Con il termine “stabilizzazione”, ormai invalso della pratica, si fa riferimento a quelle fattispecie negoziali che hanno l’idoneità a produrre l’effetto di prolungare a tempo indeterminato un rapporto di lavoro sorto a termine[1]. Rapporto che può essere conseguenza sia di un contratto di lavoro subordinato che leghi le parti della vicenda contrattuale, che di una più complessa rete negoziale, la somministrazione di lavoro ex art. 30 d.lgs. n. 81/2015. A sua volta l’effetto – sostanziale e giuridico – di cui si discorre può essere prodotto sia tramite una trasformazione a tempo indeterminato del contratto di lavoro che lega le parti originarie del rapporto, che tramite la stipula di un contratto di staff leasing tra l’utilizzatore della prestazione lavorativa ed una APL, e la contestuale assunzione del lavoratore da parte di quest’ultima in virtù di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. All’esito di entrambe le vicende contrattuali richiamate, infatti, il Lavoratore erogherà la propria prestazione lavorativa in virtù di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Il recente intervento normativo (c.d. Legge dignità) ha fortemente innovato il lavoro tramite Agenzia, reintroducendo, tra l’altro, il reato di somministrazione fraudolenta[2]. Sotto il profilo civilistico, in realtà, la norma non costituisce una novità, trattandosi di una specificazione della più ampia categoria del contratto in frode alla legge[3].
Ciononostante l’impatto mediatico della disposizione è stato molto forte e certamente, ad inquadrare laicamente l’istituto, non ha concorso né la sostanziale assenza di casistica giurisprudenziale, né la prima circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che si è limitata ad affermare che il reato di somministrazione fraudolenta possa realizzarsi “addirittura coinvolgendo agenzie di somministrazione autorizzate”[4].
Il nucleo della fattispecie è composto, in primo luogo da un profilo soggettivo, il cui accertamento deve essere molto rigoroso qualora la vicenda contrattuale coinvolga una Agenzia per il lavoro e non si collochi nell’alveo del mero appalto illecito, e di uno oggettivo, identificato dalla specifica finalità di violare norme imperative o di legge applicate al lavoratore. La somministrazione fraudolenta costituisce una classica norma aperta, ovvero una disposizione i cui contenuti si identificano per relationem, in virtù del complessivo quadro regolatorio all’interno del quale la regola è chiamata a vivere.
Al fine di chiarire il complessivo tema che si affronta, occorre quindi, ed in primo luogo, definire se ed in quale misura si sia dinanzi ad una somministrazione di lavoro legittima, alla luce dell’attuale quadro normativo.
Resta inteso che esula dal campo di analisi, stante la evidente illegittimità della condotta, l’ipotesi in cui i lavoratori, i cui rapporti di lavoro siano oggetto di c.d. “stabilizzazione”, abbiano già maturato il diritto alla “trasformazione” a tempo indeterminato del contratto di lavoro, per effetto del superamento dei limiti di durata del rapporto, ovvero, attualmente, della violazione della disciplina in tema di causali e/o, con specifico riferimento all’ipotesi della somministrazione di lavoro, delle previsioni in materia di percentuali di utilizzo. In questo caso, la mancata “stabilizzazione” in capo al datore di lavoro/utilizzatore della prestazione lavorativa costituisce di per sé una condotta illegittima, che non può essere sanata se non da una rinunzia – in sede protetta – da parte del singolo lavoratore ad un diritto, quello alla assunzione/trasformazione a tempo indeterminato, ormai entrato nel proprio patrimonio normativo.
Il quadro normativo di riferimento della Somministrazione di lavoro.
Il contratto di somministrazione di lavoro soggiace a due tipi di limitazioni, espressamente previste dal Legislatore, afferenti il contratto che lega Agenzia per il Lavoro ed Utilizzatrice, da un lato, ed il contratto di lavoro che lega Agenzia per il Lavoro e Lavoratore, dall’altro.
Il contratto commerciale soggiace ai seguenti limiti di carattere quantitativo[5]:
“Salvo diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore, il numero dei lavoratori somministrati con contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato non può eccedere il 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipula del predetto contratto, con un arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. Nel caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento della stipula del contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato. Possono essere somministrati a tempo indeterminato esclusivamente i lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato.
