Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 gennaio 2020, n. 916
Tributi, IRPEF, Riliquidazione del trattamento pensionistico
– Somme erogate a titolo di rivalutazione monetaria ed interessi, Tassazione,
Qualificazione come redditi di lavoro dipendente
Fatti di causa
S.A., in data 30.04.2003 proponeva istanza di
rimborso dell’importo di Euro 36.152,82, affermando trattarsi di una somma
indebitamente trattenuta dall’INPDAP a titolo di ritenuta d’acconto, ai fini
Irpef, sottoponendo a tributo gli importi corrisposti dall’Amministrazione
finanziaria per rivalutazione monetaria ed interessi dovuti a seguito della
riliquidazione del suo trattamento pensionistico.
Formatosi il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione
finanziaria, con ricorso del 3.10.2003, notificato al soppresso Ufficio delle
Entrate di Palermo 1, il contribuente proponeva impugnazione innanzi alla
Commissione Tributaria Provinciale di Palermo.
Il contribuente fondava la propria pretesa sulla
sentenza n. 237 del 1998, pronunciata dalla Corte dei Conti che, a seguito
della riliquidazione del trattamento pensionistico, gli aveva riconosciuto il
diritto alla corresponsione di somme a titolo di rivalutazione monetaria ed
interessi sul credito vantato, derivante dal rapporto di lavoro. Richiamando la
giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Commissione Tributaria
Centrale, il contribuente adduceva la non assoggettabilità ad imposizione delle
somme in questione, trattandosi, nella prospettazione della parte, di una
obbligazione autonoma, anche se accessoria al credito di lavoro, pertanto
esclusa dalla tassazione Irpef, non costituendo reddito. Le somme erogate erano
state però tassate come se si fosse trattato di una componente della
retribuzione, contestava il contribuente, conseguendone una trattenuta pari ad
Euro 12.039,75 sulle somme erogate a titolo di rivalutazione monetaria, ed Euro
24.113,07 sugli interessi.
La CTP accoglieva il ricorso ed accordava al
contribuente il rimborso richiesto.
L’Agenzia delle Entrate proponeva impugnativa innanzi
alla Commissione Tributaria Regionale siciliana che, ricostruita l’evoluzione
giurisprudenziale in materia, in parziale riforma della sentenza di primo
grado, accoglieva le doglianze dell’Ufficio appellante disponendo il rimborso
delle somme relative alle ritenute applicate sulla rivalutazione monetaria, ma
lo negava in relazione a quelle applicate sugli interessi.
Avverso la decisione assunta dalla CTR ha proposto
impugnazione per cassazione l’Amministrazione finanziaria, affidandosi ad un
unico, articolato, motivo di ricorso. Resistono mediante controricorso M.A.,
S.D. e S.A., quali eredi del contribuente S.A., deceduto nelle more del
giudizio di secondo grado.
Ragioni della decisione
Preliminarmente, per ragioni logiche e sistematiche,
occorre esaminare le doglianze proposte dai controricorrenti, i quali
eccepiscono l’improcedibilità” ed “inammissibilità” del ricorso
proposto dall’Agenzia delle Entrate, in conseguenza dello spirare del termine
di legge per proporre impugnativa.
In particolare, essi affermano che “la sentenza
impugnata è stata depositata l’11.07.2014 e mai notificata. Il ricorso in
cassazione è stato notificato agli odierni resistenti in data 29.07.2015 e cioè
383 giorni successivi il deposito della sentenza de quo. La detta sentenza, in
ottemperanza alla normativa sopra riportata (art.
327, comma 1, cod. proc. civ.) doveva essere impugnata entro sei mesi dal
deposito e dunque non oltre il 23.02.2015, tenuto conto della sospensione dei
termini processuali” (controric., p. 10 ss.).
Occorre allora premettere che l’impugnata sentenza
della Commissione Tributaria Regionale di Palermo risulta non essere stata
“mai notificata”, e la mancata notificazione ha comportato
l’applicabilità del c.d. termine lungo di impugnazione, di cui all’art. 327, comma I, cod. proc. civ.
Dalla relata di notifica risulta che copia conforme
all’originale del ricorso per cassazione è stata spedita dall’Avv. R.D.F., per
conto dell’Avvocatura Generale dello Stato, il 27 luglio 2015 a mezzo del
servizio postale, con plico raccomandato a.r., ai sensi dell’art. 149 cod. proc. civ., a M.A., S.D. e S.A., in
qualità di eredi del contribuente deceduto S.A., e che, pertanto, la notifica è
avvenuta regolarmente, nel domicilio eletto e presso il procuratore designato
dagli odierni controricorrenti, in data 29 luglio 2015, mediante consegna a
mani del “portiere dello stabile in assenza del destinatario e delle
persone abilitate”.
Secondo i controricorrenti, poiché la sentenza della
CTR è stata depositata l’11.07.2014, il termine utile per proporre il ricorso
per cassazione era di sei mesi, che sarebbero scaduti l’11.01.2015. Dovevano
poi aggiungersi 31 giorni (a seguito dell’entrata in vigore della legge del 10 novembre 2014, n. 162) di
sospensione feriale dei termini processuali, e dunque il ricorso avrebbe dovuto
essere proposto entro il 23.02.2015, primo giorno successivo non festivo
(cadendo il giorno effettivo di scadenza, il 22.02.2015, di Domenica).
