Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 gennaio 2020, n. 1392
Commessa addetta alla vendita, Società in liquidazione,
Differenze retributive, Prova testimoniale
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 19.1.2012 il tribunale di Vallo
della Lucania, in funzione di giudice del lavoro, rigettava la domanda di F. V.
che, premesso di aver svolto mansioni di commessa addetta alla vendita alle
dipendenze della società N. C. & C. s.r.l. in liquidazione, assumeva di
essere rimasta creditrice della somma di euro 17.012,07 a titolo di differenze
retributive, indennità sostitutiva delle ferie, ratei di 13a e 14a mensilità,
compenso per lavoro straordinario, indennità sostitutiva del preavviso e TFR.
2. Avverso la suddetta decisione F. V. proponeva
impugnazione dinanzi alla Corte di appello di Salerno. La società N. C. in
liquidazione si costituiva nel giudizio di secondo grado per resistere
all’appello della lavoratrice.
3. La Corte salernitana, integrata l’istruttoria
espletata in prime cure, con sentenza pubblicata il 12.1.2015, accoglieva
parzialmente l’appello e dichiarava tenuta la società appellata al pagamento,
in favore della lavoratrice, della somma di euro 11.545, al lordo delle
ritenute di legge, oltre accessori ai sensi dell’art.
429 cod.proc.civ., oltre alla rifusione, in favore dell’appellante, delle
spese del doppio grado del giudizio, con attribuzione al procuratore
antistatario.
4. La Corte territoriale riteneva possibile, sulla
base della giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Cass. n. 16661 del
2009), escutere testi diversi da quelli indicati nel giudizio di primo grado
quando la parte interessata abbia con l’atto introduttivo del giudizio proposto
capitoli di prova testimoniale specificamente indicando di volersi avvalere del
relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma omettendo
l’enunciazione delle generalità delle persone da escutere. Tale omissione,
secondo la Corte territoriale, non determinava decadenza dalla relativa istanza
istruttoria, ma una mera irregolarità, che abilitava il giudice, in caso della
reiterazione dell’istanza in appello, all’esercizio dei poteri officiosi di cui
all’art. 421, primo comma, cod.proc.civ.
5. Sulla base delle integrazioni istruttorie
espletate in secondo grado la Corte salernitana riteneva provata l’esistenza
del rapporto di lavoro dedotto in giudizio, la durata dello stesso e le
mansioni espletate dalla lavoratrice.
6. Relativamente al quantum debeatur, la Corte di
appello determinava la somma da riconoscere alla lavoratrice, già indicata,
sulla base dei conteggi elaborati da quest’ultima e non contestati dalla
società datrice di lavoro, con detrazione delle voci che non avevano trovato
conferma nell’istruttoria, cioè il compenso per lavoro straordinario e
domenicale e l’indennità sostitutiva delle ferie e del preavviso, per
complessivi curo 5.467,00.
7. Contro quest’ultima sentenza la società “N.
C. & C. s.r.l. in liquidazione” propone ricorso per cassazione affidato
a otto motivi, illustrati da memoria. La lavoratrice resiste con controricorso,
con il quale ella fa valere, tra l’altro, l’inammissibilità del ricorso per la
mancanza in capo alla società, estinta per cancellazione dal Registro delle
imprese già prima della firma della procura speciale ad litem per il giudizio
di legittimità dall’ex liquidatore, N. C., della capacità di stare in giudizio
e per carenza di potere di rappresentanza in capo a quest’ultimo, firmatario
della stessa procura speciale nell’unica qualità di “liquidatore”.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo la ricorrente si duole della
violazione e della falsa applicazione dell’art. 112
cod.proc.civ. e dell’art. 434, comma 1, n.
2 stesso codice, in relazione all’art. 360, comma
1, n. 3 cod.proc.civ.
2. Con il secondo motivo la società datrice di
lavoro lamenta la violazione ed errata applicazione dell’art. 414 cod.proc.civ. in materia di decadenze e
preclusioni, nonché dell’art. 437, comma 2,
cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, comma
1, n. 3 cod.proc.civ.
3. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione
ed errata applicazione di norme di diritto di cui all’art. 115 e 116
cod.proc.civ. in relazione all’art. 360
cod.proc.civ.
4. Con il quarto motivo si allega violazione ed
errata applicazione di norme di diritto di cui agli art.
115 e 116 cod.proc.civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ.
5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la
violazione ed errata applicazione dell’art. 421,
comma 1, cod.proc.civ., in relazione all’art.
360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ.
6. Con il sesto motivo, si allega la violazione e
l’errata applicazione dell’art. 416, comma 1,
cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, comma
1, n. 3 cod.proc.civ. e la violazione dell’art.
2967 cod.civ., sempre in relazione all’art.
360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ.
7. Con il settimo motivo ci si duole di
“omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” su un punto decisivo
della controversia, ai sensi dell’art. 360, comma
1, n. 5 cod.proc.civ.
8. Con l’ottavo e ultimo motivo la ricorrente
denuncia ugualmente “omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione” su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod.proc.civ.
9. Il ricorso è inammissibile.
10. Preliminare è l’esame delle questioni in tema di
capacità di stare in giudizio della ricorrente e del difetto di rappresentanza
in capo al firmatario della procura speciale per il giudizio di cassazione, N.
C..
11. Dalle visure camerali depositate dalla
controricorrente ai sensi dell’art. 372
cod.proc.civ., emerge che la società N. C. & C. s.r.l. risulta
cancellata definitivamente dal Registro delle imprese, e quindi estinta, al
14.1.2015, due giorni dopo la pubblicazione della sentenza impugnata. La
circostanza è comunque pacifica tra le parti.
12. Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno
chiarito con la sentenza n. 6070 del 2013, dopo la riforma del diritto
societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003,
che ha in particolare modificato l’art. 2495
cod.civ., qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali,
conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il
venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si
determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a)
l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe
ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i
quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione
o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o
illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non
compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai
soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle
mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora
incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto
un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato
espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi
abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento
estintivo.
13. La cancellazione della società dal registro
delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della
società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio
(con l’eccezione della fictio iuris contemplata dall’art. 10 legge fall.); pertanto,
qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la
società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con eventuale
prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della
società, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ.;
qualora l’evento non sia stato fatto constatare nei modi di legge o si sia
verificato quando farlo constatare in tali modi non sarebbe più stato
possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della
società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai
soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un
soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento
estintivo è occorso.
14. Alla fictio iuris indicata dalle Sezioni Unite
va aggiunta la prosecuzione dell’esistenza della società estinta per un
quinquennio, ma ai soli fini fiscali, per la liquidazione, accertamento,
contenzioso e riscossione di tributi, contributi, sanzioni e interessi, ai
sensi dell’art. 28, comma 4,
d.lgs. 21.11.2014, n. 175 (Cass., Ordinanza n.
19142 del 2016).
15. Una simile esegesi non è incisa, per gli effetti
che ne derivano in questa controversia, da quanto ulteriormente affermato dalle
Sezioni unite di questa Corte a proposito della c.d. ultrattività del mandato
difensivo (S. U. n. 15295 del 2014) nei giudizi in cui sia parte la persona
fisica. Non è incisa perché nella specie si discorre della legittimazione a
proporre il ricorso per cassazione. E difatti dirimente la considerazione che
il principio enunciato dalla richiamata sentenza delle Sez. un. n. 15295 del
2014, nel concludere che il procuratore della parte, ove munito di procura
valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre
impugnazione in rappresentanza della parte estinta, trova limite proprio nel ricorso
per cassazione.
E dunque non interessa ai fini della proposizione
del ricorso per cassazione per il quale è richiesta la procura speciale. Quella
procura speciale che il liquidatore della società oramai definitivamente
estinta (v. già Sez. un. n. 4060 del 2010, n. 4061 del 2010 e n.
