Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 gennaio 2020, n. 708
Licenziamento, Autista di autobus di linea, Grave
inadempimento del lavoratore, Sanzione espulsiva
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Bari, con sentenza n.
2790/2017 depositata il 24.11.2017, ha confermato la sentenza del Tribunale di
Foggia che aveva considerato legittimo il licenziamento intimato a M.A.,
autista di autobus di linea, il 6 luglio 2015, per non aver fatto rientro con
l’autobus aziendale, nelle giornate del 25,26,27 e 28 maggio 2015, al termine
della prestazione lavorativa, presso il deposito di San Severo, e per essersi
recato invece in Monte Sant’Angelo, località vicina a proprio domicilio, ove
aveva parcheggiato il veicolo per tutta la notte, per riprenderlo la mattina
seguente e recarsi a lavoro.
1.1. Tale comportamento, secondo la concorde
valutazione dei giudici di merito del doppio grado, integrava la violazione
(punita con la destituzione) prevista dal r. d.
n. 148 del 1931, cit., art. 45, n. 4 (secondo il cui disposto incorreva
nella destituzione “chi, nonostante restituzione, scientemente si appropri
o contribuisca a che altri si appropri di somme, valori, materiale od oggetti
spettanti all’azienda, o ad essa affidati per qualsiasi causa”). La
sanzione, ritenevano i giudici di merito, appariva proporzionata rispetto ai
fatti che dimostravano, nel quadro complessivo delle circostanze prese in
esame, un grave inadempimento del lavoratore.
2. Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per
cassazione M.A., affidato ad unico articolato motivo, cui hanno resistito con
controricorso le F.G. s.r.l., illustrato da successiva memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
3. M.A. ha censurato la sentenza con un unico motivo
proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3
c.p.c., dolendosi della violazione degli artt.
2119 c.c., dell’art. 3, L.
n. 604/66, dell’art. 45
Allegato A) al R.D. n. 148/1931 e dell’art. 18 L 300/70, come
modificato dalla legge 92/12.
Il ricorrente ha dedotto l’errore in cui sarebbero
incorsi i giudici territoriali, nel formulare il giudizio di proporzionalità
della sanzione rispetto ai fatti contestati, non tenendo conto della situazione
soggettiva del lavoratore, della sua convinzione di non arrecare alcun danno
all’azienda, corroborata dalla tolleranza in precedenza dimostrata riguardo ad
analoghi comportamenti e rispetto alla possibilità di parcheggiare l’autobus
sulla pubblica via, nonché del fatto che l’art. 45 Allegato A) al R.D. n.
148/1931, valorizzato da entrambi i giudizi di merito, per dedurne la
tipizzazione della sanzione espulsiva, non prevede condotte coincidenti con
quelle del lavoratore, poiché contempla la astratta condotta di appropriazione
del bene aziendale che non sarebbe riscontrabile nel caso di specie (ove il
bene era stato solo utilizzato dal lavoratore, che aveva necessità di accudire
il proprio figlio ammalato e che, a sua volta, aveva sofferto di problemi di
salute coevi ai fatti).
4. Il ricorso è infondato.
Appare opportuno premettere come, a seguito delle
modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012
al regime sanzionatone dettato dall’art. 18 della legge n. 300 del
1970, il giudice deve procedere ad una valutazione più articolata circa la
legittimità dei licenziamenti disciplinari rispetto al periodo precedente (cfr.
Cass. n. 13178 del 2017; successive conformi: Cass. n. 5339 del 2018; Cass. n. 9396 del 2018; Cass. n. 18823 del 2018; Cass. n. 32500 del 2018).
4.1. In primo luogo deve accertare se sussistano o
meno la giusta causa ed il giustificato motivo di recesso, secondo le
previgenti nozioni fissate dalla legge, non avendo la riforma del 2012
“modificato le norme sui licenziamenti individuali, di cui alla legge n. 604 del 1966, laddove stabiliscono che il
licenziamento del prestatore non può avvenire che per giusta causa ai sensi
dell’art. 2119 cod. civ. o per giustificato
motivo” (così Cass. SS.UU. n. 30985 del 2017).
4.2. Nel caso in cui il giudice escluda la
ricorrenza di una giustificazione della sanzione espulsiva, deve svolgere, al
fine di individuare la tutela applicabile, una ulteriore disamina sulla
sussistenza o meno di una delle due condizioni previste dal comma 4 dell’art. 18 per
accedere alla tutela reintegratoria (“insussistenza del fatto
contestato” ovvero fatto rientrante “tra le condotte punibili con una
sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi
ovvero dei codici disciplinari applicabili”), dovendo, in assenza,
applicare il regime dettato dal comma 5, “da ritenersi espressione della
volontà del legislatore di attribuire alla cd. tutela indennitaria forte una
valenza di carattere generale” (ancora Cass.
SS.UU. n. 30985 del 2017).
4.3. Avuto riguardo alle previsioni della
contrattazione collettiva che graduano le sanzioni disciplinari, questa Corte,
essendo quella della giusta causa e del giustificato motivo nozioni legali, ha
più volte espresso il generale principio che tali previsioni non vincolano il
giudice di merito (ex plurimis, Cass. n. 8718 del 2017; Cass. n. 9223 del 2015; Cass. n. 13353 del 2011). Anche se “la scala
valoriale ivi recepita deve costituire uno dei parametri cui occorre fare
riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.” (Cass.
n. 9396 del 2018; Cass. n. 28492 del 2018), considerato altresì che l’art. 30, comma 3, I. n. 183 del 2010,
ha previsto che “nel valutare le motivazioni poste a base del
licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di
giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro” (cfr. Cass. n. 32500 del 2018; circa la natura non
meramente ricognitiva delle disposizioni contenute nell’art. 30 della I. n. 183 del 2010
v. anche Cass. n. 25201 del 2016).
