Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 gennaio 2020, n. 453
Differenze retributive, Domanda, Notifica del ricorso in
appello, Decreto di fissazione dell’udienza, Vizio, Decadenza dell’attività
processuale
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Napoli, con sentenza n.
8648 depositata il 10.1.2018, ha dichiarato improcedibile l’appello di D.V.S.
avverso la sentenza di primo grado con cui era stata respinta la domanda di
condanna della datrice di lavoro I. s.a.s. di A.F. al pagamento di differenze
retributive;
2. la Corte territoriale ha dato atto della mancata
prova, ad opera dell’appellante, della notifica del ricorso in appello,
unitamente al decreto di fissazione dell’udienza ritualmente comunicato a mezzo
PEC, nonché della mancata costituzione della società appellata e della mancata
comparizione all’udienza di cui all’art. 437 c.p.c.
del medesimo appellante;
3. ha richiamato le sentenze di questa Corte (Cass., S.U., n. 20604 del 2008; Cass. n. 9597 del
2011; n. 5238 del 2011) ai cui principi di diritto si è attenuta;
4. avverso tale sentenza il sig. D.V. ha proposto
ricorso per cassazione, affidato a due motivi; la I. s.a.s. di A.F. è rimasta
intimata;
5. la proposta del relatore è stata comunicata alle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non
partecipata, ai sensi dell’articolo 380 bis cod.
proc. civ..
Considerato che
6. col primo motivo di ricorso il D.V. ha dedotto,
ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 421
e 435 c.p.c.; carenza, insufficienza e
contraddittorietà della motivazione;
7. ha definito inconferenti i precedenti di
legittimità richiamati nella sentenza impugnata, che presuppongono l’omessa
notifica del ricorso in appello, osservando come nel caso di specie la notifica
dell’atto di appello e del decreto di fissazione dell’udienza fosse intervenuta
(ha allegato al ricorso per cassazione relata di notifica a mezzo posta
elettronica, esattamente “ricevuta di accettazione” e “avviso di
mancata consegna”);
8. col secondo motivo il ricorrente ha denunciato,
ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 348 c.p.c.;
carenza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione; omessa
valutazione di un punto decisivo della controversia;
9. ha anzitutto rilevato il contrasto insanabile tra
le statuizioni contenute nella sentenza d’appello che, a pag. 1 ha dato atto
della presenza dell’appellante all’udienza del 12.12.2017 (“l’appellante è
comparso e ha chiesto un rinvio non dando prova della notifica dell’atto di
appello”) e invece a pag. 3 ha registrato la mancata comparizione dello
stesso all’udienza suddetta (“la parte appellante non è neanche comparsa
all’udienza di discussione, pur avendo avuto regolare comunicazione del decreto
di fissazione dell’udienza, non ha curato di depositare l’atto di appello
notificato, né la parte appellata si è costituita”);
10. ha sostenuto come, in base al disposto dell’art. 348 c.p.c., anche in ipotesi di mancata
comparizione dell’appellante all’udienza di cui all’art.
437 c.p.c., la Corte d’appello avrebbe dovuto fissare una nuova udienza,
con possibilità di dichiarare l’improcedibilità dell’appello solo in caso di
mancata comparizione dell’appellante anche all’udienza successiva;
11. i motivi di ricorso, che si trattano
congiuntamente per ragioni di connessione logica, non possono trovare
accoglimento;
12. tali motivi sono inammissibili anzitutto per la
mancata trascrizione e produzione del verbale d’udienza del 12.12.17, su cui si
fonda l’allegazione contenuta in ricorso quanto alla presenza dell’appellante
all’udienza suddetta e alla proposizione dell’istanza di rinvio, circostanze
oggetto di affermazioni contraddittorie nella sentenza impugnata; in ragione di
ciò, risultano inconferenti le censure basate sull’assunto dell’avvenuta
notifica del ricorso in appello;
13. parimenti inammissibile è la censura di
motivazione insufficiente e contraddittoria in ragione dell’applicabilità del
nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
(sentenza d’appello del 2017) che limita il sindacato di legittimità sulla
motivazione alla violazione di legge, cioè dell’art.
