In caso di riscatto volontario della posizione individuale maturata tra il 1° gennaio 2007 ed il 31 dicembre 2017 presso un fondo di previdenza complementare, deve estendersi anche ai dipendenti pubblici il regime fiscale di favore (ovverosia la ritenuta a titolo di imposta del 15% o, in determinati casi, del 23%) previsto dall’art. 14 del D.LGS. n. 252/2005 per i dipendenti privati.
Nota a Corte Cost. 3 ottobre 2019, n. 218
Marialuisa De Vita
Con la sentenza n. 218 del 3 ottobre 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, co. 6 del D.LGS. n. 252 del 2005 (disciplina delle forme pensionistiche complementari) in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. nella parte in cui prevede che il riscatto della posizione individuale di un dipendente pubblico, maturata tra il 2007 ed il 2017, deve essere assoggettato a tassazione progressiva IRPEF ex art. 52, co. 1, lett. d-ter, TUIR, anziché mediante una ritenuta a titolo d’imposta come previsto per i dipendenti privati dall’art. 14, co. 4 e 5 del citato D.LGS. n. 252/2005.
La questione di legittimità costituzionale veniva sollevata dalla Commissione tributaria di Vicenza nell’ambito di un giudizio instaurato da una dipendente pubblica avverso il rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate all’istanza di rimborso dell’IRPEF e delle relative addizionali applicate (ai sensi del combinato disposto degli artt. 23, co. 6, D.LGS. n. 252/2005 e 52, co. 1, lett. d-ter, TUIR) alla somma liquidata a seguito del riscatto volontario ad una lavoratrice dal Fondo nazionale pensione complementare per i lavoratori della scuola (c.d. Fondo scuola “Espero”) al quale la medesima è stata iscritta dal 2009 al 2014.
Il regime fiscale applicato (concorso della somma liquidata alla formazione del reddito complessivo della lavoratrice e conseguente applicazione dell’IRPEF progressiva) – osserva il giudice a quo nell’ordinanza di rimessione – risulta penalizzante rispetto a quello introdotto dall’art. 14 del D.LGS. n. 252/2005 (tassazione con ritenuta alla fonte a titolo di imposta) per i dipendenti privati. Esso determina una maggiorazione costituzionalmente illegittima dell’onere tributario, lesiva sia del principio di uguaglianza tributaria (art. 3 Cost.), sia del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), in quanto una medesima fonte di capacità contributiva (ossia la somma liquidata a seguito di riscatto volontario) viene ad essere sottoposta irragionevolmente a due diverse imposizioni fiscali.
La Corte costituzionale per risolvere la questione ricorda che il regime di tassazione sostitutiva (ovverosia la ritenuta a titolo di imposta del 15% o, in determinati casi, del 23%) del riscatto introdotto, a decorrere dal 2007, per i soli dipendenti del settore privato si inquadra nell’ambito delle agevolazioni tributarie dirette – in attuazione dell’art. 38, co. 2, Cost. – ad incentivare lo sviluppo della previdenza complementare.
La ratio sottesa al suddetto beneficio fiscale deve essere rivolta – osserva la Corte – non solo alla previdenza complementare dei dipendenti privati, ma anche a quella dei dipendenti pubblici come emerge dalla relativa normativa fiscale alla cui ricostruzione procede la Consulta nella sentenza in esame.
Il trattamento tributario originariamente disciplinato dal TUIR per il riscatto della posizione di previdenza complementare prevedeva, infatti, sia per i dipendenti pubblici, sia per quelli privati, l’assimilazione di tale reddito a quelli di lavoro dipendente in conformità al regime fiscale operante per tutte le prestazioni pensionistiche. Tale uniformità di disciplina è venuta meno con il D.LGS. n. 252 del 2005 che, agli artt. 14, commi 4 e 5 e 11, co. 6, ha introdotto, come anticipato, in luogo della tassazione progressiva prevista dal TUIR, una ritenuta a titolo di imposta e, dunque, una tassazione distinta delle somme liquidate a seguito di riscatto volontario rispetto agli altri redditi percepiti dal lavoratore.
Questo regime però – precisa la Corte costituzionale – non si applica a tutti i lavoratori dipendenti, ma solo a quelli del settore privato per effetto della esclusione dei dipendenti pubblici disposta dal censurato art. 23, co. 6, D.LGS. n. 252/2005.
Da qui lo “sdoppiamento” della disciplina applicabile (tassazione progressiva o tassazione sostitutiva) in ragione della natura (rispettivamente pubblica o privata) del rapporto di lavoro dell’aderente ad una forma di previdenza complementare.
La duplice disciplina non è venuta meno neppure per effetto della recente novella legislativa introdotta dall’art. 1, co. 156, L. n. 215 del 2017 (Legge di bilancio 2018) che, al fine di ripristinare la originaria uniformità, ha esteso la tassazione sostitutiva anche ai dipendenti pubblici, ma solo per le prestazioni accumulate a decorrere dal 2018: sicché per i montanti accumulati dal 2007 al 2017 resta fermo l’assoggettamento a tassazione progressiva IRPEF.
La Corte costituzionale, accogliendo le censure rilevate dal giudice a quo, ha pertanto dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, co.6 del D.LGS. n. 252/ 2005 in relazione all’art. 51, co. 2, lett. d-ter, TUIR per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., estendendo così anche ai dipendenti pubblici che riscattano da un fondo di previdenza complementare i montanti accumulati dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2017 l’agevolazione fiscale già prevista per i dipendenti privati al fine di favorire lo sviluppo della previdenza complementare.