Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 dicembre 2019, n. 34019

Infortunio mortale, Responsabilità datoriale, Azione di
regresso estesa ai soggetti terzi rispetto all’obbligo assicurativo, purché
tenuti al cosiddetto debito di sicurezza nei confronti dei lavoratori soggetti
a rischio, Appaltante e subappaltante, Inopponibilità all’Inail della
sentenza penale di assoluzione emessa, in quanto l’Istituto non era stato parte
del giudizio penale né era legittimato a costituirsi

 

Rilevato che

 

1. con sentenza n. 1070 pubblicata l’8.1.2018 la
Corte d’appello di Palermo riformava parzialmente la sentenza di primo grado e,
per quanto ancora rileva, accoglieva la domanda proposta dall’INAIL nei
confronti di N.S., della società S. srl e di C.M. in relazione all’infortunio
mortale occorso il 6.12.1999 in danno di D.B. e condannava gli stessi, in via
solidale, a corrispondere all’ INAIL la somma di euro 548.881,62;

2. la Corte territoriale premetteva che il Tribunale
aveva accertato la responsabilità dei signori G.L.B. e T.M. nonché della
società C.D.L.B.G. snc, datrice di lavoro dell’infortunato, escludendo, invece,
la responsabilità degli altri, estranei al rapporto di lavoro ed alle
lavorazioni di ripristino della gru nel corso delle quali si era verificato
l’incidente mortale;

3. in via preliminare osservava che il giudizio
penale, nel quale erano stati assolti il S. ed il M., si era svolto senza la
partecipazione dell’ INAIL e che non vi era prova che l’Istituto avesse avuto
conoscenza legale della pendenza del procedimento penale;

4. inoltre il S. ed il M. erano stati prosciolti dai
reati contravvenzionali in materia di sicurezza sul lavoro (capi di imputazione
B, C, D, E, F, G, H, I, L) per prescrizione;

5. conseguentemente alcun effetto preclusivo poteva
attribuirsi all’esito del procedimento penale, conclusosi con sentenza della
Corte di Cassazione del 2008. Inoltre la Suprema Corte nell’annullare la
sentenza della Corte d’appello – seppure ai soli fini civili – aveva
sottolineato come la motivazione della assoluzione di L.B.G. fosse stata del
tutto mancante, al pari di quella riguardante gli altri imputati;

6. quanto al profilo afferente la responsabilità in
sede di azione di regresso del solo datore di lavoro, era sufficiente
richiamare i più recenti arresti della Suprema Corte (sentenza 18 maggio 2017 numero 12561) alla
stregua dei quali l’azione di regresso era estesa, oltre che ai dipendenti del
datore di lavoro, ai soggetti terzi rispetto all’obbligo assicurativo, purché
tenuti al cosiddetto debito di sicurezza, sussistente a carico di tutti coloro
che in ragione dell’attività svolta erano gravati di specifici obblighi di
prevenzione nei confronti dei lavoratori soggetti a rischio;

7. nella fattispecie di causa il S., legale
rappresentante della S. Srl, avendo avviato un cantiere nel comune di Acate,
aveva ricevuto in comodato gratuito da C.M. la gru B. tipo B 25, trasportandola
nel cantiere e rivolgendosi alla società CLM snc per una consulenza e per il
ripristino della funzionalità del mezzo;

8. le consulenze tecniche svolte nell’ambito del
giudizio penale avevano accertato che la gru concessa in comodato dal M.
versava in condizioni a dir poco scadenti e che una delle cause dell’infortunio
era da rinvenirsi nel suo cattivo stato di manutenzione e conservazione,
degrado che doveva ricondursi innanzitutto alla responsabilità del
proprietario, che aveva violato precise norme cautelari antinfortunistiche;

9. specularmente, l’evidente stato di degrado
conservativo in cui si trovava la gru avrebbe dovuto indurre N.S., titolare
della S. S.r.l., a non ricevere in comodato detto mezzo o, comunque, a non
utilizzarlo all’interno del cantiere. In tale contesto era, altresì, acclarato
che egli, presente in cantiere al momento dell’infortunio, era consapevole del
fatto che i lavoratori M. e B. sarebbero saliti sulla gru per completare i
lavori di messa in opera e non si era opposto a tale intervento; le perplessità
manifestate in relazione alla decisione di salire sulla gru montata confermavano
la sua responsabilità, lungi dall’escluderla, per la sua consapevolezza non
solo del divieto degli operatori di intervenire in quota ma anche delle pessime
condizioni in cui versava il mezzo;

10. avverso la sentenza hanno proposto ricorso N.S.,
in proprio e quale legale rappresentante della S. srl, e C.M., articolato in un
unico motivo, cui ha opposto difese l’INAIL con controricorso;

11. la proposta del relatore è stata comunicata alle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi
dell’articolo 380 bis codice procedura civile.

