Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 dicembre 2019, n. 49900
Infortunio, Decesso del lavoratore, Art. 589, commi 1 e 2, cod.pen., Responsabile ai
fini anti-infortunistici, Direttore dei lavori, Omessa designazione del
coordinatore per l’esecuzione dei lavori, Piani operativi di sicurezza
Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di Milano ha confermato la
sentenza di primo grado con cui G.P. è stato condannato, concesse le generiche
equivalenti alla contestata aggravante, alla pena sospesa di mesi 6 di
reclusione, col beneficio della non menzione, ed al risarcimento del danno a
favore delle parti civili (M.P., A.B., I.B., L.B., I.B., A.B. e Inail), con
previsione di una provvisionale, per il reato di cui all’art. 589, commi 1 e 2, cod.pen., per avere, in
qualità di direttore dei lavori, nominato in data 17 novembre 2011, e
responsabile di fatto ai fini anti-infortunistici, cagionato la morte di B.B.,
sepolto dal terreno franato nelle scavo in cui il lavoratore era sceso per
meglio collocare una pompa ad immersione, con colpa consistita nell’omessa
designazione del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, pur avendo affidato
parte delle opere, in aggiunta alla A. Costruzioni s.a.s., alla G. s.r.l, nella
mancata verifica della idoneità delle imprese esecutrici, alle quali neppure è
stata chiesta l’esibizione dei piani operativi di sicurezza, e
dell’adempimento, da parte delle stesse, nello svolgimento dello scavo, degli
obblighi di cui agli artt. 91 e
92 d.lgs. n. 81 del 2008 e dell’adozione delle necessarie cautele (idonee
armature di sostegno delle pareti dello scavo, puntellature, etc.); nel mancato
controllo dei lavori e nella conseguente mancata sospensione degli stessi
nonostante la loro irregolarità – 22 novembre 2011.
2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivo
ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, l’imputato, che ha dedotto: 1)
la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con
travisamento della prova, in ordine alla ricostruzione dei fatti ed in
particolare alla consapevolezza, da parte sua, della presenza di più imprese
nel cantiere, dell’assenza di armature nello scavo, della condotta della
vittima, lamentando la mancata risposta alle specifiche doglianze proposte su
tali punti con l’appello; 2) la violazione di legge ed il vizio di motivazione,
atteso che il direttore dei lavori non rivestiva la qualità di responsabile dei
lavori, non aveva avuto alcuna delega in materia anti-infortunistica e non si
era ingerito nell’organizzazione del lavoro, non potendosi ritenere
un’intromissione la mera raccomandazione di prestare la dovuta attenzione. In
particolare (il ricorrente ha evidenziato gli elementi probatori, da cui si
desume che unica impresa incaricata dello scavo era la G. s.r.I.; che lo scavo
era poco profondo, che il direttore dei lavori non era stato informato
delle problematiche insorte che
avrebbero reso necessaria l’armatura e che, comunque, la vittima B.B. aveva
deciso, in modo imprudente ed imprevedibile, per ragioni di celerità, di
disattendere la sua indicazione di puntellare.
3. L’I.N.A.I.L. ha depositato memoria, con cui ha
eccepito l’inammissibilità del ricorso proposto dall’imputato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso non merita accoglimento.
2. La prima censura si limita, in larga parte, a
riproporre una diversa ricostruzione dei fatti, senza affatto confrontarsi con
le puntuali argomentazioni dei giudici di merito, di cui, quindi, non è
denunciata alcuna manifesta illogicità o contraddittorietà.
Riguardo alla consapevolezza, da parte
dell’imputato, del coinvolgimento di più imprese nei lavori, risultano del
tutto congrue e coerenti le conclusioni dei giudici di merito, fondate sulle
dichiarazioni del coimputato I.B., secondo il quale il padre, per non perdere
l’incarico affidatogli dai committenti, di comune intesa con P., si era
accordato con G.
Dichiarazioni che sono state ritenute attendibili,
in quanto confermate dagli indizi desumibili da una serie di circostanze,
quali, ad esempio, la constatazione, da parte di P., della presenza delle due
imprese sul cantiere e la conoscenza, da parte sua, dell’impossibilità per G. e
per il suo unico operaio di eseguire celermente il lavoro. La decisione sul
punto risulta, inoltre, conforme all’orientamento della giurisprudenza di
legittimità, secondo cui i riscontri esterni alla chiamata di correità
richiesti dall’art. 192 cod. proc. pen., possono
consistere in elementi di qualsivoglia natura anche di carattere logico, ma
che, oltre ad essere individualizzanti, e, quindi, avere direttamente ad
oggetto la persona dell’incolpato in relazione allo specifico fatto a questi
attribuito, debbono essere esterni alle dichiarazioni accusatorie, allo scopo
di evitare che la verifica sia circolare ed autoreferente (Sez. 6, n. 1249 del
26/09/2013 ud. – dep. 14/01/2014, Rv. 258759 – 01). I giudici di merito hanno,
difatti, individuato, rispetto alle dichiarazioni del coimputato I.B., elementi
di riscontro di carattere logico, non solo individualizzanti, in quanto
riferiti direttamente all’imputato P., ma del tutto esterni alle dichiarazioni
del coimputato, in quanto desunti dalla condotta dello stesso P..