Salva diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore e fermo restando il limite disposto dall’articolo 23, il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero con contratto di somministrazione a tempo determinato non può eccedere complessivamente il 30 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipulazione dei predetti contratti, con arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. Nel caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento della stipulazione del contratto di somministrazione di lavoro. E’ in ogni caso esente da limiti quantitativi la somministrazione a tempo determinato di lavoratori di cui all’articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, di soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e di lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati ai sensi dei numeri 4) e 99) dell’articolo 2 del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, come individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”.
Alla luce di tale previsione, può concludersi nel senso che la stipula di contratti di somministrazione non soggiace a limiti qualitativi (es. causali o condizioni di stipula) ma solo a limitazioni di carattere quantitativo, peraltro derogabili dalla contrattazione collettiva ordinaria.
Il contratto di lavoro che lega l’Agenzia per il Lavoro al Lavoratore somministrato, al contrario, soggiace a limitazioni di carattere qualitativo, che hanno ad oggetto la sola ipotesi di assunzione a tempo determinato da parte della Agenzia per il Lavoro:
“In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina di cui al capo III, con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 21, comma 2, 23 e 24. Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore”[6].
Senza indulgere in approfondimenti eccessivi rispetto all’esigenza di chiarire il complessivo quadro regolatorio della materia, si può quindi in questa sede concludere nel senso che l’assunzione a tempo indeterminato da parte della Agenzia per il Lavoro non soggiaccia ad alcuna limitazione di carattere qualitativo (es. causali, condizioni etc.).
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L’analisi, alla luce della breve disamina che precede, riposa dunque sulla affermazione secondo la quale la somministrazione a tempo determinato o indeterminato di lavoratori assunti dalla Agenzia per il Lavoro a tempo indeterminato non soggiace ad alcun limite qualitativo, ma ai soli limiti quantitativi previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva applicata dall’utilizzatore[7]. Non sussiste altresì alcun limite di durata al rapporto, a meno che quest’ultimo vincolo non sia introdotto dalla contrattazione collettiva applicata dall’utilizzatore[8].
La somministrazione di lavoro fraudolenta.
Si è dinanzi ad una ipotesi di somministrazione fraudolenta di lavoro allorquando il contratto sia sottoscritto con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore (cfr. art. 38 bis, d.lgs. n. 81/2015). La fattispecie in esame si colora quindi in relazione ad un elemento esogeno rispetto alla stessa, costituito dalla norma inderogabile (legale o contrattuale) che si assume violata.
Venendo all’ipotesi oggetto di disamina, nel caso che ci occupa ci si troverebbe dinanzi ad una struttura complessa, costituita da una condotta – la stipula di un rapporto di somministrazione di per sé lecito – e da un preciso intento – il solo fine (dolo specifico) di eludere divieti che riguardano altre tipologie contrattuali (il contratto di lavoro subordinato a termine, nell’ipotesi esaminata).
Il Legislatore fornisce una definizione autorevole di somministrazione fraudolenta all’art. 32, d.lgs. n. 81/2015, laddove identifica i divieti del lavoro tramite agenzia utilizzando la medesima casistica predisposta per il contratto a termine (vedi supra sub. C), così chiarendo, ove anche ve ne fosse bisogno, che i limiti all’utilizzo del contratto a termine non possono essere aggirati stipulando un contratto di somministrazione di lavoro (per sostituire ad esempio lavoratori in sciopero).
Al di là di tale tipizzazione, la Giurisprudenza in questo caso non soccorre, non avendo identificato nel corso degli anni i limiti dell’istituto con chiarezza. Pur essendo una previsione già presente in passato (è stata abrogata solo nel 2015 nel quadro delle riforme introdotte dal c.d. Jobs act) e pur essendo in effetti una manifestazione di un principio generale ben presente nell’ordinamento (il c.d. contratto in frode alla legge) la somministrazione fraudolenta ha avuto una scarsissima applicazione pratica. Questo rende chiaramente difficile la presente disamina .
