Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 gennaio 2020, n. 1396
Rapporto di lavoro, Natura subordinata, Accertamento,
Farmacia, Rapporto sociale fra socio accomandante e soci accomandatari
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Milano, con sentenza n.
1196/14, confermava la sentenza del Giudice del lavoro del locale Tribunale che
aveva rigettato la domanda proposta dalla dott.ssa R.P. per l’accertamento
della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la società
“G. s.a.s. dei dottori N.B., L.W.S., M.P. e A.C. & C.”, titolare
della “Farmacia B.”, di cui la ricorrente aveva svolto funzioni di
direttrice, nonché per l’accertamento della prosecuzione del rapporto con la
dott.ssa M.S., acquirente del ramo di azienda “Farmacia B.”.
2. La Corte di appello riferiva che, secondo
l’accertamento operato dal primo giudice, la società convenuta era proprietaria
di tre farmacie e le gestiva ai sensi dell’art. 4 legge 362 del 1991; la
ricorrente aveva acquistato una quota sociale e aveva altresì assunto la carica
di direttore responsabile della “Farmacia B.”, in applicazione dell’art. 3 della stessa legge, con
corrispettivo annuo di euro 45.900,00; in concomitanza con tale ruolo la
società le aveva rilasciato una procura speciale per la gestione amministrativa
della farmacia e precisamente per la gestione del personale, delle ricette
rimborsabili, degli adempimenti contabili, dei rapporti con istituti di
credito, del laboratorio galenico e degli ordini di acquisto dai fornitori e
dai grossisti; a fronte di tale ruolo, di primaria importanza, la ricorrente
nulla aveva dedotto circa la sussistenza di una etero-direzione, intesa come
assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro;
viceversa, dalla documentazione era emerso che la farmacia era gestita in
assoluta autonomia ed erano carenti i requisiti presuntivi della sussistenza di
un rapporto di lavoro subordinato.
3. Le censure svolte dalla P. in appello, per Quanto
ancora qui rileva, vertevano sulla carente disamina del rapporto sociale tra
l’appellante, socio accomandante, e i soci accomandatari. Ad avviso
dell’appellante, questi ultimi dovevano essere considerati, oltre che amministratori,
altresì datori di lavoro ai sensi dell’art. 2094
cod. civ..
3.1. Nel rigettare le censure mosse dall’appellante
alla sentenza di primo grado, la Corte di appello osservava, in sintesi, quanto
segue:
– a norma della legge
n. 362 del 1991, ben può una società di persone avere come oggetto
esclusivo la gestione di farmacie e in tal caso i soci sono farmacisti iscritti
all’albo e la direzione della farmacia gestita dalla società deve essere
affidata ad uno dei soci che ne è responsabile (art. 7);
– secondo la giurisprudenza di legittimità, nelle
società di persone un rapporto di natura subordinata è ravvisabile sempre che
le prestazioni del socio non integrino un conferimento previsto al contratto
sociale e che l’attività lavorativa sia prestata sotto il controllo gerarchico
di un altro socio munito di poteri di supremazia, mentre nel caso in esame la
prestazione della socia P. “integrava un conferimento previsto dal
contratto sociale”;
– anche a volere accedere alla tesi dell’appellante
secondo cui al rapporto associativo si affiancava un rapporto di lavoro,
quest’ultimo non potrebbe che essere inquadrato come una collaborazione
coordinata e continuativa, in quanto, come già affermato dal primo giudice, la
procura speciale evidenziava il conferimento alla ricorrente di poteri di
gestione, denotando ampia autonomia; tra l’altro la direttrice decideva i
propri periodi di ferie, salvo un mero obbligo di comunicazione e le buste paga
recavano il titolo “co.co.co” e “compenso parasubordinato”,
– tale qualificazione sarebbe pure compatibile con
la disciplina introdotta dal d.lgs.
276 del 2003 (art. 61), in quanto vertente in ipotesi di professione
intellettuale per l’esercizio della quale è richiesta l’iscrizione all’albo
professionale, come è per un farmacista;
– a fronte di ciò, l’incarico affidato per la
direzione della farmacia, per potere essere qualificato come lavoro
subordinato, avrebbe richiesto la prova degli elementi differenziali rispetto
alla fattispecie della collaborazione coordinata e continuativa.
4. Per la cassazione di tale sentenza R.P. proponeva
ricorso affidato a cinque motivi, illustrati da memoria.
5. Resisteva con controricorso la società G. s.a.s.
dei dottori N.B., L.W.S. e A.C. & C.. Rimaneva intimata la dott.ssa M.S..
L’INPS non svolgeva attività difensiva.
6. Il ricorso, inizialmente fissato per l’adunanza
del 20 giugno 2019, era rinviato a nuovo ruolo per la fissazione in pubblica
udienza, non avendo il Collegio ravvisato i presupposti per la trattazione in
sede camerale.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia errata
applicazione degli artt. 2313, 2315, 2320 e 2322 cod. civ. (art.
