Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 gennaio 2020, n. 1238

Tributi, Stock option, Azioni assegnate ai dipendenti a
titolo gratuito, Esercizio dell’opzione, Cessione delle azioni, Plusvalenza
– Qualificazione capital gains, Esclusione, Reddito di lavoro, Tassazione
IRPEF progressiva, Legittimità

 

Rilevato che

 

1. G.M.A., G.A., M.B., D.B., F.B., G.B., S.B., S.B.,
L.B., L.B., M.C., G.C., M.C., F.C., P.C., R.C., G.C., S.C., U.D., P.D., V.D.L.,
P.D., A.W.E., U.E., G.F., P.F., A.G., S.G., L.I., A.M., M.M., R.M., F.M., M.M.,
G.N., A.N., A.O., A.P., C.P., quale erede di E.B., A.P., F.P., F.P., S.P.,
P.A.R., M.R., G.G.R., A.R., M.R., S.R., S.S., F.S., M.S., M.S.S., G.S., M.S.,
M.V., M.Z., impugnavano il silenzio rifiuto dell’Agenzia delle entrate relativo
all’istanza di rimborso della somma di € 4.484.110,00 presentata il 19-3-2010,
relativamente a versamenti di imposta effettuati in eccesso per la tassazione
della plusvalenza da stock option, erroneamente determinata. Infatti, la V.
s.p.a., quale sostituto di imposta, in data 16-1-2008 ed in data 8-2-2008 aveva
effettuato versamenti complessivi di imposta di € 6.321.860,00 per la
tassazione della plusvalenza con l’aliquota progressiva Irpef, anziché con
l’imposta sostitutiva del 12,5 % sul capitai gain (€ 1.837.750,00). Per i
ricorrenti non poteva essere applicato il d.l. 112
del 25-6-2008, che aveva regolamentato nuovamente il regime dei piani di
stock option, abolendo l’agevolazione di cui all’art. 51 comma 2 lettera g-bis d.p.r.
917/1986, ma solo a decorrere dalla sua entrata in vigore, quindi dal
25-6-2008. I piani di stock option, invece, erano stati deliberati l’1-12-2003
ed il 30-6-2006, a seguito di aumenti di capitale, anche se l’esercizio del
diritto di opzione era avvenuto il 21-12-2007. Doveva, quindi, essere
applicativa la normativa anteriore al d.l. 223/2006.

2. La Commissione tributaria provinciale di Pavia
accoglieva il ricorso e condannava l’Amministrazione alla restituzione della
somma di € 4.439.260,90, precisando che l’abrogazione di cui al s.l. 112/2008
si applicava in relazione alle azioni assegnate ai dipendenti a decorrere dalla
data di entrata in vigore della novella, quindi dal 25-6-2008, mentre si
applicava la normativa precedente alle azioni già assegnate a tale data ed in
particolare quella anteriore al d.l. 223/2006,
che non subordinava l’applicazione della normativa ad alcuna condizione.

3. L’Agenzia delle entrate proponeva appello
“ribadendo tutti i motivi esposti innanzi alla Commissione tributaria
provinciale di Pavia” (cfr. pagina 8 ricorso per cassazione).