Diversamente, il ricorso per cassazione era stato notificato il 29.07.2015, ed
esso risulterebbe perciò intempestivo, in quanto notificato tardivamente, oltre
la scadenza il termine di legge.
La doglianza, oltre a non essere completamente
comprensibile il calcolo dei termini proposto dai controricorrenti, si rivela
comunque infondata.
L’ art. 327, comma
primo, cod. proc. civ., effettivamente dispone ora che l’impugnazione,
anche per cassazione, non può proporsi decorsi sei mesi dalla pubblicazione
della sentenza, e non più un anno come in precedenza, ma la disposizione, ai
sensi dell’art. 58, comma 1,
della legge 18.6.2009, n. 69, trova applicazione in relazione ai giudizi
instaurati dopo la data di entrata in vigore della legge. Nel caso di specie la
ricorrente afferma che l’originario ricorso è stato introdotto il 3.10.2003, ed
il dato non risulta contestato dai controricorrenti. Tenuto conto
dell’applicazione della sospensione feriale (sent. CTR dep. 11.7.2014, + 1 anno
+ 31 giorni, sent. dep. I’11.7.2014, ricorso notificato il 29.7.2015),
pertanto, l’impugnativa per cassazione proposta dall’Agenzia delle Entrate deve
valutarsi tempestiva. Tanto premesso:
1.1. – Con il proprio motivo di ricorso, introdotto
ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod.
proc. civ., l’Agenzia delle Entrate contesta alla Commissione Tributaria
Regionale della Sicilia di essere incorsa nella violazione degli artt. 6 e 49, comma 2, del TUIR, avendo
erroneamente ritenuto non suscettibili di imposizione gli importi liquidati a
titolo di interessi sulle somme corrisposte in conseguenza della riliquidazione
di un trattamento pensionistico.
2.1. – Mediante il suo motivo di impugnazione l’Ente
impositore contesta, in relazione al profilo della violazione di legge, la decisione
della Commissione Tributaria Regionale di Palermo per aver ritenuto non
applicabile alcuna imposizione sulle somme corrisposte a titolo di interessi
sulla riliquidazione del trattamento pensionistico del contribuente.
In materia la Suprema Corte ha chiarito,
pronunciando sulla specifica materia, che “in tema d’imposte sui redditi,
gli interessi corrisposti in occasione della riliquidazione dell’indennità di
buonuscita, operata con ritardo rispetto alla data di cessazione del servizio,
costituiscono reddito da lavoro dipendente, assoggettabile a tassazione ai
sensi dell’art. 6 del d.P.R. n. 917
del 1986, indipendentemente dalle modifiche apportate dall’art. 6 del d.l. n. 557 del 1993,
convertito con modificazioni nella legge n. 133 del
1994, al pari di qualsiasi erogazione economica effettuata dal datore di
lavoro e avente titolo diretto e immediato nel rapporto di lavoro”, Cass. sez. V, sent. 30.12.2009, n. 27902, non
mancando di ribadire il concetto mediante la decisione richiamata dalla
ricorrente, in cui ha statuito, più in generale, che “in tema di imposte
sui redditi, gli interessi corrisposti sui crediti di lavoro per competenze
arretrate costituiscono reddito da lavoro dipendente, assoggettabile a
tassazione ai sensi dell’art. 6 del
d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (così come modificato, con effetto dal 30
dicembre 1993, dall’art. 1 del
d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, conv. con modifiche nella I. 26 febbraio 1994, n. 133), alla pari di
qualsiasi erogazione economica che abbia titolo nel rapporto di lavoro, anche
se maturati in epoca anteriore al 1994 ed indipendentemente dalle cause del
ritardo nel pagamento, in quanto la percezione costituisce il momento decisivo
ai fini dell’imposizione fiscale prevista dalla normativa citata, non
sospettabile, peraltro, di incostituzionalità, essendo il discrimine temporale
un elemento diversificatore idoneo a giustificare una differente
regolamentazione di vicende simili”, Cass.
sez. V, 22.9.2011, n. 19325 (conf. sez. V, sent. 9.3.2011, n. 5575).
Questo chiaro indirizzo interpretativo proposto
dalla Corte di legittimità appare meritevole di essere confermato, non
rinvenendosi ragioni, nella impugnata decisione della CTR e nell’argomentare
degli odierni controricorrenti, per ritenere che gli interessi corrisposti in
conseguenza della riliquidazione del trattamento pensionistico non abbiano
titolo diretto e immediato nel rapporto di lavoro, elemento che costituisce il
presupposto dell’assoggettamento all’imposizione.
Il ricorso deve essere pertanto accolto, e la causa
può essere decisa nel merito, non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da
esperire.
Sussistono giuste ragioni, in considerazione del mancato
consolidarsi, nella materia trattata, di un orientamento della giurisprudenza
di legittimità precedente la proposizione del ricorso introduttivo del
giudizio, per dichiarare compensate tra le parti le spese dei gradi di merito.
Le spese di lite del giudizio di cassazione seguono l’ordinaria regola della
soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle
Entrate e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo dei
contribuenti, che condanna alla rifusione, in favore della ricorrente, delle
spese di lite del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi
Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Compensa fra le parti le spese di lite relative ai
gradi di merito.