360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) per
incompatibilità tra socio accomandante e socio d’opera.
Si contesta l’argomentazione della sentenza secondo
cui l’apporto della P. era qualificabile come conferimento del socio d’opera,
atteso che per il combinato disposto di cui agli artt.
2333, 2320 e 2323
cod. civ. il socio accomandante non può conferire in società la propria
opera. In realtà i soci accomandanti, come la P., avevano conferito un modesto
apporto in capitale, pari al 2,5% della partecipazione, puramente simbolico e
solo finalizzato ad attribuire al socio accomandante farmacista l’incarico di
direttore della farmacia.
2.Il secondo motivo denuncia falsa applicazione
degli artt. 7 e 8 legge n. 362 del
1991, in relazione agli artt. 2295 e 2315 cod. civ. (art.
360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) per avere
la sentenza desunto la qualità di socio d’opera dalla assunzione della
direzione della farmacia, mentre il conferimento d’ opera quale nascente dagli
obblighi sociali deve risultare espressamente dall’atto costitutivo. Dall’esame
dell’atto del 28 maggio 2008 poteva evincersi che la P. era divenuta socio della
G. s.a.s. conferendo esclusivamente una somma di denaro di 250,00 euro, pari al
2,5% del capitale sociale.
3. Il terzo motivo denuncia omesso esame dell’atto
costitutivo della società G., come modificato con scrittura privata autenticata
del 28 maggio 2008 (art. 360, primo comma, n. 5
cod. proc. civ.), recante la specifica
indicazione di un conferimento in denaro e non un conferimento d’opera avente
ad oggetto la direzione della farmacia.
4. Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 2320 cod. civ. in relazione all’art. 2094 cod. civ. e in relazione all’art. 409 cod. proc. civ.
(art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.). Si deduce che nella società in accomandita
semplice (art. 2320 cod. civ.) il socio
accomandante deve prestare la propria opera sotto la direzione degli
amministratori, ossia sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di
potere di supremazia e che la figura del socio accomandate non è stata
modificata dalla legge n. 362 del 1991.
5. Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 2094 cod. civ. in relazione all’art. 2320 cod. civ. e agli artt. 7 e 8 legge n. 362 del 1991
(art. 360 n. 3 c.p.c.)
ribadendosi che la sottoposizione a direzione è sinonimo di subordinazione.
6. Il ricorso presenta profili di inammissibilità,
il cui rilievo ha carattere pregiudiziale.
7. Quanto alla disciplina che regola la fattispecie
e alla soluzione interpretativa seguita dal giudice di appello, vanno svolte
alcune premesse.
7.1. A norma dell’art. 7 della legge 362 del 1991
sul riordino del settore farmaceutico, nel testo che regola ratione
temporis la fattispecie, “La titolarità
dell’esercizio della farmacia privata è riservata a persone fisiche, in
conformità alle disposizioni vigenti, a società di persone ed a società
cooperative a responsabilità limitata” (primo comma); “Le società di
cui al comma 1 hanno come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia. Sono
soci della società farmacisti iscritti all’albo ((…)) in possesso del
requisito dell’idoneità previsto dall’articolo 12 della legge 2 aprile
1968, n. 475, e successive modificazioni (secondo comma). “La
direzione della farmacia gestita dalla società è affidata ad uno dei soci che
ne è responsabile” (comma 3). L’art. 8 regola le incompatibilità
stabilendo che “la partecipazione alle società di cui all’articolo 7,
salvo il caso di cui ai commi 9 e 10 di tale articolo, è incompatibile ….c)
con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato ” (primo comma).
Dunque, a norma del comma 2 dell’art. 7, i soci
della società di persone che gestisce una farmacia possono essere solo
farmacisti iscritti all’albo in possesso del requisito dell’idoneità previsto
dall’articolo 12 della legge 2
aprile 1968, n. 475 e successive modificazioni. Ai sensi del comma 3
dell’art. 7, la direzione della farmacia deve essere affidata “ad uno dei
soci che ne è il responsabile”.
8. La Corte di appello ha accertato, in punto di
fatto, che la dott.ssa P., farmacista, era socia accomandante; aveva acquistato
una quota del valore nominale di euro 250,00 della società G. s.a.s.; alla
stessa era stata conferita la direzione della farmacia B. di Milano; per
l’attività da svolgere in qualità di direttore sanitario le era stato
attribuito un compenso annuo lordo di euro 45.000.
