La parziale omissione del versamento dei contributi da parte del professionista non comporta la perdita o la riduzione dell’anzianità contributiva ai fini della pensione di vecchiaia.
Nota a Cass. 21 novembre 2019, n. 30421
Giuseppe Catanzaro
In caso di omissione parziale del versamento dei contributi del libero professionista non si configura una corrispondente perdita o riduzione dell’anzianità contributiva ai fini della pensione di vecchiaia e dell’effettività di iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense (d’ora in poi Cassa).
Il principio è sancito dalla Corte di Cassazione 21 novembre 2019, n. 30421 (conforme a App. Roma 5 febbraio 2014 ed a Trib. Roma n. 5672/2012; v. anche Cass. n. 5672/2012) sul presupposto che la disciplina legislativa in materia di previdenza dei liberi professionisti (art. 2, L. n. 576/1980, come sostituito dall’art. 1, L. n. 141/1992, art. 1) contempla solo il pagamento di somme aggiuntive.
È vero, rileva la Corte, che l’art. 2, L. n. 576/1980, cit. fa riferimento all’iscrizione effettiva, prevedendo che la pensione di vecchiaia “è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, all’1,75 per cento della media dei più elevati dieci redditi professionali…”. Tuttavia, il termine “effettivo” non sta a significare che la contribuzione deve essere “integrale”, “in quanto la comune accezione del termine non fa alcun riferimento ad una ‘misura’”, ma indica soltanto che la pensione si commisura sulla base della contribuzione effettivamente versata, escludendo così ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione (diversamente da quanto avviene per il lavoro dipendente).
La Cassazione precisa che: a) l’obbligo contributivo gravante sul professionista si compone di un contributo soggettivo (art. 10, L. n. 576/1980) “commisurato al reddito Irpef e determinato sulla base di scaglioni di reddito, con una misura minima predeterminata ed un contributo integrativo (art. 11) ossia una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ai fini dell’IVA”; b) la legge non dispone che, qualora i versamenti siano inferiori ad una determinata soglia, l’annualità non possa essere accreditata; c) “non vi è quindi la regola del c.d. minimale per la pensionabilità, come invece previsto per i lavoratori dipendenti” ( art. 7, L. n. 638/1983).
Ciò vale anche se nella legge professionale manca una norma che ricolleghi alla parziale omissione contributiva l’annullamento sia di quanto versato, sia dell’intera annualità. Con la conseguenza che “si finisce con il computare sia ai fini della anzianità contributiva prescritta, sia ai fini della misura della pensione, anche gli anni in cui si è versato meno del dovuto e che detto minore versamento potrebbe anche non influire sull’ammontare della prestazione, andando così a scapito della Cassa, dal momento che allo scopo, come si è detto; rileva la media dei 10 redditi professionali più elevati di cui alle dichiarazioni dei redditi del quindicennio anteriore alla pensione” (v. Cass. n. 7621/2015 e n. 26962/2013).
Si potrebbe obiettare che sia sufficiente il versamento di un minimo contributo perché il professionista si veda conteggiato l’intero anno di contribuzione, “con conseguenti riflessi negativi sull’intera categoria dei professionisti iscritti, e ciò in aperta contraddizione con la logica della previdenza professionale, improntata a principi solidaristici”.
Tuttavia, i giudici osservano che la minore contribuzione versata potrebbe influire sull’ammontare della prestazione (come dinanzi rilevato in merito alle modalità di calcolo della pensione) e che la mancanza, per le libere professioni, di una disposizione che espressamente preveda, in caso di parziale omissione, l’annullamento della contribuzione versata e della relativa annualità “è frutto di una patologia del sistema, superabile attraverso l’adozione di più rigorosi controlli sulle comunicazioni e sulle dichiarazioni inviate dagli iscritti, al fine di procedere tempestivamente al recupero di quanto dovuto e non versato, in un’ottica di prevalenza dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici rispetto a quella dell’esatta corrispondenza, senza limiti di tempo, delle annualità oggetto di contribuzione rispetto a quelle computabili ai fini pensionistici, che pertanto non appare collidere con il principio di uguaglianza, né ledere il principio di solidarietà che impronta il sistema previdenziale”.