Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 gennaio 2020, n. 812

Rapporto di lavoro, Natura, Configurazione di rapporto part
time, Tfr, Differenze retributive, Periodo di lavoro espletato “in
nero”

Rilevato che

 

– con sentenza in data 20 luglio 2015, la Corte
d’Appello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha
condannato la G. S.p.A. al pagamento, in favore di D. T., della minor somma di
euro 843,68 a titolo di tfr, oltre accessori, in luogo della maggior somma
liquidata dal Tribunale;

– in particolare, il giudice di secondo grado ha
ritenuto non provata la natura a tempo pieno del rapporto reputando, invece,
che lo stesso avesse avuto la configurazione di rapporto part time;

– avverso tale pronunzia propone ricorso D. T., affidandolo
a cinque motivi;

– resiste, con controricorso, la C. s.r.l.

 

Considerato che

 

– con il primo motivo di ricorso si deduce la
violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché 1362 cod. civ., in riferimento all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., in relazione al
periodo di lavoro espletato “in nero”; con il secondo motivo, si
deducono violazione e falsa applicazione degli artt.
115-116 cod. proc. civ., 2697 cod. civ. sempre in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., con riguardo al
ritenuto orario di lavoro, mentre, con riguardo al quarto motivo di ricorso, si
deduce in esso la violazione degli artt. 115, 116 e 232 cod. proc.
civ. con riferimento all’art. 360 n. 5 cod.
proc. civ.;

– i tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per
l’intima connessione, sono inammissibili;

– premesso che la piana lettura della formulazione
del primo motivo lo rende illogico ed incomprensibile là dove, nel censurare la
decisione di secondo grado, in realtà, riferisce lo stesso periodo lavorativo
in termini temporali ritenuto in sentenza, ma, soprattutto, con esso si mira ad
ottenere una rivisitazione del merito, auspicandosi l’applicazione di un regime
retributivo diverso al periodo asseritamente svolto in nero, mentre, in ordine
al secondo motivo, si chiede una diversa valutazione delle risultanze
probatorie, da cui discenderebbe un diverso regime anche con riguardo
all’orario di lavoro;

– con il quarto motivo, infine, si censura la
sentenza impugnata nella parte in cui ha recepito le conclusioni della CTU in
ordine all’ammontare delle differenze retributive – relative al solo tfr –
immuni da vizi e non oggetto di contestazione;

– chiedendosi siffatte valutazioni, si dimentica
che, con riguardo all’omesso esame, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ.,
disposto dall’art. 54 col, lett.
b), del DL 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la
impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di
motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per
il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la
conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di
legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del
requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale”
richiesto dall’art. Ili, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo”
dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso
straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale
requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente;
manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od
incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano
la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di
validità ( fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017);

– conseguentemente, le valutazioni richieste a
questa Corte, sono sottratte al regime del giudizio di legittimità;

– con il terzo motivo di ricorso si deduce la
violazione e falsa applicazione degli artt. 115
– 116 cod. proc. civ.. 2094 cod. civ., nonché
61 CCNL Autoferrotranvieri, in relazione all’art.
360 n. 3 cod. proc. civ.;

– il motivo è inammissibile;

– sebbene parte ricorrente lamenti una violazione di
legge, in realtà le argomentazioni da essa sostenute si limitano a criticare
sotto vari profili la valutazione compiuta dalla Corte d’Appello, in
particolare con riguardo al ritenuto orario”part time del lavoro espletato, con
doglianze intrise di circostanze fattuali mediante un pervasivo rinvio ad
attività asseritamente compiute nelle fasi precedenti ed attinenti ad aspetti
di mero fatto tentandosi di portare di nuovo all’attenzione del giudice di
legittimità una valutazione fattuale e, cioè, l’indagine concernente la durata
del rapporto e le modalità di svolgimento dello stesso, senza l’adduzione di
qualsivoglia elemento di diritto a sostegno della richiesta diversa
valutazione;

