Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 gennaio 2020, n. 396
Dirigente, Mansioni di direttore commerciale, Licenziamento
– Indennità supplementare, Indennità di mancato preavviso, Prova del
riassetto organizzativo posto a fondamento del recesso
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Ancona, in parziale accoglimento
del ricorso proposto da R.B., dirigente con mansioni di direttore commerciale
della F. S.p.a, inteso alla declaratoria di illegittimità del licenziamento
intimatogli il 30.6.2007, condannava la società al pagamento, in favore del
predetto, della somma di € 9.442,72 a titolo di integrazione dell’indennità
sostitutiva del preavviso, e rigettava la domanda di condanna al pagamento
dell’indennità supplementare, domanda basata sull’assunto dell’ assenza di
giustificazione del licenziamento.
2. La Corte d’appello dorica, in parziale
accoglimento del gravame del B., condannava la società al pagamento della somma
di 157.000,00 a titolo di indennità supplementare, nonché al pagamento di €
21.290,00 a titolo di saldo dell’indennità di mancato preavviso, con conferma
nel resto della sentenza impugnata.
3. La Corte riteneva ingiustificato il licenziamento
sul rilievo che la società, sulla quale incombeva il relativo onere, non avesse
provato il riassetto organizzativo posto a fondamento del recesso, ma riteneva
insufficiente la somma corrisposta a titolo di indennità supplementare,
ritenendo equo un indennizzo pari alla metà della misura massima, tenuto conto
da una parte del comportamento delle società e dall’altro del fatto che il
danno era stato limitato, avendo il ricorrente trovato un nuovo posto con
retribuzione adeguata; l’indennità sostitutiva di preavviso era ricalcolata con
il computo di ulteriori voci.
4. Su ricorso principale della società, la Corte di
Cassazione, ritenuto assorbito il ricorso incidentale del B., cassava la
decisione impugnata sul rilievo che il principio applicabile, che avrebbe
dovuto guidare l’accertamento delle risultanze istruttorie, era quello secondo
cui il licenziamento del dirigente poteva fondarsi su ragioni oggettive
concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale non coincidenti
necessariamente con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una
crisi tale da rendere particolarmente onerosa tale continuazione, posto che il
principio di correttezza e buona fede, costituente il parametro su cui misurare
la legittimità del licenziamento, doveva essere coordinato con la libertà di
iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost.
5. All’esito del giudizio di rinvio, riassunto dal
B. – che rinunciava alle domande relative all’indennità di preavviso ed al
risarcimento del danno da mobbing – la Corte d’appello rigettava la domanda del
dirigente uniformandosi al principio di diritto enunciato dalla S. C. e
procedendo alla valutazione della documentazione e delle risultanze
istruttorie, secondo le indicazioni della Corte, pervenendo alla conclusione
che la dirigenza di E. s.p.a., società capogruppo, aveva deciso un
accentramento delle competenze dei dirigenti di F. e che, in fase di
riorganizzazione, si era verificato il passaggio di funzioni commerciali di
spettanza del B. al dr. O., già dirigente commerciale di E. s.p.a., come
confermato da numerosi testi escussi.
6. Il giudice del rinvio rilevava che anche il
settore della logistica, al quale pure era addetto il B., era stato oggetto di
riorganizzazione, essendo tornate le attività relative allo stesso ad essere
gestite dall’amministratore delegato di F., che aveva accentrato le funzioni
dell’A., divisione di F. e non società autonoma, poi ceduta a terzi con
perfezionamento della cessione nel gennaio 2008, a distanza di alcuni mesi
dalla cessazione del rapporto con il B..
7. Alla luce di ciò, secondo il giudice del rinvio,
doveva ritenersi la giustificatezza del licenziamento del B., in relazione alla
ripartizione dei compiti allo stesso assegnati tra le altre figure di
professionisti già presenti in F. o nella Capogruppo E. s.p.a.: a ciò
conseguiva il rigetto della richiesta di condanna al pagamento dell’indennità
di cui agli artt. 19 e 22 c.c.n.l.
per i dirigenti di aziende industriali, con condanna del B. alla restituzione
delle somme a titolo di differenza tra quanto già percepito in esecuzione delle
precedenti sentenze e quanto attribuito in base all’ultima pronuncia.