4. La Commissione tributaria regionale della
Lombardia accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, rilevando
che il momento impositivo si era verificato quando i dipendenti avevano
esercitato il diritto di opzione il 21-12- 2007, che gli stessi avevano
contestualmente ceduto le azioni ricevute. Pertanto era applicabile la
normativa (art. 51 lettera g – bis
d.p.r. 917/1986) vigente al dicembre 2007, purché sussistessero
congiuntamente le ulteriori tre condizioni di cui al d.l.
262/06, in vigore dal 3-10-2006, convertito in legge
286/2006, dal 29-11-2006 (a.opzione da esercitare non prima della scadenza
di tre anni dalla sua attribuzione; b.la società doveva essere quotata in
mercati regolamentari; c.il beneficiario doveva mantenere per almeno i cinque
anni successivo all’esercizio dell’opzione un investimento in titoli oggetto di
opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento
dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente).Tali condizioni non
erano sussistenti al momento dell’esercizio del diritto di opzione. La sentenza
di primo grado, invece, aveva accolto il ricorso per l’assenza della
plusvalenza in quanto il valore delle azioni al momento dell’assegnazione era
rimasto identico al valore delle azioni al momento dell’offerta. Il giudice di
appello, poi, aggiungeva che i dipendenti avevano ricevuto le azioni a titolo
gratuito, sicché la somma ricevuta a titolo di corrispettivo all’atto della
cessione delle azioni non era qualificabile come capitai gains, rendendo
inapplicabile l’imposta sostitutiva del 12,5 %. L’esclusione dal reddito da
lavoro dipendente della stock option non si applicava nel caso in cui
l’assegnazione di azioni rappresentava un benefit per il dipendente che
ottenesse le azioni a titolo gratuito ed a spese della società.

5. Avverso tale sentenza propongono ricorso per
cassazione i contribuenti, depositando anche memoria scritta.

6. L’Agenzia delle entrate non ha svolto attività
difensiva ed ha presentato atto di costituzione al solo fine della eventuale
partecipazione all’udienza pubblica.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo di impugnazione i
contribuenti deducono “violazione degli artt.
111 della Costituzione comma 6, 132 c.p.c.,
comma 2, n. 4, 36 d.lgs.
546/1992 comma 2 n. 4, sentenza priva di motivazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.”, in quanto la
sentenza del giudice di appello è nulla, non avendo fornito risposta alla
richiesta, contenuta nella costituzione del giudizio di secondo grado, di
inammissibilità dell’appello proposto dalla Agenzia delle entrate per difetto
di specificità ex art. 53
d.lgs. 546/1992.

1.1. Con il secondo motivo (rubricato sub 1 bis a
pagina 12 del ricorso per cassazione) i contribuenti deducono “violazione
degli artt. 53 comma 1 e n. 59 del d.lgs. 546/1992 in
relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.”
in quanto l’Agenzia delle entrate, con l’appello, non ha tenuto conto in alcun
modo della motivazione della sentenza di primo grado, limitandosi a ribadire le
proprie difese di primo grado.

2. Tali motivi, che vanno esaminati congiuntamente
in ragione della loro stretta connessione, sono infondati.

Invero, per questa Corte, a sezioni unite, la
mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi
irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del
merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico
sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della
funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi
di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, comma 2, Cost., ha il potere, in una
lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384
c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un “error in
procedendo”, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle
ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si
tratti dell’implicito rigetto della domanda perché erroneamente ritenuta
assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti
in fatto (Cass.Civ., sez.un., 2 febbraio 2017, n. 2731).

Nella specie, risulta dal testo della sentenza
impugnata (pagg. 2, 3 e 4) che sono stati proposti motivi di appello specifici
e dettagliati.

Peraltro, per questa Corte, nel processo tributario,
anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire ed
a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno
della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado, deve
ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica richiesto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992,
che costituisce norma speciale rispetto all’art.
342 c.p.c. (Cass., 24641/2018).

3. Con il terzo motivo di impugnazione (rubricato
sub 2 a pagina 13 del ricorso per cassazione), i ricorrenti lamentano la
“violazione degli artt. 111 Costituzione,
comma 6, 132 c.p.c. comma 2 n. 4 e 36 del d.lgs. 546/1992 comma 2
n. 4, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3
c.p.c.”, in quanto la motivazione del giudice di appello ha reso
impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a
fondamento del dispositivo. Tale decisione sarebbe sostenuta da “scarni
frasi motivazionali”, tra l’altro “totalmente inconferenti”. In
particolare, la Commissione regionale ha basato la sua decisione su una erronea
“caratterizzazione delle azioni assegnate ai dipendenti a titolo
gratuito”.