– orbene, attiene alla violazione di legge la
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando
necessariamente una attività interpretativa della stessa;

– nella specie, la stessa piana lettura delle
modalità di formulazione del motivo considerato ed il riferimento ad una
diversa valutazione dei mezzi istruttori, di spettanza esclusiva del giudice di
merito, induce ad escludere, ictu oculi, la deduzione di una erronea
sussunzione nelle disposizioni normative mentovate della fattispecie
considerata, apparendo, invece, chiarissima l’istanza volta ad ottenere una
inammissibile rivalutazione del merito della vicenda;

– con il quinto ed ultimo motivo, parte ricorrente
lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.
91 cod. proc. civ., con riguardo al governo delle spese, compensate
integralmente;

– orbene, giova premettere che, per effetto della
novella introdotta dall’art. 45,
comma 11, della L. 18 giugno 2009, n. 69, in vigore a decorrere dal 4
luglio 2009, in assenza di soccombenza reciproca, è stata riconosciuta la
possibilità di compensazione delle spese di lite esclusivamente in presenza di
“gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella
motivazione”.

– sul punto, consolidata giurisprudenza di
legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. n. 22310 del 25/09/2017; Cass. n. 4251
del 21/02/2017; Cass. n. 6059 del 19/03/2017) ha ritenuto che le “gravi ed
eccezionali ragioni”, da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che
legittimano la compensazione totale o parziale delle spese ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ., , devono riguardare
specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e non possono essere
espresse con una formula generica – come la natura della controversia, la
peculiarità della materia del contendere, ovvero le alterne vicende dell’iter
processuale, formula inidonea a consentirne il necessario controllo in sede di
legittimità (si vedano, altresì, Cass.n. 14411 del 14/07/2016; Cass. n. 11217
del 31/05/2016);

– per effetto dell’ulteriore modifica apportata all’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., dall’art. 13 del D.L. 12/09/2014, n. 132, conv. in L. 162 del 10/11/2014, entrata in vigore il
giorno 11/11/2014 ed applicabile ai procedimenti introdotti a decorrere dal
trentesimo giorno successivo e, pertanto, dall’11/12/2014, la formulazione è
diventata ulteriormente stringente, richiedendosi, per la compensazione
integrale o parziale delle spese in assenza di reciproca soccombenza,
l'”assoluta novità della questione trattata o mutamento della
giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”;

– l’integrale revisione del testo della norma
considerata per effetto della novella, ha rimosso il carattere
“aperto” originariamente riconosciuto alla norma lasciando residuare
una previsione tassativa limitata alle due sole ipotesi descritte, in aggiunta
alla soccombenza reciproca delle parti;

– con la sentenza del 19 aprile 2018 n. 77, la Corte
costituzionale ha affermato che il giudice civile, in caso di soccombenza
totale di una parte, può compensare le spese di giudizio, parzialmente o per
intero, non solo nelle ipotesi di “assoluta novità della questione
trattata” o di “mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni
dirimenti” ma anche quando sussistano “altre analoghe gravi ed
eccezionali ragioni”. Il perimetro della compensazione delle spese è stato
ampliato rispetto alla riduzione effettuata dal legislatore nel 2014 allo scopo
di contenere il contenzioso civile. La tassatività introdotta è stata ritenuta
dalla Corte costituzionale lesiva del principio di ragionevolezza e di
uguaglianza, in quanto lascia fuori altre analoghe fattispecie riconducibili
alla stessa ratio giustificativa;

– nel caso di specie, anche alla luce del nuovo
regime sulle spese introdotto dalla novella, il parziale accoglimento della
domanda giustifica ex se l’integrale compensazione delle spese di lite;

-alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi,
il ricorso va respinto;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate
come in dispositivo;

– sussistono i presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1. -bis dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R.
n. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento,
in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in 2.300,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese
generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. :L -bis dello
stesso articolo 13.

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