rilasciate per tabulas dal lavoratore, che questi
abbia senz’altro agito con il consapevole e deliberato proposito di porre in
essere una precisa manifestazione di volontà negoziale, con cui ha liberamente
disposto delle situazioni giuridiche che lo riguardavano e che abbia agito
quindi – attraverso la rappresentazione delle reciproche rinunzie e concessioni
(datum et retentum) – con l’intento di porre fine alla res controversa e di
prevenire ed evitare qualsiasi eventuale lite apud iudicem; che, come
correttamente osservato dalla Corte di merito, si desume altresì, ex actis, che
il lavoratore ha operato contrariamente a quanto dal medesimo assunto, con la
chiara e piena consapevolezza degli specifici diritti che in esso si
subiettivavano: diritti determinati, e comunque oggettivamente determinabili;
senza che possa ragionevolmente ed attendibilmente invocare un preteso, tardivo
ed indimostrato errore e/o vizio del consenso. Ed al riguardo è sintomatico che
il C. non si sia dato cura di cautelarsi tempestivamente, impugnando la
dichiarazione de voluntate nel termine di decadenza previsto dall’art. 2113 c.c. in sei mesi e chiaramente
finalizzato dal legislatore a non lasciare indefinitamente, o comunque per
lungo tempo, sospese ed incerte le situazioni giuridiche connesse al rapporto
di lavoro ed a precludere quindi l’eventualità che possa taluno dei soggetti interessati,
con una impugnazione “sine die”, porre di nuovo sub iudice la res
(non più) controversa, cosi ledendo l’affidamento creato nella controparte con
l’atto di disposizione del proprio diritto, liberamente posto in essere (arg.
anche da Corte cost. 20.3.1974, n. 77); dalla qual cosa, si evince che la
predetta transazione deve ritenersi non viziata e, comunque, il fatto che non
sia stata impugnata nel termine decadenziale di sei mesi, escluderebbe la
rivendicazione delle somme pretese, mancando, appunto, in atti la prova che
tale termine decadenziale sia stato osservato, considerando che il ricorso è
stato depositato presso il Tribunale di Agrigento il 9.8.2006 e notificato il
27.9.2006, e che i verbali di transazione sono stati sottoscritti il 21.12.2001
e l’1.2.2002. Ed in tale contesto, appaiono, pertanto, puntuali, le
osservazioni della società ricorrente, confortate ex actis e recepite nella
motivazione dei giudici di secondo grado; e cioè che il lavoratore, lungi
dall’avere semplicemente – e solo de scientia – dichiarato <<di essere
soddisfatto e di non avere null’altro a pretendere>>, ha agito nella
piena consapevolezza delle norme della contrattazione collettiva applicabili e
dopo avere preso visione dei dati retributivi posti alla base del computo di
anzianità, tanto da avere percepito l’importo offerto a fronte delle rinunzie
alla rivendicazione di pretese connesse al <<rapporto di lavoro (ormai)
pregresso>>. Ciò, invero, conferma ulteriormente l’esistenza di una
chiara e ben determinata volizione dei contraenti di prevenire e chiudere
definitivamente, mediante le reciproche concessioni, qualsiasi attuale o
potenziale controversia;
che, alla stregua di quanto precede, può quindi
affermarsi che non vi è dubbio che alle volizioni negoziali de quibus poste in
essere dagli attuali contendenti, debba essere riconosciuta natura e portata
transattiva-abdicativa; e ciò, non soltanto, come si è già detto, in forza
della dichiarazione esteriorizzata e delle proposizioni adoperate, ma in
considerazione, inoltre, della evidente correlazione tra la situazione di
vantaggio – scaturente dalla erogazione della somma richiesta e la derelictio
di altre pretese che avrebbero eventualmente potuto essere avanzate; che, in
definitiva, il concreto volutum, negoziale e non de scientia, è da sussumere
nella previsione legislativa astratta ex art. 2113
c.c. e deve, per quanto osservato, ritenersi definitivo ed inoppugnabile,
avendo creato con la sua efficacia preclusiva sostanziale, impeditiva di
qualsiasi indagine sulla realtà preesistente, non solo una realtà ormai scissa
dalla sua fonte – il rapporto di lavoro, coi < < di ritti primari>>
ad esso connessi – ma altresì non più tangibile, sia de lege sia per il valore
di <<certezza giuridica>> che ad essa si lega e che il legislatore
ha voluto all’evidenza consacrare;
che neppure il terzo motivo può essere accolto, in
quanto, perché possa utilmente dedursi in sede di legittimità una <connessa
pronunzia>> – fattispecie riconducibile ad una ipotesi di error in
procedendo ex art. 360, n. 4, c.p.c. – sotto il
profilo della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, deve
prospettarsi, in concreto, l’omesso esame di una domanda o la pronunzia su una
domanda non proposta (cfr., tra le molte, Cass. nn. 13482/2014; 9108/2012; 7932/2012; 20373/2008); ipotesi,
queste, che non si profilano nel caso di specie, in cui la questione relativa
alla natura transattiva delle rinunzie del Distefano era stata oggetto
dell’appello incidentale spiegato dalla società, come si evince dallo stesso
atto, prodotto con il controricorso;
che, per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso va
respinto;
che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono
la soccombenza;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002
P.Q.M.
Dichiara rigetta il ricorso; condanna il ricorrente
al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro
4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del
15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello
stesso articolo 13.