Volendo approfondire il tema, gli esempi tipici offerti dalla dottrina e da qualche remota sentenza di merito fanno riferimento all’ipotesi della somministrazione volta ad aggirare i divieti di rinnovo prima che sia decorso l’intervallo temporale previsto dall’art. 21, d.lsg. 81/2015 (c.d. stop and go) : si potrebbe ritenere integrata tale ipotesi qualora si dimostri che il contratto di somministrazione sia stato stipulato al solo scopo di violare la norma che impone un lasso temporale tra due contratti di lavoro a termine (frapponendo tra gli stessi un rapporto di somministrazione a tempo determinato).
Altra ipotesi potrebbe essere quella del contratto di somministrazione a tempo determinato, in esecuzione del quale si invii in missione a tempo determinato un lavoratore già assunto a termine, con lo scopo di evitare di dover “giustificare” il rinnovo del contratto o la sua proroga oltre i 12 mesi.
Un ulteriore ipotesi, più volte offerta ad esempio dalla dottrina e dalla giurisprudenza, potrebbe essere quella di una sottoscrizione di un contratto di somministrazione a termine, al fine di evitare il superamento della soglia dei quindici dipendenti da parte dell’utilizzatore, in modo tale da eludere la normativa vigente che trova applicazione al superamento di più di quindici dipendenti .
La fattispecie esaminata.
Alla luce di tale premessa, e con lo scopo di chiarire se, ed in che modo, il contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato possa dirsi fraudolento, ove stipulato al fine di utilizzare nuovamente lavoratori già assunti con contratto di lavoro a termine, occorre chiarire quali siano i limiti legali di quest’ultima tipologia contrattuale (che identifica quale sia oggetto della pretesa frode).
Per quel che qui interessa, il contratto di lavoro a termine incontra i seguenti limiti:
- Con riferimento alla durata del singolo contratto.
- Ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.lgs. n. 81/2015:
Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:
- esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
- esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
- Ai sensi dell’art. 21, d.lgs. n. 81/2015:
Il contratto può essere rinnovato solo a fronte delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 1. Il contratto può essere prorogato liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente, solo in presenza delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 1. In caso di violazione di quanto disposto dal primo e dal secondo periodo, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. I contratti per attività stagionali, di cui al comma 2 del presente articolo, possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 11.
Il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a ventiquattro mesi, e, comunque, per un massimo di quattro volte nell’arco di ventiquattro mesi a prescindere dal numero dei contratti.
Qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato.
2. Con riferimento alla durata complessiva del rapporto.
- Ai sensi dell’art. 19, comma 2, d.lgs. n. 81/2015
Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l’eccezione delle attività stagionali di cui all’articolo 21, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i ventiquattro mesi. Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato.
3. Con riferimento alla causa del contratto.
- Ai sensi dell’art. 20, d.lgs. n. 81/2015:
L’apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa:
- per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
- presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi a norma degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti, per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi;
- presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato;
- da parte di datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Conclusioni.
Chiarito, auspicabilmente, il tema, al fine di dare compiuta risposta al quesito occorre quindi chiedersi se, ed in che limiti, la stipula di un contratto di staff leasing, eseguito mediante lavoratori assunti a tempo indeterminato che in precedenza siano stati assunti a tempo determinato, si ponga in contrasto con la normativa limitativa dei contratti a termine.
E, posto tale quesito, dovrà convenirsi come la risposta non possa che essere negativa, per conclamata mancanza di elusione normativa, alla luce dei seguenti, concordanti, “indizi”.
Sotto il profilo della durata complessiva, non è possibile ipotizzare alcuna violazione del quadro normativo che innanzi si è richiamato: la disciplina in materia di contratto a termine colpisce, anche sulla scorta dei principi di matrice comunitaria di cui è figlia, la eccessiva durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato. Oggetto del divieto non è il contratto di somministrazione di lavoro in sé considerato, ma il protrarsi nel tempo di un rapporto di lavoro a tempo determinato e l’eventuale utilizzo a tal fine del lavoro tramite agenzia.
La Direttiva 1999/70/CE del Consiglio, esplicitamente afferma: “le parti contraenti hanno voluto concludere un accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che stabilisce i principi generali e i requisiti minimi per i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato; hanno espresso l’intenzione di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione, nonché di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato”.
