Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 gennaio 2020, n. 1389

Società Cooperativa Agricola, Prescrizione dei crediti
azionati, Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, Mansioni
superiori alla qualifica di inquadramento, Differenze retributive

Rilevato che

 

1. il Tribunale di Lecce dichiarava
l’improcedibilità della domanda proposta da S. M. relativa al riconoscimento di
mansioni superiori espletate dal predetto dalla data di assunzione al 31.3.1981
presso la società Cooperativa Agricola S. e dichiarava la prescrizione dei
crediti azionati in relazione al periodo ultraquinquennale antecedente la
notifica del ricorso;

2. con sentenza non definitiva del 15.7.2014, la
Corte d’appello di Lecce, rigettato il gravame incidentale della società, accoglieva
quello principale del M. per quanto di ragione, accertando la sussistenza di un
rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della Cooperativa appellata dal
15.11.1973 al 30.6.2004, con mansioni, dall’inizio dello stesso al 15.5.1981,
di impiegato di concetto di seconda categoria e, a partire dal 16.5.1981, con
mansioni di impiegato di concetto di prima categoria secondo il c.c.n.I. di
riferimento, con orario lavorativo medio per tre mesi all’anno dalle 6,00 alle
13,00 e dalle 14,00 alle 21,00 dal lunedì al sabato e la domenica dalle 8,00
alle 13,00, e normale orario lavorativo negli altri mesi. Dichiarava il diritto
del M. alle relative differenze retributive ed allo straordinario, detratte
lire 3.000.000 all’anno per tre anni, condannando la Cooperativa al pagamento,
in favore del predetto, della somma dovuta, oltre accessori come per legge,
somma la cui determinazione era demandata alla c.t.u. disposta con contestuale
ordinanza, con dichiarazione di prescrizione dei crediti risalenti a più di un
quinquennio rispetto alla data del 30.3.2005;

2.1. la Corte territoriale rilevava che la istanza
di conciliazione del 17.11.2006 fosse sufficientemente determinata con riguardo
alla richiesta di differenze retributive per mansioni superiori alla qualifica
di inquadramento svolte dalla data di assunzione al 31.3.1981 e che l’art. 410 c.p.c. non prevedeva che vi fosse piena
corrispondenza tra il contenuto della comunicazione per il tentativo di
conciliazione ed il contenuto della domanda giudiziale, sicché la domanda
doveva considerarsi procedibile in ordine al periodo intercorrente tra
l’assunzione del 15.11.1973 sino al 31.3.1981;

2.2. quanto alla prescrizione dei crediti relativi
al periodo ultraquinquennale antecedente la notifica del ricorso introduttivo,
premesso che doveva condividersi la valutazione del Tribunale quanto alla
natura agricola dell’impresa cooperativa, la Corte del merito riteneva che il
requisito occupazionale, ai fini della decorrenza dei crediti maturati in corso
di rapporto – ritenuta dal Tribunale -, andasse accertato sulla base del
criterio della normale occupazione e che il riferimento al criterio medio
statistico, in ipotesi di ricorso al contratto a termine o al part time
verticale, consentiva di pervenire alla conclusione che la Cooperativa aveva
avuto alle dipendenze in media più di cinque dipendenti, considerata la
notevole rilevanza delle dimensioni dell’azienda e che in conseguenza il posto
di lavoro era garantito da stabilità reale, con decorrenza dei termini
prescrizionali in costanza di rapporto. Gli atti interruttivi richiamati dal M.
non avevano una tale valenza, laddove poteva essere considerata utile ai detti
fini la ricezione della istanza di conciliazione, che interrompeva la prescrizione
sospendendone il decorso del termine;

2.3. in ordine all’inquadramento del M., la Corte,
alla stregua degli elementi confermati dai testi escussi, perveniva alle
conclusioni sopra indicate, con distinzione delle qualifiche per i successivi
periodi e determinazione dell’orario di lavoro svolto;

2.4. veniva, invece, respinto l’appello incidentale
della società teso ad ottenere la detrazione di voci opposte in compensazione
rispetto alle quali non vi era stata alcuna contestazione circa la relativa
spettanza, con la conseguenza che i relativi compensi andavano considerati come
ormai facenti parte del patrimonio del lavoratore e non più recuperabili;

3. con sentenza definitiva del 5.8.2015, la Corte di
Lecce condannava la Cooperativa al pagamento di € 38.364,46, oltre accessori di
legge;

4. di tali decisioni domanda la cassazione la
società cooperativa con ricorso principale, affidato a quattro motivi, cui
resiste, con controricorso il M., che propone ricorso incidentale, fondato su
unico motivo.

