Un’organizzazione dell’orario di lavoro che crea particolare svantaggio ai genitori lavoratori e in particolare alle lavoratrici madri costituisce discriminazione indiretta.
Nota a Trib. Firenze 22 ottobre 2019, n. 1414
Flavia Durval
Il concetto di discriminazione indiretta è stato analizzato dal Tribunale di Firenze (22 ottobre 2019, n. 1414) in seguito al ricorso della Consigliera di parità della Regione Toscana che ha convenuto in giudizio l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Firenze e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro per l’accertamento della natura discriminatoria di due Ordini di servizio adottati dall’Ispettorato Territoriale del lavoro di Firenze per la disciplina dell’orario di lavoro del personale, in violazione della normativa in materia di parità, pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni (v. art. 37, co. 4, D.LGS. n. 198/2006).
Nello specifico, i giudici hanno chiarito che:
1) si è in presenza di una discriminazione indiretta “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere le persone appartenenti alle categorie tipizzate (i.e. portatrici dei fattori di rischio tipici) in una situazione di particolare svantaggio, a meno che non sussistano una finalità legittima e il carattere di appropriatezza e necessità dei mezzi impiegati per conseguirla” (v. art. 25, co. 2, D.LGS. n. 198/2006);
2) pertanto, la discriminazione indiretta va ricercata non nel trattamento (che è uguale), ma negli effetti;
3) per individuare la condotta vietata ciò che rileva è soltanto l’effetto del trattamento discriminatorio, la sua conseguenza sul piano oggettivo, mentre per l’individuazione della condotta vietata e delle cause di esclusione della fattispecie illecita l’intento soggettivo dell’agente è del tutto irrilevante. In sintesi, la discriminazione è una “condotta oggettiva che si valuta per gli effetti lesivi”;
4) inoltre, si configura una discriminazione indiretta quando una disposizione contiene anche solo il rischio di mettere in posizione di svantaggio particolari categorie tipizzate nei confronti di un fattore di discriminazione.
Legenda
art. 25, co. 2, D.LGS. n. 198/2006
“Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”.
art. 37, co. 4. D.LGS. n. 198/2006
“…….la consigliera o il consigliere regionale e nazionale di parità possono proporre ricorso in via d’urgenza davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti. Il Tribunale in funzione di giudice del lavoro adito, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, ove ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, con decreto motivato e immediatamente esecutivo oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina all’autore della discriminazione la cessazione del comportamento pregiudizievole e adotta ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti delle discriminazioni accertate, ivi compreso l’ordine di definizione ed attuazione da parte del responsabile di un piano di rimozione delle medesime. Si applicano in tal caso le disposizioni del comma 3. Contro il decreto è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione avanti alla medesima autorità giudiziaria territorialmente competente, che decide con sentenza immediatamente esecutiva. La tutela davanti al giudice amministrativo e’ disciplinata dall’articolo 119 del codice del processo amministrativo”.