132 c.p.c., secondo quello che è stato definito il “minimo
costituzionale” della motivazione; nel caso in esame, la motivazione non
solo è formalmente esistente come parte del documento, ma si compone di
argomentazioni logiche e coerenti; pure la deduzione di omesso esame di un
fatto decisivo si rivela inammissibile in quanto non afferente ad un fatto
inteso in senso storico fenomenico e quindi non conforme allo schema legale del
nuovo art. 360, n. 5 c.p.c. (cfr. Cass., S.U., 8053 del 2014);
14. nella declaratoria di improcedibilità
dell’appello la Corte di merito si è attenuta ai principi enunciati dalle
Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 20604
del 2008) e si sottrae alla denunciata violazione di legge, in particolare
dell’art. 348 c.p.c.;
15. al riguardo la sentenza citata ha statuito che
“Nel rito del lavoro l’appello, pur tempestivamente proposto nel termine
previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso
depositato e del decreto di fissazione dell’udienza non sia avvenuta, non
essendo consentito – alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente
orientata imposta dal principio della cosiddetta ragionevole durata del
processo “ex” art. 111 Cost., comma 2
– al giudice di assegnare, ex art. 421 cod. proc.
civ., all’appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova
notifica a norma dell’art. 291 cod. proc. civ.”.
16. tale principio è stato ribadito da successive
pronunce di questa Corte, non solo in materia di lavoro, ma anche in materia di
locazioni e perfino nell’ambito dei procedimenti camerali (cfr. Cass. n. 29870
del 2008; n. 1721 del 2009; n. 11600 2010; n.
9597 del 2011; n. 27086 del 2011; n. 20613 del 2013; n. 6159 del 2018);
17. si è in particolare precisato (Cass. n. 20613
del 2013) che nel giudizio di appello soggetto al rito del lavoro, il vizio
della notificazione omessa o inesistente è assolutamente insanabile e determina
la decadenza dell’attività processuale cui l’atto è finalizzato (con conseguente
declaratoria in rito di chiusura del processo, attraverso l’improcedibilità),
non essendo consentito al giudice di assegnare all’appellante un termine per
provvedere alla rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente
inesistente;
18. quindi non solo non è consentito, nel silenzio
normativo, allungare – con condotte omissive prive di valida giustificazione,
come nel caso in esame – i tempi del processo sì da disattendere il principio
della sua “ragionevole durata”, ma l’improcedibilità dell’impugnazione,
nelle controversie di lavoro, conseguente alla mancata notificazione del
ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, senza possibilità per il
giudice di assegnare un termine perentorio per provvedervi, trova
giustificazione anche nell’esigenza di tutelare la legittima aspettativa della
controparte al consolidamento, entro un termine predefinito e ragionevolmente
breve, di un provvedimento giudiziario già emesso; ciò a differenza di quanto
avviene nel processo del lavoro di primo grado, dove la notifica del ricorso
assolve unicamente la funzione di consentire l’instaurazione del
contraddittorio (Cass. n. 6159 del 2018; n. 17368 del 2018);
19. non è pertinente il riferimento all’art. 348 c.p.c., che disciplina la diversa ipotesi
della mancata comparizione in udienza di una o di entrambe le parti, sul
presupposto di una regolare vocatio in ius, quindi di un contraddittorio
ritualmente instaurato (Cass. n. 8595 del 2017; n. 2816 del 2015);
20. per le ragioni esposte, il ricorso risulta
inammissibile;
21. non vi è luogo a provvedere sulle spese in
quanto la I. s.a.s. di A.F. non ha svolto attività difensiva;
22. si dà atto che sussistono i presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso art.
13, se dovuto.