3.1. Tale motivo è infondato.

Invero, il giudice di appello ha ritenuto che la
normativa applicabile era quella vigente alla data dell’esercizio del diritto
di opzione, quindi comprensiva delle tre condizioni di cui all’art. 51 lettera comma 2 lettera g bis
d.p.r. 917/1986, dopo le modifiche apportate dal d.l.
262/2006, convertito in legge 286/2006.
Tali condizioni sono state ritenute insussistenti. Il giudice di appello, poi,
ha aggiunto, ad abundantiam, una diversa ratio decidendi, evidenziando che l’art. 51 comma 2 lettera g-bis non
poteva trovare, comunque, applicazione, in quanto i dipendenti avevano ricevuto
le azioni a titolo gratuito, con la conseguenza che il trattamento fiscale
della somma ricevuta come corrispettivo all’atto della cessione non poteva
ritenersi equiparabile ad una plusvalenza sottoposta al trattamento fiscale di
favore del 12,5 % sul capitai gains, trattandosi di un benefit per il
dipendente.

4. Con il quarto motivo di impugnazione (rubricato
sub 3 a pagina 15 del ricorso per cassazione) i ricorrenti deducono
“violazione, sotto altro profilo, degli artt.
111 comma 6 Costituzione, 132 comma 2 n. 4
c.p.c. e 36 comma 2 n. 4
d.lgs. 546/1992, sentenza priva di motivazione o con motivazione solo
apparente, in relazione all’art. 360 comma 1, nn.
3, 4 e 5 c.p.c., per la violazione o falsa applicazione delle disposizioni
di cui all’art. 51 comma 2 lettera g
bis d.p.r. 917/1986, contenute nel testo previgente al d.l. n. 223/2006, nullità della sentenza o del
procedimento per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione, circa un
punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile
d’ufficio, che è stato oggetto di trattazione”, in quanto il giudice di
appello, pur menzionando la avvenuta produzione da parte dei contribuenti della
circolare Inps, non ne ha però tenuto conto al fine della decisione della
controversia. Inoltre, “oltre alla carenza di motivazione” (cfr.
pagina 17 penultima riga), vi è stata violazione di legge, in quanto la
Commissione regionale ha ritenuto inapplicabile il regime tributario del
capitai gains, con l’aliquota del 12,5 %, in quanto le azioni erano state
assegnate ai dipendenti a titolo gratuito, quale mero benefit agli stessi.

4.1. Tale motivo è in parte infondato ed in parte
inammissibile.

Invero, anzitutto, si rileva che il motivo è
infondato quanto alla dedotta censura di inesistenza della motivazione.
Infatti, il giudice di appello ha chiaramente indicato le ragioni poste a
fondamento della sua decisione.

Il motivo è, invece, inammissibile in ordine alla
censura di violazione di legge con riferimento ad una circolare che non ha
natura normativa (Cass., 1644/2015).

Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui
deduce vizio di motivazione insufficiente o contraddittoria dovendosi applicare
alle sentenze depositate a decorrere dall’11-9-2012 l’art. 360 comma 1 n. 5, dopo le modifiche di cui al
d. l. 83/2012.

Il motivo è inammissibile anche per quanto attiene
alla dedotta violazione di legge.

Infatti, la sentenza del giudice di secondo grado
poggia su una doppia ratio decidendi. In primo luogo, si afferma che la
normativa applicabile è quella vigente al momento di esercizio del diritto di
opzione (art. 51 comma 2 lettera g
bis del d.p.r. 1986/917, dopo il d.l. 262/2006,
convertito in legge 286/2006.

Subito dopo, si evidenzia che, poiché le azioni sono
state assegnate ai dipendenti gratuitamente, non può, comunque, trovare
applicazione il regime fiscale di cui all’art. 51 comma 2 lettera g bis d.p.r.
917/1986. In quest’ultima ipotesi (azioni ricevute a titolo gratuito) non
sussiste il requisito di cui all’art.
51 comma 2 lettera g bis perchè la “plusvalenza” (differenza tra
il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto
dal dipendente) è esclusa dal reddito di lavoro dipendente a condizione che
l’ammontare corrisposto dal dipendente sia almeno pari al valore delle azioni
alla data della offerta, requisito evidentemente insussistente nel caso in cui
il contribuente abbia ricevuto le azioni a titolo gratuito.