 

Considerato che

 

Ricorso principale

1. Con il primo motivo, la società denunzia
violazione e falsa applicazione degli artt. 410 – 412 bis c.p.c.ante riforma del 2010, ex lege n. 183 in
tema di obbligatorietà del tentativo di conciliazione, assumendo che l’istanza
proposta dal M. a seguito della sospensione del giudizio pendente, ex art. 412 bis c.p.c., proprio per i l’omissione
iniziale del tentativo obbligatorio di conciliazione, non conteneva alcun
riferimento alla questione del demansionamento, ovvero del difetto di
inquadramento rispetto alle effettive mansioni ricoperte dal dipendente;

2. con il secondo motivo, la ricorrente lamenta
violazione e falsa applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro di
settore con riguardo all’inquadramento del M. in dipendenza delle mansioni
effettivamente svolte, in relazione all’art. 360,
n. 3, c.p.c.: adduce che la valutazione delle risultanze istruttorie
avrebbe dovuto indurre la Corte a non discostarsi dalla decisione di primo
grado, non essendo risultata provata la sussistenza delle peculiari
caratteristiche del livello superiore reclamato, ossia i poteri propri del
Dirigente, in quanto le mansioni svolte erano risultate compatibili con il
livello di impiegato di concetto assegnato al lavoratore;

3. con il terzo motivo, si ascrive alla decisione
impugnata omesso esame circa fatti decisivi del giudizio che sono stati oggetto
di discussione, in relazione all’art. 360, n. 5,
c.p.c., contestandosi la motivazione di rigetto dell’appello incidentale in
relazione alla irripetibilità di somme entrate nel patrimonio del lavoratore ed
asseritamente non dovute ed il diniego di rinnovo della consulenza tecnica
d’ufficio in relazione alla dedotta mancata considerazione degli importi
corrisposti al lavoratore;

4. il quarto motivo attiene alla dedotta violazione
e falsa applicazione del disposto dell’art. 92
c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.,
quanto alla disposta condanna alle spese della società;

5. la censura articolata con il primo motivo pecca
di specificità, perché non viene trascritto il testo dell’istanza per il
tentativo di conciliazione ed, in ogni caso, la questione involge questioni
interpretative della stessa che non sono poste nel presente ricorso nei termini
idonei a rendere possibile il vaglio di legittimità sollecitato;

5.1. diversa è, poi, la questione della
proponibilità della domanda in materia agraria ex I. 203/82 art. 46 co. 1 (cfr.,
da ultimo Cass. 16281/19), sicché ogni analogia risulta inconferente ai fini
considerati, a prescindere dalle affermazioni contenute nella decisione
impugnata, che non incidono sulla ratio deciderteli;

6. inammissibile è anche la doglianza espressa con
il secondo motivo, in quanto, in primo luogo, non si riporta il contenuto delle
declaratorie contrattuali, anche qui peccandosi per mancanza di specificità del
motivo, e peraltro, l’esame compiuto dal giudice di secondo grado si sottrae
alle censure che gli sono state mosse con il motivo in esame, atteso che: a) la
Corte ha valutato concretamente e in maniera compiuta le attività svolte dal
lavoratore; b) ha fatto espresso riferimento alle declaratorie contrattuali
delle categorie a confronto, già oggetto di richiamo da parte del Tribunale
nella sentenza oggetto di gravame; c) ha dimostrato di avere ben presenti i
tratti differenziali che distinguono le qualifiche ed i livelli rispetto alla
categoria impiegatizia di concetto di seconda categoria nel primo periodo e di
prima categoria nel secondo;

6.1. la Corte territoriale ha posto in rilievo, con
motivazione adeguata ed esente da vizi logici, l’insieme dei caratteri idonei a
giustificare l’inquadramento superiore, in particolare richiamando i tratti di
elevata responsabilità professionale caratterizzante l’appartenenza al livello
impiegatizio di prima categoria, rilevando non solo il potere di controfirma
degli atti (rispetto alla cui contestazione non è trascritto il contenuto del
verbale della deliberazione del C.d.A. del 12.4.1990, pure richiamato), quanto
a “ulteriori poteri e responsabilità circa I'”assunzione e gestione
di manodopera, predisposizione dei turni di lavorazione, gestione e vendita dei
titoli di stato per conto della Cooperativa”;

