Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 dicembre 2019, n. 34734

Licenziamento per giusta causa, Doveri di solidarietà sociale
e precetti dell’etica comune, Idoneità professionale, Lesione del vincolo
fiduciario

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n.
629/17, ha rigettato l’appello proposto da C. M. avverso la sentenza del locale
Tribunale che, in funzione di Giudice del lavoro, aveva rigettato l’impugnativa
del licenziamento intimato al ricorrente per giusta causa dalla società da
datrice di lavoro, A. s.p.a..

2. La Corte territoriale ha ritenuto dimostrati i
fatti ascritti all’appellante, vertenti su condotte verificatesi presso i
locali e sui mezzi aziendali e precisamente presso il magazzino del cimitero
Verano, dove il M. prestava servizio.

2.1. In particolare, ha ritenuto provato che la
signora in atti nominata, persona in condizioni di bisogno e di fragilità
psicologica, avesse le chiavi del magazzino della zona, vi pernottasse
all’interno nonché dentro automezzi aziendali e avesse rapporti sessuali con i
dipendenti dell’unità operativa; che di tali circostanze il M. era a
conoscenza, per cui la mancata informazione alla direzione aziendale di tali
fatti costituiva un fatto grave, ciò anche indipendentemente dalla partecipazione
diretta dell’appellante, essendosi costui reso complice di atti non rispettosi
della dignità della persona; che nessun rilievo poteva attribuirsi alla
circostanza che i rapporti sessuali con la detta signora fossero avvenuti fuori
dell’orario di lavoro, trattandosi comunque di comportamenti riprovevoli sul
piano del rispetto della personalità altrui e considerato che l’appellante,
tacendo sui comportamenti degli altri lavoratori, aveva dimostrato di
condividerne volontà e le intenzioni agevolandone comunque le condotte; che
neppure poteva ritenersi l’asserita disparità di trattamento tra dipendenti
della stessa azienda per i medesimi fatti, non potendosi equiparare la
posizione dei colleghi a quella dell’appellante, avuto riguardo al tenore dei
fatti di cui alla contestazione a lui mossa.

2.2. In conclusione, la Corte di appello ha ritenuto
che nel caso di specie la condotta tenuta dall’appellante si era posta in
contrasto con i doveri di solidarietà sociale e con i precetti dell’etica
comune, concorrendo a legittimare un giudizio negativo sull’idoneità
professionale dell’appellante alla prosecuzione del rapporto di lavoro.

3. Per la cassazione di tale sentenza C. M. ha
proposto ricorso affidato a sette motivi, cui ha resistito A. s.p.a. con
controricorso.

4. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

5. In sede di memoria, parte ricorrente ha avanzato
istanza di rimessione in termini ex artt. 153 e
294 cod. proc. civ., sostenendo che il ritardo
nella notifica del ricorso sarebbe dipeso dai tempi con cui venne esaminata
l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio (1.3.2018), il cui accoglimento
intervenne quando il termine ex art. 327 cod. proc.
civ. per la presentazione del ricorso era già scaduto.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 2104 e 2105 cod.
civ. per avere la sentenza affermato la sussistenza di una lesione del
vincolo fiduciario senza precisare quale pregiudizio per gli interessi
aziendali o quale discredito avesse suscitato la vicenda, la quale aveva tratto
origine in altro contesto, di rilievo esclusivamente mediatico, alla stregua di
un articolo giornalistico di cronaca locale, mentre era stato omesso di
considerare che la vicenda vide coinvolte circa quaranta persone e che non era
stata fornita alcuna prova circa l’affermata violazione, nei confronti dell’A.,
di uno specifico dovere inerente la prestazione lavorativa del ricorrente, né
alcun fatto di rilevanza penale.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione del principio di proporzionalità tra il fatto commesso e la
sanzione irrogata, anche in ordine alla possibile applicazione di altra
sanzione alternativa conservativa.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione o
falsa applicazione dell’art. 2105 cod. civ. per
avere la sentenza accreditato una nozione di diligenza non definita
ontologicamente, di contenuto vago e potenzialmente illimitato.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione dell’art. 70 Cost. per avere
la Corte di merito attinto a concetti socio-morali travalicando il suo compito,
atteso che compete allo Stato definire i comportamenti rilevanti sul piano
pubblico-istituzionale, non potendo il giudice surrogarsi a tale potere con
l’elaborazione di standard di comportamento, neppure se ciò costituisca il
frutto dell’elaborazione della giurisprudenza di legittimità, nella sua
funzione nomofilattica.

5. Il quinto motivo denuncia violazione o falsa
applicazione degli articoli 2104 e 2105 cod. civ. in relazione alla ritenuta
violazione di un obbligo di informativa del lavoratore nei confronti
dell’azienda, cui la sentenza è pervenuta attraverso un procedimento di
interpretazione estensiva dei doveri del dipendente, omettendo di considerare
che il provvedimento espulsivo fu piuttosto indotto dalla gogna mediatica che
accese i riflettori sull’azienda e sui suoi organi di vertice e di controllo.

6. Il sesto motivo denuncia il carattere discriminatorio
e di ritorsione del licenziamento in una vicenda che vide coinvolti numerosi
dipendenti.