8.1. In punto di diritto, la sentenza ha richiamato
l’orientamento interpretativo di questa Corte secondo cui, con riguardo alle
società di persone, è configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra la
società e uno dei soci sempreché la prestazione del socio non integri un conferimento
previsto dal contratto sociale e l’attività lavorativa sia prestata sotto il
controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia. Il
compimento di atti di gestione o la partecipazione alle scelte più o meno
importanti per la vita della società non sono, in linea di principio,
incompatibili con la suddetta configurabilità, sicché, anche quando essi
ricorrano, è comunque necessario verificare la sussistenza delle suddette due
condizioni (Cass. n. 23129 del 2010
; v. pure Cass. 14906 del 2010 e Cass. n. 216 del 1999, v. in precedenza Cass. n. 1099 del 1987).
8.2. Muovendo da tale orientamento, la Corte di appello
ha confermato quanto già ritenuto dal giudice di primo grado, ossia che non
fossero presenti nella fattispecie i tratti qualificanti del lavoro
subordinato.
9. La contestazione di parte ricorrente si incentra
sul passaggio argomentativo in cui la sentenza ha affermato che la prestazione
resa dalla dott.ssa P. quale direttrice della farmacia integrerebbe un
conferimento d’opera.
9.1. Il ricorso sembra evocare la tesi dottrinale
secondo cui un socio accomandante non può essere socio d’opera, perché l’art. 2322 cod. civ. presuppone la fungibilità del
conferimento, il che non è ammissibile per la prestazione d’opera (art. 2315 cod. civ. in relazione all’art. 2322 cod. civ.). Muovendo da tale assunto,
argomenta che la prestazione fornita dalla P., non potendo costituire un
conferimento d’opera, inammissibile in capo al socio accomandante, dovrebbe
necessariamente configurare una prestazione di lavoro subordinato, avendo i
soci accomandatari il potere direttivo della società di persone.
9.2. Osserva il Collegio che il passaggio
argomentativo specificamente censurato non costituisce l’unico argomento su cui
si fonda la decisione, poiché la ratio decidendi è
sorretta dalla considerazione, decisiva in punto di diritto e non
specificamente censurata e come tale sufficiente a sorreggere il decisum, secondo cui nulla aveva dedotto la dott.ssa P.
circa la sussistenza della etero-direzione, intesa come assoggettamento al
potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Al contrario, era
positivamente emerso che la farmacia era gestita in assoluta autonomia dalla
odierna ricorrente ed erano totalmente carenti i requisiti presuntivi della
sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
10. La sentenza, quindi, nel richiamare
l’orientamento espresso da questa Corte in tema di società di persone, ne ha
valorizzato anche il passaggio secondo cui, in ogni caso, il compimento di atti
di gestione o la partecipazione alle scelte più o meno importanti per la vita
della società non sono, in linea di principio, incompatibili con la
configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, ma a tal fine è comunque
necessario verificare che l’attività lavorativa sia prestata sotto il controllo
gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia.
10.1. A tal proposito, va rilevato che non sono
stati specificamente contestati né la ricostruzione in fatto della prestazione
lavorativa come risultante dalla sentenza impugnata, né l’applicabilità del
riferito orientamento giurisprudenziale alla fattispecie, né la compatibilità
della relativa ricostruzione in fatto e in diritto con la peculiarità della
gestione di una farmacia da parte di un socio farmacista, ove la titolarità
della stessa sia in capo ad una società di persone.
11. A ciò aggiungasi che
non è stato neppure specificamente censurato l’ulteriore passaggio
motivazionale, contenente una precisa qualificazione della fattispecie, in cui
si è affermato che, oltre al difetto di allegazione e di prova dei tratti
qualificanti della subordinazione, in ogni caso il rapporto lavorativo, ove
ritenuto distinto da quello associativo, sarebbe inquadrabile come una
collaborazione coordinata e continuativa e, così qualificata, la fattispecie
non incontrerebbe neppure i limiti di cui al d.lgs.
276 del 2003, poiché riguarderebbe una delle “…professioni
intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi
Albi professionali…” (art. 61).
12. Il ricorso dunque non si confronta con il decisum, inteso nel complesso argomentativo su cui la
sentenza si fonda, non potendo da tale complesso estrapolarsi uno dei passaggi
in sé non decisivo, né potendo genericamente opporsi la qualità di socio
accomandante per ritenere in sé provata la natura subordinata del rapporto di
lavoro.
12.1. Il motivo d’impugnazione è costituito
dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione é
erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a
tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso,
la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per
inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione,
risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità
ai sensi dell’art. 366, primo comma n. 4 cod. proc. civ. (Cass. n. 17330
del 2015). Con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a
riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente
disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da
quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della
propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata, come tale
inammissibile ex art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. (cfr. Cass. 22478
del 2018).
13. In conclusione, il ricorso va dichiarato
inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento, in favore della
società resistente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella
misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre
spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la
prestazione, ai sensi dell’art. 2
del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Nulla va disposto quanto alle spese nei
confronti della dott.ssa M.S. e dell’INPS, che non hanno svolto attività
difensiva.
14. Va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, della legge
24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13
(v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 200,00 per esborsi e
in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali e
accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso, a norma del comma
1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.