6.2. al cospetto di tale esaustivo quadro
ricostruttivo, la doglianza non è idonea a scalfire l’esito dell’esame
correttamente eseguito dalla Corte del merito;

7. va disatteso anche il terzo motivo del ricorso
principale, dovendo essere ribadita l’inconfigurabilità della denunciata
omissione di esame di alcun fatto storico, tanto meno decisivo, per la pluralità
di fatti censurati (di palese negazione ex se del requisito di decisività: Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28.11.2018,
n. 13625), al di fuori del paradigma devolutivo e deduttivo del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10
febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015,
n. 21439), avendo la doglianza piuttosto il carattere di una (inammissibile)
contestazione della valutazione probatoria della Corte di merito (cfr. Cass.
13568/2018);

7.1. non si trascrivono, poi, neanche i passaggi
della relazione della CTU su cui si incentra la censura e quelli relativi alle
contestazioni mosse alla stessa, non consentendosi a questa Corte di valutare i
termini del dissenso, che peraltro rifluisce in critiche di puro merito;

8. infine, quanto all’ultima critica rivolta con il
ricorso principale, non risultano disattesi i principi in materia di
regolazione delle spese di lite: ed invero, ai fini della compensazione totale
delle spese processuali non è sufficiente né la mancata opposizione alla
domanda da parte del convenuto né la mera riduzione della domanda operata dal
giudice in sede decisoria, permanendo comunque la sostanziale soccombenza della
controparte che dev’essere adeguatamente riconosciuta sotto il profilo della
suddivisione del carico delle spese (cfr. Cass. 23.1.2012 n. 901);

9. quanto all’inibitoria richiesta nel ricorso
principale, con riguardo alla sospensione dell’esecuzione della sentenza
d’appello impugnata è sufficiente rilevarne l’inammissibilità della richiesta,
posto che l’art. 373, 1° comma, 2° parte, prevede che “il giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora
dall’esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno, disporre con
ordinanza non impugnabile, che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata
congrua cauzione”;

Ricorso incidentale:

10. si assume la violazione e/o falsa applicazione art. 18 dello Statuto dei
Lavoratori, in relazione al requisito dimensionale prescritto per la tutela
reale, ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.,
rilevandosi l’erroneità del calcolo dei dipendenti riferito alla media di
cinque lavoratori nell’arco di ciascun anno;

11. il motivo è infondato;

11.1. la Corte ha ritenuto la computabilità dei
lavoratori assunti a termine, ma ha fatto riferimento alla specifica
fattispecie esaminata, caratterizzata dalla variabilità del numero di
assunzioni a termine, in consonanza con l’insegnamento giurisprudenziale di
legittimità secondo cui la decisione sulla consistenza del livello
occupazionale è frutto di una valutazione di fatto, di esclusiva competenza del
Giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità se basata su una
motivazione congrua e priva di vizi logici (così Cass. 8.11.2001 n. 6421
richiamata da Cass. 5.10.2006 n. 21407, Cass. 14.12.2010 n. 25249, Cass.
10.2.2004 n. 2546). Il calcolo della media annuale non risulta fondato sullo
stretto computo matematico indicato in ricorso (1 dipendente a tempo
indeterminato (ricorrente) x 12 mesi + 5 operai x 7 mesi + 1 impiegato
amministrativo x 7 mesi : 12 = 4,5), ma si basa anche sulla considerazione
della dimensione dell’azienda che rendeva necessaria la presenza durante la
campagna olearia di un certo numero di dipendenti;

11.2. in definitiva, il provvedimento impugnato ha
deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte
di cassazione, essendo stato il fatto idoneamente scandagliato e rivelandosi
corretto il il principio di diritto applicato;

12. vanno, per quanto detto, respinti entrambi i
ricorsi;

13. le spese del giudizio di legittimità vanno
compensate, avuto riguardo alla reciproca soccombenza;

14. ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115
del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso principale e di quello incidentale, a norma del comma 1 bis
dello stesso art. 13;

 

P.Q.M.

 

Rigetta entrambi i ricorsi e compensa tra le parti
le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 M. 2002 art. 13, comma 1
quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso
principale e per il ricorso incidentale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato
D.P.R., ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 gennaio 2020, n. 1389
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