Per quanto concerne la profondità dello scavo, il
ricorrente ha riproposto la tesi del suo consulente, che, però, secondo quanto
si legge nella sentenza di primo grado, “contrasta, oltre che con le
misurazioni eseguite sul luogo dall’ispettore P., anche con la quota, indicata
nelle tavole del progetto (di 61,57 m. rispetto al piano stradale) della vasca
di raccolta delle acque piovane, punto di partenza della condotta di scarico
nella sottostante roggia Quana, che dimostra come, almeno in prossimità della
proprietà V., luogo in cui si è verificato l’infortunio, lo scavo sotto la via
Ronco fosse, nel tratto iniziale, di profondità superiore a quella di partenza.
Peraltro, secondo la versione dello stesso ricorrente, vi era, a prescindere
dalla profondità dello scavo, quantomeno la necessità di puntellatura,
prescritta dall’art. 120 d.lgs.
n. 81 del 2008 (v. p. 19 del ricorso).
In proposito va ricordato che è inammissibile il
ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare
l’omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di
condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative
ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente
sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della
decisione di merito (Sez.2, n. 30918 del 07/05/2015 ud., dep. 16/07/2015, rv.
264441). A ciò si aggiunga che i motivi devono ritenersi generici non solo quando
risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della
necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento
impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 ud., dep. 26/06/2013, rv. 255568) e
che nel giudizio di legittimità non sono deducibili censure attinenti a vizi
della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità,
dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando
esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad imporre
diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze
che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di
rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come
quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da
attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a
conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello
spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del
17/03/2015 Ud., dep. 31/03/2015, Rv. 262965). Del resto, in tema di giudizio di
cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi
di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati
dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6,n. 47204
del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 265482).
Per mera completezza deve ribadirsi che il vizio di
travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel
caso di cosiddetta “doppia conforme”, solo laddove il giudice di appello,
per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato
dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero laddove entrambi i
giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze
probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da
imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle
motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio
acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018 ud. –
dep. 05/02/2018, Rv. 272018 – 01).
3. Quanto all’asserita abnormità del comportamento
della vittima, nella sentenza di primo grado si è precisato che la condotta di
B.B. non può ritenersi esorbitante o abnorme “in mancanza di specifiche
istruzioni a cui attenersi per la posa della condotta all’interno dello scavo
eseguito da G., nonché per la totale mancanza di un professionista in grado di
assicurare il necessario coordinamento con l’attività svolta dall’altra impresa
presente nel cantiere”. Tale decisione risulta del tutto corretta in base
all’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui può definirsi
tale solo il comportamento imprudente che sia posto in essere del tutto
autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidate, per cui esuli da
ogni prevedibilità, oppure che rientri nelle mansioni affidate ma sia
consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle
ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte nella esecuzione del
lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018 ud. – dep. 14/02/2018, Rv. 272222 – 01).
Va, del resto, sottolineato che, ai fini
dell’accertamento della responsabilità penale, non è possibile attribuire
efficienza causale esclusiva alla condotta del lavoratore medesimo, poiché,
anche dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 81
del 2008 il datore di lavoro é titolare di un obbligo di protezione nei
confronti dei lavoratori, sicché le rispettive condotte del datore di lavoro e
del lavoratore rilevano soltanto ai fini di un eventuale concorso di colpe (tra
le tante, v. Sez. 4, n. 5005 del 14/12/2010 ud. – dep. 10/02/2011, Rv. 249625 –
01), rilevante esclusivamente ai fini della quantificazione del danno. Ne
deriva che la colpa della vittima, la cui quantificazione deve avvenire tenendo
conto della sua peculiare posizione di socio di una delle società coinvolte
nell’esecuzione dei lavori, rileva ai fini della quantificazione del danno, ma
non può escludere la responsabilità penale dell’imputato.
4. Parimenti è infondato il secondo motivo.
I giudici di merito hanno fatto corretta
applicazione del principio secondo cui, in tema di prevenzione degli infortuni,
il direttore dei lavori nominato dal committente, pur svolgendo normalmente una
attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all’esecuzione del
progetto nell’interesse di questi, risponde dell’infortunio subito dal
lavoratore qualora gli venga affidato il compito di sovrintendere
all’esecuzione dei lavori, con possibilità di impartire ordini alle maestranze
in virtù di una particolare clausola inserita nel contratto di appalto o
qualora, per fatti concludenti, risulti la sua concreta ingerenza
nell’organizzazione del lavoro (da ultimo, in questo senso, Sez. 3 n. 19646 del
08/01/2019 ud. – dep. 08/05/2019, Rv. 275746 – 01). Contrariamente a quanto
asserito nel ricorso, l’ingerenza del direttore dei lavori P.
nell’organizzazione dei lavori è stata desunta dai giudici di merito, con una
motivazione esaustiva e non manifestamente illogica, non solo dalla
raccomandazione di cautela rivolta ai lavoratori presenti in cantiere, ma anche
in considerazione della sua partecipazione alla decisione di coinvolgere nei
lavori la G. s.r.l. (v. p. 20 della sentenza di primo grado e p. 12 di quella
di secondo grado).
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato
ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.