8. Di tale sentenza domanda la cassazione il B.,
affidando l’impugnazione a quattro motivi, illustrati nella memoria depositata
ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste, con
controricorso, la E. s.p.a.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente denunzia
violazione o falsa applicazione ex art. 360, n. 4,
c.p.c., dell’art. 112 c.p.c. anche in
relazione agli artt. 384 e 394 c.p.c.; nullità della sentenza per omessa
motivazione in ordine alle specifiche ragioni di gravame contenute nell’appello
e ribadite nel ricorso in riassunzione con riferimento : a) all’errata
valutazione delle motivazioni poste a base del licenziamento riguardo al reale
ruolo ricoperto dal B. in F., b) all’accorpamento di F. in E., c) alla
direzione generale della Divisione A. ed alla sua cessione a terzi, d) alla
pretestuosità del licenziamento, assumendo che il giudice del rinvio aveva
proceduto ad una sostanziale conferma delle motivazioni della decisione di
primo grado, condividendone il percorso argomentativo, e la valutazione delle
stesse testimonianze cui era stato conferito risalto dal primo giudice, non
prendendo posizione sulle specifiche doglianze sollevate dall’appellante.
1.1. Avendo la Corte di legittimità accolto il
secondo motivo di gravame, l’onere motivazionale richiesto al giudice di rinvio
era più gravoso, dovendosi rendere un nuovo giudizio sui fatti ed essendo
diversi i limiti di quest’ultimo a seconda della pronuncia di annullamento
(vizio di violazione di norme di diritto, ovvero vizio di motivazione) ed
essendo, nella specie, sviluppata la questione di merito sulla soppressione e
ruolo delle mansioni rivestite dal dirigente licenziato.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta
omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, con
riferimento a) alla esatta individuazione dei molteplici ruoli svolti dal B. in
F. e sulla loro effettiva soppressione al momento del recesso per g.m.o.,
b) alla rilevanza di un cessione futura a terzi
della divisione A. di cui il B. era direttore al momento del licenziamento,
adducendo che era stata provata la titolarità, da parte del B., anche di ruoli
diversi dalla direzione commerciale (Key account, industrial marketing, custode
care, custode invoicing), la cui valutazione era stata omessa quanto a
redistribuzione delle competenze; ugualmente contesta l’assunto che, quale
dirigente, esso ricorrente avesse, al momento del licenziamento, una gestione
meramente residuale e contesta anche la tempistica relativa alla cessione della
divisione A..
3. Con il terzo motivo, deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 13 c.c.n.l.
dirigenti aziende produttrici di beni e servizi, per avere la Corte
territoriale ritenuto sussistente il principio del libero recesso (rectius:
libera recedibilità) nei confronti del dirigente quale direttore generale
dell’A. di fronte all’ipotesi di trasferimento di proprietà dell’azienda ed
assume la nullità del licenziamento, per violazione dei diritti quesiti dal
dirigente.
3.1. Sostiene la contrarietà della decisione alla
regolamentazione collettiva pur per l’ipotesi che sia ritenuto infondato il
motivo sull’assenza di motivazione quanto all’inesistenza di un contratto di
cessione di ramo d’azienda antecedente al recesso.
4. Con il quarto motivo, sono ascritte alla
decisione impugnata violazione e falsa applicazione dell’art. 22 CCNL dirigenti azienda, per
avere la Corte di Ancona ritenuti sussistente la cessione della direzione generale
di A. ad altro dirigente e presente il presupposto della giustificatezza del
licenziamento relativamente a tutti i ruoli ricoperti dal B., violando il
principio di immutabilità delle ragioni del licenziamento, sostenendo che la
divisione A. non fosse gestita residualmente, come indicato nella lettera di
recesso, dal B. e che la maggior parte dei ruoli ricoperti dal predetto alle
dipendenze di F. s.p.a. al momento del licenziamento non risultavano essere
stati mai riassegnati prima della cessione del ramo.