4062 del 2010) non è legittimato a rilasciare per conto di questa, giacché
la cancellazione della società ha come effetto il venir meno del potere di
rappresentanza degli organi della liquidazione (v. Cass.
12040 del 2015; n. 22863 del 2011).
16. Consequenziale è l’inammissibilità del ricorso
per cassazione di cui trattasi. Il che dispensa la Corte dal soffermarsi sui
singoli motivi di ricorso.
17. Nella fattispecie la spendita da parte di N. C.
della qualità di liquidatore e quindi di legale rappresentante si è avuta sia
nell’intestazione del ricorso per cassazione sia nella formula di conferimento
del mandato, come apposto in calce allo stesso, ma si tratta di qualità
giuridicamente impossibile in dipendenza dell’avvenuta cancellazione. Ne segue
che, essendosi limitato il difensore officiato ad autenticare la sottoscrizione
del C., il mandato deve ritenersi essergli stato conferito da costui in
proprio. L’intervenuta cancellazione non poteva dirsi oggetto di verifica
preliminare da parte dell’avvocato che autenticava quella sottoscrizione.
Infatti non deve reputarsi, almeno di norma e salvo
che particolari condizioni o circostanze o elementi anche indiziaria — nella
specie non rilevabili — non lo attivino, corrispondere ad uno specifico dovere
professionale dell’avvocato una cautela tale da verificare costantemente o
diuturnamente la persistenza della qualità di legale rappresentante di società
rivestita da una persona fisica, mentre è onere di certo — al contrario — di
chi conferisce il mandato ben conoscere la cessata persistenza dei propri
poteri e di renderne preventivamente ed adeguatamente edotto il suo difensore.
18. Di conseguenza, l’inammissibile attività
processuale iniziata con il ricorso va riferita all’ex liquidatore della
società cancellata e a lui va fatto esclusivo carico di ogni conseguenza di
tale attività, tra cui la condanna alle spese in favore della controparte.
19. In altri termini, è il soccombente ricorrente,
in persona di chi ha firmato il ricorso inammissibile e cioè il C. in proprio,
vista la cessazione dell’esistenza del soggetto che egli ha malamente
dichiarato di rappresentare, a dover essere condannato alle spese del giudizio
di legittimità, in applicazione del seguente principio di diritto:
«nell’ipotesi di proposizione di ricorso per cassazione da parte dell’ex
rappresentante della società cancellata dal registro delle imprese, la sua
inammissibilità — derivante dalla non operatività di alcun mandato per la
peculiarità del giudizio di legittimità e comunque per la necessità che quello
sia conferito da un soggetto esistente e capace di stare in giudizio — comporta
che sia condannato alle spese in proprio il soggetto che, spendendo la
giuridicamente impossibile qualità di legale rappresentante del soggetto non
più esistente, ha conferito il mandato, ove l’avvocato si sia limitato ad
autenticare la relativa sottoscrizione» (v., mutatis mutandis, Cass. n. 12603
del 2018 (ord.).
20. Le spese sono liquidate come in dispositivo.
21. La complessiva considerazione delle circostanze
di questo caso non consiglia l’applicazione dell’art.
96 cod.proc.civ. relativo alla responsabilità aggravata.
22. Infine, va pure dare atto — senza possibilità di
valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14 marzo 2014, n. 5955; tra
molte altre: Cass. Sez. U. 27 novembre 2015, n. 24245) — della sussistenza dei
presupposti processuali per l’applicazione dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. 24
dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i
giudizi di impugnazione, se dovuto: anche stavolta, in persona del C. in
proprio, non potendosi fare carico di un pagamento ad un soggetto non più giuridicamente
esistente.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna N. C.
in proprio al pagamento delle spese processuali in favore della parte
resistente, spese liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 5.000,00 per
compensi professionali, oltre spese al 15% ed accessori di legge, da distrarsi
in favore degli avvocati M. e A. D., antistatari.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, di usi ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13, se
dovuto.