Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 dicembre 2019, n. 34551

Rapporto di lavoro, Mansioni
dirigenziali, Differenze retributive, Riliquidazione dell’indennità di
buonuscita

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Firenze, pronunciando
sull’appello principale del Ministero dell’Economia e delle Finanze e
sull’impugnazione incidentale proposta dall’Inps, quale successore ex lege
dell’Inpdap, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Arezzo che
aveva accolto il ricorso di M.D. e, ritenuto provato lo svolgimento di mansioni
dirigenziali nel periodo 1 luglio 1998/31 marzo 2008, aveva condannato il
Ministero al pagamento delle differenze retributive, maggiorate di interessi e
rivalutazione monetaria, e l’Istituto previdenziale alla riliquidazione
dell’indennità di buonuscita, da calcolare sulla base dell’ultimo stipendio
effettivamente spettante alla data di cessazione del rapporto;

2. la Corte territoriale, per quel che ancora rileva
in questa sede, ha respinto l’eccezione di prescrizione riproposta in appello
dal Ministero, rilevando che il Tribunale correttamente aveva accertato
l’efficacia interruttiva delle richieste inoltrate dall’interessato in date 12
aprile 2001, 12 luglio 2002 e 12 ottobre 2006, tutte dirette ad ottenere, non
solo l’attribuzione dello status di dirigente, ma anche il conseguente
trattamento retributivo;

3. aveva, però, errato il primo giudice nella
quantificazione degli importi da corrispondere al D., perché nella posta del
“percepito” dovevano essere inclusi tutti gli emolumenti ricevuti a
qualsiasi titolo dal dipendente e perché non aveva  considerato il divieto di cumulo di interessi
legali e rivalutazione monetaria imposto dall’art. 22 della legge n. 724/1994;

4. infine il giudice d’appello ha rilevato che gli
interessi legali dovevano essere calcolati sulla somma dovuta al lavoratore al
lordo delle ritenute fiscali e contributive;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso il solo Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla base di due
motivi, ai quali ha opposto difese M. D. mentre è rimasto intimato l’Istituto
previdenziale;

6. il controricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ..

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., il Ministero
denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.
2943 e 1219 cod. civ., in relazione agli artt. 1362 e seguenti cod. civ., e sostiene, in
sintesi, che non poteva essere riconosciuta efficacia interruttiva alle missive
dell’Il aprile 2001 e del 12 luglio 2002, con le quali il dipendente si era
limitato a sollecitare, per il futuro e nei limiti dei posti disponibili, il
conferimento di un incarico dirigenziale;

1.1. il ricorrente evidenzia che nell’interpretare
gli atti in parola il giudice del merito avrebbe dovuto valorizzare la comune
intenzione delle parti, il comportamento successivo delle stesse, il contesto
in cui l’atto si inseriva, il canone di buona fede e, quindi, escludere che la
prescrizione fosse stata interrotta, perché solo con la lettera del 12 ottobre
2006 il D. aveva avanzato richiesta di pagamento « delle differenze arretrate
dovute (compresi gli assegni accessori) avendo svolto funzioni superiori di
dirigente di seconda classe»;

2. la seconda censura addebita alla Corte
territoriale di avere violato, o falsamente applicato, l’art. 22, comma 36, della legge n.
724 del 1994, da interpretare in combinato disposto con gli artt. 821, 1282 cod. civ.
e 429 cod. proc. civ., perché nell’impiego
pubblico gli interessi legali vanno calcolati al netto delle ritenute di legge
«potendosi ritenere produttivo di interessi solo il denaro che viene posto a
disposizione del creditore e che effettivamente ne incrementi il patrimonio e
non quello corrispondente alle ritenute alla fonte, operate dal sostituto
d’imposta attraverso rapporto di delegazione ex lege»;

3. è infondata l’eccezione di inammissibilità del
ricorso, formulata dalla difesa del controricorrente sul rilievo dell’asserita
inesistenza della notificazione, effettuata nel domicilio eletto dal D. in
relazione al giudizio di primo grado, anziché presso quello, diverso, indicato
per il giudizio di appello;