5. Quanto al primo motivo, deve osservarsi che, in
caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio
fondato sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con
la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel
controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale
affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a
seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di
diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della
controversia, in quanto, nella prima
ipotesi, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto
enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare
l’accertamento e la valutazione dei fatti, già acquisiti al processo, mentre,
nel secondo caso, la sentenza rescindente – indicando i punti specifici di
carenza o di contraddittorietà della motivazione – non limita il potere del
giudice di rinvio all’esame dei soli punti indicati, da considerarsi come
isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte
le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito,
relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello
specifico capo della sentenza di annullamento.
5.1. In quest’ultima ipotesi, poi, il giudice di
rinvio, nel rinnovare il giudizio, è tenuto a giustificare il proprio
convincimento secondo lo schema esplicitamente od implicitamente enunciato
nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso
giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del
provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei
casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi
riscontrati (cfr., in tali termini, Cass. 2.2.2018 n. 2652, Cass. Sez. U.,
Sentenza n. 11844 del 09/06/2016, in motivazione, paragr. 6.1.; Cass. 6.7.2017
n. 16660 e, tra le altre, anche Cass. 26.9.2018 n. 22989 e Cass. 7.8.2014 n.
17790, con riguardo specificamente ai limiti dei poteri attribuiti al giudice
di rinvio, a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso
per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di
motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe
le ragioni, con la precisazione che il più ampio esame consentito nel secondo e
terzo caso, esteso anche alla valutazione “ex novo” dei fatti già
acquisiti, nonché alla valutazione di altri fatti, debba avvenire pur sempre
nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse e in base alle direttive
della sentenza di legittimità).
5.2. Con riguardo al caso oggetto della presente
controversia, la sentenza rescindente, per quel che qui rileva, è in tali
termini: “Questa Corte di legittimità (Cass.
17 marzo 2014 n. 6110) ha precisato che, ai fini della
“giustificatezza” del licenziamento del dirigente, è rilevante
qualsiasi motivo che lo sorregga, con motivazione coerente e fondata su ragioni
apprezzabili sul piano del diritto, atteso che non è necessaria un’ analitica
verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale,
che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a
circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro,
nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente.” …
“il licenziamento individuale del dirigente d’azienda può fondarsi su
ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non
debbono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del
rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa
detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che
costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve
essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost.. 14.1 principi sopra enunciati
costituiscono il quadro di riferimento nell’ambito del quale verificare e
valutare le risultanze dell’attività istruttoria espletata nel corso del
giudizio di primo grado. 15. Ciò non è avvenuto nel caso di specie atteso che
la sentenza impugnata, dopo aver apoditticamente affermato che la società
datrice di lavoro non aveva assolto l’onere, sulla stessa incombente a norma
dell’art. 2697 c.c., di provare la
giustificazione del licenziamento, si è limitata a motivare le proprie
conclusioni sulla mancanza di giustificazione del recesso argomentando sulla
base di considerazioni astratte, al più facendo riferimento al contenuto della
lettera di licenziamento, ma senza esaminare in concreto né la documentazione
prodotta, né i risultati della prova espletata in primo grado”.
5.3. La sentenza della Corte dorica si è attenuta a
siffatti principi, in quanto ha valutato i fatti in base alle direttive
impartite dalla S. C. in sede rescindente, avendo ritenuto provato
l’accentramento in sede riorganizzativa delle funzioni dirigenziali svolte dai
dirigenti di F. o dal B. con utilizzazione del proprio personale, e ciò anche
con riguardo alla divisione A., che già prima della cessione era stata
assegnata all’amministratore delegato M..
5.4. La censura non è idonea a scalfire tale
accertamento, che rientra nell’ambito di valutazione riservata al giudice del
merito e che elimina le incongruenze e contraddizioni ravvisate dalla S.C. in
sede rescindente, con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione
dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori,
ostativi ad una valutazione della motivazione insufficiente o contraddittoria,
salvo che essa non risulti apparente né perplessa o obiettivamente
incomprensibile (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053;
Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), ciò che non
è dato rilevare nel caso di specie.