Quando il Legislatore ha inteso colpire la somministrazione, quale strumento di “abuso”, lo ha fatto a chiare lettere: l’art. 19, comma 2, nel disciplinare il tema della durata complessiva massima di un rapporto a tempo determinato, ha espressamente menzionato la sola ipotesi di “missione avente ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato”. L’inciso evidenziato sta a testimoniare che il cuore della norma, il c.d. nucleo inviolabile che il privato non può aggirare, è legato non all’utilizzo della somministrazione in sé, ma alla stipula di architetture negoziali mediante le quali si estenda oltre i limiti previsti la durata di rapporti di lavoro a tempo determinato.
In tale ottica, se l’ipotesi di studio fosse quella di sottoscrivere contratti di somministrazione a tempo determinato – e non di staff leasing – sarebbe stato lecito chiedersi se non si stesse per incorrere nella limitazione in disamina, posto che la struttura negoziale (di per sé lecita) posta in essere dai privati produrrebbe l’antigiuridico scopo di prolungare oltre i limiti legali la durata di un rapporto di lavoro a tempo determinato.
Al contrario, il concreto effetto giuridico prodotto dalla architettura contrattuale esaminata è proprio quello di dar vita ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e dunque in funzione del perseguimento di un fine del tutto lecito e legittimo.
È del tutto chiaro, a sommesso parere di chi scrive, che il riferimento alla nozione di rapporto, e non a quella di contratto, operato dal Legislatore comunitario, stia lì proprio a chiarire che, oggetto di limitazioni, siano le strutture negoziali a tempo determinato (e non i singoli contratti che le compongono); la ratio, neppure tanto inespressa, è da ricondurre all’esigenza di evitare che tramite diverse forme negoziali si procrastini nel tempo la dovuta stipula di un contratto di lavoro a tempo indeterminato (irrilevante apparendo, sotto tale profilo, che il fine illecito sia perseguito mediante contratti di per sé legittimi). E se così è, e non v’è ragionevole motivo di dubitarne, è del tutto evidente che il termine frode alla legge sia usato a sproposito dinanzi a strutture contrattuali, quale quella oggetto di esame, che lungi dal precarizzare i rapporti, disegnano orizzonti temporali indeterminati.
Chiaramente questa conclusione deve essere messa alla prova. E non sfugge ad alcuno come tale prova sia insita nel rispondere alla domanda se sia legittimo, o meno, che un Lavoratore, dopo 12 o 24 mesi di rapporto di lavoro a tempo determinato, sia assunto a tempo indeterminato da una Agenzia per il Lavoro e non dal suo precedente datore di lavoro.
Non si vede, però, quale possa essere l’antefatto normativo a cui ancorare una potenziale risposta negativa a tale quesito, a meno di non voler sostituire l’interprete al Legislatore:
- Non l’art. 19, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, che si limita ad imporre l’apposizione di condizioni nell’ipotesi di stipula di contratti a termine oltre determinati limiti temporali, e che per espressa scelta normativa è applicabile al solo contratto di lavoro a termine tra Agenzia e lavoratore somministrato;
- Non l’art. 19, comma 2, d.lgs. n. 81/2015, il quale esplicitamente vieta l’utilizzo del contratto di lavoro a termine e del contratto di somministrazione a tempo determinato per un periodo superiore ai 24 mesi;
- Non l’art. 21, d.lgs. n. 81 2015, che si limita ad introdurre orizzonti normativi definiti per la sola stipula di contratti di lavoro a termine;
- Non la clausola 5 dell’accordo quadro europeo sul contratto a termine, introdotto con la direttiva 1999/70/CE, che si limita a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, imponendo ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei “suddetti contratti o rapporti” ovvero limitazioni della durata massima totale dei “contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi”, ovvero ancora del numero dei rinnovi dei “suddetti contratti o rapporti”.
In tale quadro normativo, che certamente già di per sé depone per la declaratoria di legittimità dello strumento negoziale esaminato, di non poco momento è una riflessione, alla quale pur conviene dedicare del tempo, in merito alla somministrazione di lavoro, come strumento normativo, alla luce delle previsioni di matrice comunitaria che ne regolano l’ampiezza applicativa.
Ai sensi dell’art. 4, della Direttiva 2008/104/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, relativa al lavoro tramite agenzia interinale: “I divieti o le restrizioni imposti quanto al ricorso al lavoro tramite agenzie di lavoro interinale sono giustificati soltanto da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi”.