7. Il settimo motivo denuncia omesso esame di un
fatto decisivo per il giudizio concernente l’incompletezza degli accertamenti
istruttori, con particolare riguardo alla mancata assunzione della
testimonianza della sopra detta signora e alla mancata ricostruzione della sua
posizione e del suo comportamento nella vicenda; alla mancata considerazione
del fatto che A. s.p.a. fosse a conoscenza della presenza, proprio nell’androne
del magazzino di via Sapri, di un centro di accoglienza per persone senza fissa
dimora, il che avrebbe dovuto indurre una maggiore sorveglianza; alla erronea
valutazione di attendibilità del capo del personale, assunto come teste, ma indagato
nello scandalo denominato “Parentopoli”.

8. In via preliminare, dev’essere esaminata
l’eccezione di tardività dell’impugnazione, sollevata da parte resistente. Il
riscontro della tempestività del ricorso costituisce comunque oggetto di
rilievo d’ufficio da parte di questo giudice di legittimità.

9. Il ricorso è inammissibile, perché tardivo.

10. Va premesso che non trova applicazione nella
specie la modifica dell’art. 327 cod. proc. civ.
introdotta dall’art. 46 della
legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha sostituito con il termine di decadenza
di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza l’originario termine annuale.
Tale modifica si applica, ai sensi dell’art. 58, comma primo, ai giudizi
instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, mentre
nel caso in esame il giudizio venne introdotto in primo grado nel 2008, con
conseguente applicazione dell’art. 327 cod. proc.
civ. nella sua originaria formulazione.

10.1. Tanto premesso, deve rilevarsi che la sentenza
è stata depositata il 10 febbraio 2017 e il ricorso risulta notificato il 13
marzo 2018, ben oltre la scadenza di tale termine annuale di decadenza di cui
alla citata norma.

11. Questa Corte ha pure più volte osservato che non
sussistono dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 742 del 1969,
che esclude le controversie di lavoro (e quelle in materia di previdenza ed
assistenza obbligatorie) dalla sospensione dei termini durante il periodo
feriale, in linea con i principi affermati dalla Corte costituzionale (sentenza
n. 130 del 1974, ordinanza n. 61 del 1985, ordinanza n. 61 del 1992), dovendosi
escludere che la norma sia idonea a produrre una lesione dei diritti di difesa
dei dipendenti.

Ciò tanto più in riferimento al termine (ora
semestrale) cosiddetto lungo di cui all’art. 327
cod. proc. civ., che consente, nella prospettiva di una ordinata
programmazione della propria attività, un adeguato lasso di tempo per
l’impugnazione del difensore, essendosi inoltre precisato che la suddetta
esclusione dalla sospensione dei termini trova giustificazione nel  rilevante valore sociale proprio dell’oggetto
di tali controversie e non è tale da pregiudicare il diritto delle parti alla
tutela giudiziaria (Cass. 9.2.09 n.3192, Cass.
11.11.98 n. 11389, Cass. 26.9.96 n. 8513, anche con riferimento al termine cd.
breve per impugnare, Cass. 14.4.98 n. 3767, v. da ultimo Cass. n. 21003 del 2015).

12. Quanto all’istanza di rimessione in termini,
essa va respinta.

12.1. Ancor prima della verifica del presupposto
costituito dalla non imputabilità del ritardo all’interessato, va accertato se
sussista il requisito della tempestività dell’istanza, da proporsi
immediatamente una volta che la parte rilevi di essere incorsa nella decadenza.

12.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il
provvedimento di rimessione in termini, reso sia ai sensi dell’art. 184-bis cod. proc. civ., che del vigente art. 153, comma 2, cod. proc. civ., presuppone una
tempestiva istanza della parte che assuma di essere incorsa nella decadenza da
un’attività processuale per causa ad essa non imputabile (Cass. n. 6102 del 2019), tempestività da intendere
come immediatezza della reazione della parte stessa al palesarsi della
necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa (Cass. n. 23561
del 2011).

12.3. Nel caso in esame, il termine annuale di
decadenza era scaduto il 10 febbraio 2018. Pertanto, alla data in cui il
ricorrente assume di avere avuto conoscenza del provvedimento di ammissione al
gratuito patrocinio (1° marzo 2018), l’attività processuale consistente nella
notifica del ricorso per cassazione era ormai preclusa. La tempestività –
intesa come immediata reazione al palesarsi della necessità di svolgere
un’attività ormai preclusa – non può ritenersi sussistente a fronte di
un’istanza di rimessione in termini formulata solo il 6 settembre 2019, in sede
di memoria difensiva ex art. 378 cod. proc. civ.,
a distanza di circa un anno e mezzo dall’avversarsi del fatto preclusivo.

13. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile,
con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità,
liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi
professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del
compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

14. Va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali (nella specie, inammissibilità del ricorso) per il versamento, da
parte del ricorrente, ai sensi dell’art.
13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso art.
13.

14.1. Al contempo, occorre dare atto che risulta
allegato al fascicolo processuale il provvedimento di ammissione al patrocinio
a spese dello Stato in materia civile.

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 4.000,00 per compensi
e in euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di
legge.

Ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n.115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis,
dello stesso articolo 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 dicembre 2019, n. 34734
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