Inesigibile la restituzione dei contributi integrativi relativi ad un periodo di cancellazione dell’avvocato dalla Cassa forense.
Nota a Cass. 22 novembre 2019, n. 30571
Fabio Iacobone
I contributi integrativi versati alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense (d’ora in poi Cassa), ai sensi della L. n. 576/1980, art. 11, nell’ipotesi in cui venga accertato l’esercizio della professione in regime di incompatibilità, con conseguente cancellazione retroattiva dalla Cassa, non vanno restituiti al professionista.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (22 novembre 2019, n. 30571, conforme alla precedente decisione n.10458/1998 e difforme da App. Milano n. 327/2017), la quale precisa che, qualora il giudice di merito accerti una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione legale e, quindi, con la stessa iscrizione all’Albo degli avvocati, non sussiste più un rapporto previdenziale legittimo con la Cassa forense. Ne consegue il venir meno di diritti ed obblighi del soggetto illegittimamente iscritto (anche se la suddetta incompatibilità non sia stata accertata e perseguita sul piano disciplinare dal Consiglio dell’Ordine competente) ed al soggetto illegittimamente iscritto spetta la restituzione dei contributi versati, in base all’art. 2033 c.c. (v. Cass. n. 15109/2005).
Tuttavia, “sia pure riguardo a fattispecie di restituzione dei contributi per il caso di mancata maturazione del diritto a pensione, … l’obbligo di rimborso concerne soltanto i contributi soggettivi, non anche i contributi integrativi, dovendosi dare rilievo alla mancata previsione del diritto alla restituzione di detti contributi, in coerenza con la funzione solidaristica degli stessi”.
Tale interpretazione si basa sulla peculiare struttura e funzione del contributo integrativo, disciplinato dall’art. 11, L. n. 576/1980, ove si prevede un obbligo di versamento a carico di tutti gli iscritti agli Albi di avvocato e di procuratore nonché dei praticanti procuratori iscritti alla Cassa; obbligo strettamente inerente alla prestazione professionale resa in virtù dell’iscrizione all’Albo professionale, tanto che il professionista può ripeterlo nei confronti del cliente (v. Cass. n. 5376/ 2019).
Quanto all’attività professionale svolta in una delle situazioni di incompatibilità (ex R.D.L. n. 1578/1933, art. 3), la stessa preclude (anche se l’incompatibilità non sia stata accertata e perseguita dal consiglio dell’ordine competente) “sia l’iscrizione alla Cassa, sia la considerazione, ai fini del conseguimento di qualsiasi trattamento previdenziale forense, del periodo di tempo in cui l’attività medesima è stata svolta” (L. n. 319/1975, art. 2, co. 3), ma non pone in dubbio che l’attività professionale sia stata legittimamente esercitata in virtù dell’iscrizione all’Albo.
Ne deriva che il contributo integrativo (di cui al citato art. 11) non viene “indebitamente percepito” dalla Cassa nel periodo di iscrizione, “ma viene da questa legittimamente riscosso, in forza delle disposizioni di legge vigenti e in relazione all’esercizio dell’attività professionale consentito dall’iscrizione all’Albo, sicché non trova applicazione l’art. 2033 c.c. che regola in via generale la ripetizione dell’indebito”.
Tale soluzione, secondo la Corte, è confortata da una duplice considerazione:
a) l’art. 22, co.1, n. 576/1980, prevede, per coloro che cessano dall’iscrizione alla Cassa senza aver maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione, soltanto “il diritto di ottenere il rimborso dei contributi di cui all’art. 10, nonché degli eventuali contributi minimi e percentuali previsti dalla precedente legislazione”, ma non dei contributi integrativi;
b) l’impossibilità di ripetere la quota relativa al volume minimo di affari presunto, qualora lo stesso sia superiore alle prestazioni effettivamente effettuate, discende dalla “finalità specifica dei contributi integrativi, esclusivamente diretti al finanziamento della previdenza di categoria ed espressione di un dovere di solidarietà nell’ambito della categoria professionale” (così, Cass. n. 10458/1998). Il carattere solidaristico della previdenza forense (v. Corte Cost. nn. 132/1984 e 133/1984) non esaurisce i suoi effetti durante il rapporto di iscrizione alla Cassa e la cessazione del rapporto non fa venir meno retroattivamente il vincolo di solidarietà. Vincolo confermato dalla previsione (art. 22, co.4, L. cit.) del versamento della misura minima dei contributi integrativi anche da parte di quei soggetti (membri del Parlamento, dei consigli regionali, della Corte Costituzionale, del Consiglio Superiore della Magistratura e presidenti delle Province e sindaci dei Comuni capoluoghi di provincia) che pure sono esonerati dal requisito della continuità dell’esercizio professionale durante il periodo di carica.
Legenda
Art. 11, L. n. 576/1980
Contributo integrativo.
“A partire dal 1° gennaio del secondo anno successivo all’entrata in vigore della presente legge, tutti gli iscritti [agli albi di avvocato e di procuratore nonché i praticanti procuratori (1)] alla Cassa devono applicare una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ai fini dell’IVA e versarne alla Cassa l’ammontare indipendentemente dall’effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore. La maggiorazione è ripetibile nei confronti di quest’ultimo.
Le associazioni o società di professionisti devono applicare la maggiorazione per la quota di competenza di ogni associato iscritto [agli albi di avvocato e procuratore] (1). L’ammontare complessivo annuo delle maggiorazioni obbligatorie dovute alla Cassa dal singolo professionista è calcolato su una percentuale del volume d’affari della associazione o società pari alla percentuale degli utili spettante al professionista stesso.
Gli iscritti alla Cassa sono annualmente tenuti a versare, per il titolo di cui al primo comma, un importo minimo risultante dall’applicazione della percentuale ad un volume d’affari pari a quindici volte il contributo minimo di cui all’art. 10, secondo comma, dovuto per l’anno stesso.
Il contributo di cui ai commi precedenti è dovuto anche dai pensionati che restano iscritti all’albo [dei procuratori o (1)] degli avvocati o all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori; ma l’obbligo del contributo minimo è escluso dall’anno solare successivo alla maturazione del diritto a pensione.
Salvo quanto disposto dall’art. 13, secondo comma, la maggiorazione percentuale, in sede di prima applicazione della presente legge, è stabilita nella misura del 2 per cento.
Il contributo integrativo non è soggetto all’IRPEF né all’IVA e non concorre alla formazione del reddito professionale”.
(1) L’albo dei procuratori legali è stato soppresso dalla L. 24 febbraio 1997, n. 27. L’art. 3 della medesima legge ha stabilito che il termine procuratore legale, presente nelle disposizioni legislative vigenti, si intende sostituito con quello di avvocato.