Al di là di quel che fosse la (certamente limitativa) volontà del Legislatore nazionale sul punto, l’articolato appena richiamato, figlio di previsioni normative di rango certamente superiore rispetto alla c.d. “Legge Dignità” impone all’interprete la scelta della interpretazione più favorevole al contratto di somministrazione di lavoro, tra quelle in astratto possibili. Un ulteriore argomento che, nel silenzio del Legislatore, non può non segnare un altro punto a favore di una interpretazione che concluda nel senso della piena legittimità della adozione della struttura contrattuale esaminata.
Alla luce di quanto innanzi evidenziato e chiarito che, sia alla luce del dettato normativo nazionale che, a maggior ragione, delle previsioni comunitarie in materia di contratto a termine e di somministrazione di lavoro, non sussiste alcun possibile abuso sotteso all’impiego di strutture negoziali che abbiano quale effetto finale la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato (siano essi diretti che tramite agenzia per il lavoro), deve concludersi nel senso che la somministrazione a tempo indeterminato (c.d. staff leasing) mediante lavoratori assunti a tempo indeterminato, che in precedenza abbiano avuto rapporti di lavoro a termine con la utilizzatrice, non costituisca una ipotesi di somministrazione fraudolenta.
Andrea Bonanni Caione
[1] Sul presupposto, in realtà discutibile, che un rapporto di lavoro a tempo indeterminato abbia una stabilità maggiore rispetto ad un contratto a termine. A ben vedere, mentre un rapporto a termine ha una sua ontologica stabilità, legata ad una data finale che può essere disattesa solo in presenza di eventi davvero eccezionali, un contratto di lavoro a tempo indeterminato può sostanzialmente essere risolto in qualunque momento, a condizione che vi sia una motivazione di carattere oggettivo o soggettivo. Sul piano delle tutele, poi, che il datore di lavoro impieghi, o meno, più di quindici dipendenti, la reintegra è ormai un eventualità remota, alla luce dei recenti interventi normativi.
[2] Trattasi infatti di disposizione già vigente (art. 28 D.lgs. n. 276/2003) ed a suo tempo abrogata dall’art. 55 del D.lgs. n. 81/2015. Il testo, nella sua attuale formulazione, prevede che “Ferme restando le sanzioni di cui all’articolo 18 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, quando la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore, il somministratore e l’utilizzatore sono puniti con la pena dell’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione” (art. 38 bis D.lgs. 81/2015, così come modificato dalla Legge n. 96/2018).
[3] In tal senso si è già espressa la Corte di Cassazione, sez. lav., sent. n. 62/2015; in senso conforme Cassazione, sez. lav., sent. n. 15610/2011.
[4] Cfr. Circolare INL n. 3/2019, la quale ha identificato, a titolo esemplificativo, la fattispecie in cui un datore di lavoro licenzi un proprio dipendente per riutilizzarlo tramite agenzia di somministrazione, al fine di fruire di vantaggi di carattere retributivo e contributivo.
[5] (art. 31, comma 2, d.lgs. n. 81/2015)
[6] (art. 34, comma 1, d.lgs. n. 81/2015)
[7] In tal senso anche la recente Circ. Min. Lav. N. 17 del 31.10.2018: “le modifiche recate dal c.d. Decreto Dignità non riguardano in alcun modo l’istituto della somministrazione a tempo indeterminato (c.d. staff leasing). Ne discende che, nel caso in cui il somministratore assuma a tempo indeterminato dei lavoratori, gli stessi potranno essere inviati in missione (sia a tempo indeterminato, che determinato) presso le imprese utilizzatrici senza obbligo di indicazione delle causali o di rispetto di limiti di durata, fermo restante il limite quantitativo del 20% previsto dal d.lgs. n. 81/2015”.
[8] L’unica limitazione di carattere temporale si ha infatti nell’ipotesi di utilizzo successivo e congiunto di contratto di lavoro a termine e somministrazione di lavoro a tempo determinato, posto che in tal caso è operante il limite previsto dall’art. 19, comma 2, d.lgs. n. 81/2015, che impone di leggere unitariamente i periodi lavorati in esecuzione di tali tipologie contrattuali, qualora abbiano ad oggetto le medesime mansioni.