3.1. questa Corte, sviluppando il principio di
diritto affermato da Cass. S.U. n. 14916/2016,
ha già evidenziato, ed all’orientamento occorre dare continuità, che
«l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile
nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli
elementi costitutivi essenziali idonei a renderla riconoscibile come tale, che,
per la fase di consegna, consistono nel raggiungimento di uno qualsiasi degli
esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, in virtù dei
quali la stessa debba comunque considerarsi eseguita; la notificazione in un
luogo diverso dal domicilio eletto, ove l’atto risulti consegnato al
destinatario e non restituito al mittente, non è pertanto inesistente, ma nulla
ed è suscettibile di sanatoria per effetto della costituzione in giudizio
dell’intimato, ancorché effettuata al solo fine di eccepire la nullità» (Cass. n. 7703/2018);

3.2. ne discende che nella specie il vizio è stato
senz’altro sanato attraverso la notifica del controricorso, con il quale il D.,
oltre ad eccepire l’inesistenza della notificazione, si è difeso nel merito;

4. il primo motivo di ricorso è inammissibile,
perché la censura si incentra sull’interpretazione delle missive, alle quali
entrambi i giudici del merito hanno attribuito efficacia interruttiva della
prescrizione, ma è formulata senza il necessario rispetto dell’onere di
specificazione di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc.
civ.;

4.1. la norma citata impone «la specifica
indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi
collettivi sui quali il ricorso si fonda» e, quindi, è necessario che il
ricorrente, oltre a riportare nel ricorso il contenuto del documento, precisi
in quale fase processuale è avvenuta la produzione ed in quale fascicolo di
parte si trovi il documento in questione;

4.2. occorre rilevare al riguardo che il requisito
di cui al richiamato art. 366 n. 6 cod. proc. civ.
non può essere confuso con quello di procedibilità previsto dall’art. 369 n. 4 cod. proc. civ., soddisfatto dal
deposito dei fascicoli di parte e dalla richiesta di trasmissione di quello
d’ufficio, in quanto il primo risponde all’esigenza di fornire al giudice di
legittimità tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della
controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione
è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento la cui
rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (fra le più recenti,
sulla non sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. 28.9.2016 n. 19048), una
volta che sia stato assolto l’onere di specifica indicazione, da intendersi nei
termini sopra precisati;

4.3. nel caso di specie il Ministero ricorrente, che
nel ricorso ha riportato solo minimi stralci delle missive, non ha allegato i
documenti invocati, non li ha inseriti nel fascicolo formato ex art. 369, comma 2, cod. proc. civ. né ha fornito
indicazione sulla loro allocazione nei fascicoli di parte dei precedenti gradi
del giudizio di merito;

4.4. alle considerazioni che precedono, già
assorbenti, si deve aggiungere che la Corte d’Appello ha motivato la pronuncia
anche attraverso il rinvio per relationem alla sentenza di primo grado e
pertanto il Ministero aveva l’onere di precisare quale fosse la motivazione del
Tribunale specificamente condivisa dal giudice d’appello (Cass. S.U. n.
7074/2017) per porre la Corte in condizione di verificare ex actis la
sussistenza della denunciata violazione dei canoni legali di ermeneutica;

5. è invece fondato il secondo motivo, perché la
Corte fiorentina, nel ritenere applicabili all’impiego pubblico i medesimi
principi che valgono, quanto al calcolo degli interessi, in caso di condanna
del datore di lavoro privato, si è posta in contrasto con il principio di
diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui «in caso di
ritardato pagamento degli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed
assistenziale a favore dei dipendenti pubblici in attività di servizio o in
quiescenza, gli interessi legali e la rivalutazione monetaria vanno calcolati
sulla somma dovuta al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed
erariali, come previsto dall’art.
3, comma 2, del d.m. n. 352 del 1998, senza che possa configurarsi in tale
disciplina un eccesso di delega dell’autorità amministrativa, costituendo
l’individuazione della base di computo una tra le possibili modalità
applicative del divieto di cumulo ex art. 22, comma 36, della I. n.
724 del 1994.» ( Cass. S.U. n. 14429/2017);

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