4.4. In particolare, esprimendo principi rilevanti
anche nel caso qui esaminato, questa corte ha chiarito che, anche quando si
riscontri la corrispondenza del comportamento del lavoratore alla fattispecie
tipizzata contrattualmente come ipotesi che giustifica il licenziamento
disciplinare, stante la fonte legale della nozione di giusta causa o di giustificato
motivo soggettivo, deve essere effettuato in ogni caso un accertamento in
concreto – da parte del giudice del merito – della reale entità e gravità del
comportamento addebitato al dipendente nonché del rapporto di proporzionalità
tra sanzione e infrazione, occorrendo sempre che la condotta sanzionata sia
riconducibile alla nozione legale, tenendo conto della gravità del
comportamento del lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o
del dolo, con valutazione in senso accentuativo rispetto alla regola generale
della “non scarsa importanza” dettata dall’art.
1455 c.c. (v., tra molte, Cass. n. 8826 del
2017; Cass. n. 14063 del 23/05/2019, Cass. n. 13865 del 22/05/2019, Cass. n. 18195 del 05/07/2019).
Dalla natura legale della nozione deriva
simmetricamente che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di
licenziamento contenuta nei contratti collettivi abbia valenza meramente
esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma valutazione del giudice di
merito in ordine all’idoneità di un grave inadempimento, o di un grave
comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del
comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di
lavoro e lavoratore (Cass. n. 2830 del 2016; Cass. n. 4060 del 2011; Cass. n. 5372 del 2004;
v. pure Cass. n. 27004 del 2018).
All’opposto la contrattazione collettiva vincola in
senso favorevole al dipendente.
Infatti, ove le previsioni del contratto collettivo
siano più favorevoli al lavoratore – nel senso che la condotta addebitata quale
causa del licenziamento sia contemplata come infrazione sanzionabile con misura
conservativa – il giudice non può ritenere legittimo il recesso, dovendosi
attribuire prevalenza alla valutazione di minore gravità di quel peculiare
comportamento, come illecito disciplinare di grado inferiore, compiuta
dall’autonomia collettiva nella graduazione delle mancanze disciplinari (v. tra
molte, Cass. n. 8718 del 2017; Cass. n. 9223 del
2015; Cass. n. 13353 del 2011; Cass. n. 19053 del 2005; Cass. n. 5103 del 1998;
Cass. n. 1173 del 1996, la quale ultima eccettua il caso in cui si accerti che
le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità
della sanzione espulsiva).
Tali rapporti tra tipizzazioni della disciplina
collettiva e fatti posti a base del licenziamento disciplinare incidono anche
sui confini del sindacato di legittimità ove si controverta di giusta causa o
di giustificato motivo di recesso (su cui, in generale, v. Cass. nn. 17166 e 18715
del 2016 e, in continuità, Cass. n. 4125 del
2017 e Cass. n. 1379 del 2019).
5. Applicando i suddetti principi nel caso di
specie, non appare riscontrabile il vizio di violazione di legge, dedotto dal
ricorrente.
5.1. – In primo luogo, la quasi totalità dei profili
di doglianza proposte nell’articolato motivo, al di là del formale richiamo in
rubrica alla violazione di norme di legge e di CCNL, risultano formulate
censure volte ad ottenere da questa Corte il riesame del merito della vicenda
processuale, mentre la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito,
per effetto del nuovo testo dell’art. 360, n. 5,
cod. proc. civ., successivo alla modifica ad opera dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n.
83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n.
134, è sindacabile in sede di legittimità soltanto n quanto le censure con
esso proposte risultano prospettate secondo i criteri indicati dalle Sezioni
unite di questa Corte (cfr. Cass. 7 aprile 2014,
n. 8053 e n. 8054).
5.2. – In ogni caso è infondata la doglianza,
astrattamente riconducibile ad ipotesi di violazione di legge, con la quale il
ricorrente si duole della operazione di sussunzione del caso concreto nella fattispecie
prevista dal contratto collettivo, art.
45 Allegato A) al R.D. n. 148/1931 Ed infatti la corte territoriale non si
è limitata a ricostruire il fatto come sovrapponibile a tale previsione, valorizzando
il concetto penalistico di appropriazione inteso come condotta di disporre del
bene uti domini, ma ha anche operato in concreto (cfr. pag 20-21) un vaglio di
proporzionalità, valorizzando le circostanze oggettive e soggettive del fatto
(ossia che il ricorrente, per non essere scoperto, avesse omesso l’annotazione
dei km percorsi sui fogli di corsa) e ritenendo irrilevanti le giustificazioni
fornite, circa la non gravità del fatto o la sua tollerabilità (tenuto conto
delle condotte omissive) e circa le necessità di accudimento del figlio
(delegato ad altri durante le ore lavorative) e circa il malore che lo colpì
(diagnosticato solo in orario a fine servizio), conformemente alla richiamata
giurisprudenza di questa corte (Cass. n. 8826 del
2017; Cass. n. 14063 del 23/05/2019, Cass. n. 13865 del 22/05/2019, Cass. n. 18195 del 05/07/2019).
6. Per tutte le considerarsi finora svolte, il
ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali che liquida in euro 4000,00 per compensi
professionali, euro 200,00 per spese, oltre spese generali nella misura del
15%, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.