5.5. La critica mossa sconfina rispetto all’ambito
di controllo sui poteri conferiti al giudice del rinvio quale delineato dalla
Corte di legittimità in sede rescindente, atteso che, rispetto alle indicazioni
fornite con riguardo all’esame da compiersi da parte del giudice del merito
delle ragioni oggettive del licenziamento del dirigente (“sussistenza di
esigenze di riorganizzazione aziendale, che non debbono necessariamente
coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una
situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta
continuazione”), e del parametro costituito dal principio di correttezza e
buona fede, su cui misurare la legittimità del licenziamento, in coordinamento
con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost., il giudice del rinvio ha proceduto
a nuova valutazione del complessivo materiale probatorio in aderenza e
consonanza con i dicta della Cassazione.
6. Il motivo denuncia in modo inammissibile il vizio
di omesso esame, che è inconfigurabile, per la mancata indicazione del fatto
asseritamente non valutato, e non è conforme al paradigma deduttivo (dovendo il
ricorrente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato
omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti
esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato
oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua
“decisività”) prescritto dal novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. Difetta la
suddetta necessaria decisività, per la pluralità di fatti censurati (di palese
negazione ex se del requisito in questione: Cass.
5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28 maggio 2018, n. 13625), al di fuori del
paradigma devolutivo e deduttivo del novellato art.
360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7
aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno
2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), avendo la doglianza piuttosto
il carattere di una (inammissibile) contestazione della valutazione probatoria
della Corte di merito (v. al riguardo, specificamente, Cass. 13568/2018).
6.1. Si richiamano deposizioni asseritamente a
conforto dell’assunto che vari erano i ruoli e le competenze facenti capo al
B., il che dimostra che non si tratta di omesso esame di un fatto, ma di
deduzione di una serie di elementi probatori, la cui asserita valutazione,
difforme da quella voluta dalla parte, esula dal vizio dedotto, rivestendo piuttosto
il carattere di una (inammissibile) contestazione della valutazione probatoria
della Corte di merito.
7. Quanto alle doglianze avanzate con il terzo
motivo, con le stesse non si contesta la interpretazione della norma
contrattuale, peraltro richiamata solo nella presente sede, ma si sostiene
genericamente che l’iter argomentativo della pronunzia impugnata abbia
conferito rilievo ad una ricostruzione dei fatti la cui regolamentazione in
base a fonte collettiva doveva condurre ad esiti diversi da quelli cui era
pervenuta la Corte del giudizio di rinvio. Sul punto la critica si rivela
inconferente in quanto il dato contrattuale, come trascritto nel motivo, non
interferisce sulla ricostruzione della vicenda quale effettuata in sentenza,
che valorizza la circostanza che la cessione dell’A., divisione della F., della
quale anche il B. curava alcune attività, intervenne dopo alcuni mesi dalla
cessazione del rapporto di lavoro con il predetto, quando nel frattempo la
gestione della divisione era stata già assegnata all’amministratore delegato,
poi anch’esso cessato, con assunzione delle carica da parte di altre figure
professionali presenti in azienda.
8. Il quarto motivo impinge anch’esso nel merito
della vicenda e nelle valutazioni operate al riguardo dai giudici del merito,
come tali non scrutinabili nella presente sede di legittimità, laddove si
invoca la violazione di norme contrattualcollettive, nella sostanza
intendendosi unicamente sollecitare una rivisitazione delle risultanze di causa
difforme da quella compiuta nella fase di merito; ciò senza considerare che il
richiamo all’art. 22 CCNL, che
riguarda la specificazione dei motivi del recesso in caso di risoluzione del
rapporto di lavoro, risulta per la prima volta e inammissibilmente richiamata
solo nella presente sede di legittimità.
9. In conclusione, deve pervenirsi al rigetto del
ricorso.
10. Le spese del presente giudizio seguono la
soccombenza del ricorrente e sono liquidate in dispositivo.
11. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115
del 2002.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro
200,00 per esborsi, euro 5000,00 per compensi professionali, oltre accessori di
legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1bis, del citato
D.P.R., ove dovuto.