 

Considerato che

 

12. con l’unico motivo le parti ricorrenti hanno
denunziato violazione e falsa applicazione degli articoli 10 ed 11 del Testo
Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni
sul lavoro e le malattie professionali; inammissibilità, improcedibilità,
improponibilità dell’azione di regresso, mancanza di nesso eziologico;

13. hanno dedotto, quanto all’esito del giudizio
penale, che la mancata partecipazione dell’INAIL non era loro riconducibile e
che la sentenza impugnata era contraddittoria, perché da un canto valorizzava
il fatto che per i reati contravvenzionali vi era stata pronuncia di
prescrizione, dall’altro non considerava che per il delitto di omicidio colposo
vi era stata assoluzione nel merito;

14. inoltre, al fine di estendere l’azione di
regresso ai soggetti terzi rispetto al datore di lavoro la Corte territoriale
aveva fatto riferimento al principio di diritto enunciato da questo giudice di
legittimità senza considerare che esso non estendeva genericamente la
responsabilità ai terzi ma individuava specifiche categorie di terzi
destinatari dell’azione, quali, ad esempio i soci della società datrice di lavoro,
gli altri amministratori della stessa o altri soggetti chiamati a collaborare a
vario titolo nell’assolvimento dell’obbligo di sicurezza;

15. nella fattispecie di causa la società S. srl, il
S. ed il M. non erano né soci né amministratori della società datrice di lavoro
(CLM snc) né chiamati ad assolvere a qualsivoglia obbligo di sicurezza nelle
operazioni di rimessaggio della gru;

16. tutto ciò che si era verificato con riferimento
al montaggio della gru, alle lavorazioni ed alle istruzioni per la sua riparazione
si poneva al di fuori della loro sfera dispositiva e, soprattutto, da
qualsivoglia loro obbligo di sicurezza. Gli operai della società CLM snc
stavano lavorando secondo disposizioni impartite dal loro datore di lavoro e
sotto sua esclusiva responsabilità; il fatto che il S. avesse assistito al
sinistro non spostava i termini della questione;

17. se la gru fosse stata davvero in condizioni
pessime e non in condizioni di funzionare, la CLM snc non avrebbe provveduto ad
avviare le operazioni di ripristino; l’eventuale degrado conservativo della gru
avrebbe dovuto essere identificato in sede di sopralluogo dalla CLM snc, che di
tanto era stata incaricata e che non avrebbe dovuto iniziare i lavori. La CLM
snc non solo aveva ritenuto che la gru fosse riparabile ma aveva fatto lavorare
i propri dipendenti in situazione di rischio, senza osservare le norme di
sicurezza;

18. il ricorso è manifestamente infondato;

19. la Corte d’appello ha interpretato ed applicato
gli artt. 10 e 11, d.p.r. n.
1124 del 1965 secondo i principi di diritto enunciati da questa Corte di
legittimità ed espressamente richiamati;

20. ha premesso come non fosse opponibile all’Inail
la sentenza penale emessa nei confronti degli attuali ricorrenti in cassazione
in quanto l’Istituto non era stato parte del giudizio penale né era legittimato
a costituirsi (cfr. Cass. n. 27102 del 2018);

21. ha richiamato l’orientamento consolidato (Cass. 12561/17 e precedenti ivi richiamati) che
ha ritenuto esperibile l’azione di regresso spettante all’INAIL, ai sensi degli
artt. 10 ed 11 del d.P.R. n.
1124 del 1965, non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche verso
tutti i soggetti – come l’appaltante o il subappaltante

– che, chiamati a collaborare a vario titolo
nell’assolvimento del l’obbligo di sicurezza in ragione dell’attività svolta,
siano gravati di specifici obblighi di prevenzione a beneficio dei lavoratori
assoggettati a rischio;

22. ha individuato la posizione di garanzia del M. e
del S., anche quale legale rappresentante della S. s.r.l., nell’avere,
rispettivamente, concesso e ricevuto in comodato attrezzature di lavoro (la
gru) non rispondenti alle norme di sicurezza, ed anzi in stato di grave degrado
(in violazione dell’art. 6,
comma 2, d.lgs. n. 626 del 1994) ed ha svolto l’accertamento in fatto sui
profili di colpa della condotta dei predetti e sul nesso causale tra la
condotta colposa e l’infortunio verificatosi;

23. le censure mosse col ricorso in esame risultano
infondate, quanto alla dedotta violazione di legge, avendo la sentenza
impugnata fatto corretta applicazione degli artt. 10 e 11 citati sul
presupposto della posizione di garanzia facente capo agli attuali ricorrenti;
le critiche, laddove investono la valutazione operata dalla Corte d’appello
quanto ai profili di colpa e al nesso causale, ove pure riqualificate ai sensi
del 360, comma 1, n. 5 c.p.c., risultano
inammissibili perché non rispondenti allo schema legale del nuovo vizio
motivazionale, come delineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014);

24. per le considerazioni svolte, il ricorso deve
essere respinto;

25. la regolazione delle spese del giudizio di
legittimità nei confronti dell’Inail segue il criterio di soccombenza, con
liquidazione come in dispositivo;

26. sussistono i presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità nei confronti dell’Inail che liquida in euro
5.200,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese
forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il
ricorso, a norma del comma 1 – bis
dello stesso art. 13.

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