I ricorrenti, però, si sono limitati ad impugnare
solo una delle due autonome rationes decidendi, ossia la seconda (relativa alla
cessione gratuita delle azioni), mentre non hanno impugnato la prima ratio
decidendi, fondata sulla assenza dei requisiti di cui all’art. 51 comma 2 lettera g bis, con
la conseguente inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione.

Il motivo è, peraltro, infondato nel merito.

Invero, a seguito del d.l.
262/2006, entrato in vigore il 3-10-2006, la disciplina impositiva sulle
stock options è stata profondamente modificata, con l’inserimento di ulteriori
tre condizioni in aggiunta alle prime due.

La disciplina precedente, dunque, fondata sulla
esenzione fiscale, era volta a stimolare i dipendenti al miglioramento
dell’azienda, collegando, mediante le stock options, parte della retribuzione
ad una componente variabile che si incrementava con la crescita di valore della
azienda stessa, e trovando causa nel maggior impegno profuso dal dipendente,
incentivato dalla prospettiva di maggiori guadagni (Cass.,
18917/2018; Cass., 24 febbraio 2017, n. 4774).

Con le modifiche introdotte nel 2006, invece, le
finalità perseguite dal legislatore sono mutate, identificandosi nella
“fidelizzazione” del dipendente (Cass.,
18917/2018).

L’art. 51
comma 2 bis, poi, stabilisce, nella versione all’epoca vigente, che
“la disposizione di cui alla lettera g-bis del comma 2 si rende
applicabile esclusivamente quando ricorrano congiuntamente le seguenti
condizioni: a) che l’opzione sia esercitabile non prima che siano scaduti tre
anni dalla sua attribuzione; b) che, al momento in cui l’opzione è
esercitabile, la società risulti quotata in mercati regolamentati; c) che il
beneficiario mantenga per almeno i cinque anni successivi all’esercizio
dell’opzione un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla
differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e
l’ammontare corrisposto dal dipendente”. Costituisce, però, principio
consolidato di questa Corte, cui si intende aderire, quello per cui, in tema di
determinazione del reddito di lavoro dipendente, la disciplina di tassazione
applicabile “ratione temporis” alle cosiddette “stock
options” va individuata in quella vigente al momento dell’esercizio del
diritto di opzione da parte del dipendente, indipendentemente dal momento in
cui l’opzione sia stata offerta, atteso che l’operazione cui consegue la
tassazione non va identificata nell’attribuzione gratuita del diritto di
opzione, che non è soggetta a imposizione tributaria, ma nell’effettivo esercizio
di tale diritto mediante l’acquisto delle azioni, che costituisce il
presupposto dell’imposizione commisurata proprio sul prezzo delle stesse e che
è rimesso alla libera scelta del beneficiato (Cass.,
18917/2018; Cass.Civ., 12 aprile 2017, n. 9465;
in termini analoghi Cass.Civ., 20 maggio 2011, n.
11214; Cass.Civ., 13088/2012; Cass.Civ., 11413/2015).

Nella specie il diritto di opzione, con l’acquisto delle
azioni, è stato esercitato il 21-12-2007, quando era già in vigore il d.l. 262/2006.

Inoltre, in tal caso, l’applicazione del d.l. 262/2006 non determina una applicazione
retroattiva della norma tributaria, poiché l’operazione alla quale consegue la
tassazione non va individuata nell’attribuzione gratuita del diritto di
opzione, che non è soggetta a imposizione tributaria, ma nell’effettivo
esercizio del diritto di opzione mediante l’acquisto delle azioni, e che è
rimesso alla libera scelta del beneficiato, il quale può esercitarlo o meno
secondo le modalità ed i tempi che riterrà opportuni, alla stregua delle
proprie insindacabili valutazioni (Cass.Civ., 12
aprile 2017, n. 9465).

Inoltre, si rileva che le disposizioni dello statuto
del contribuente, che costituiscono meri criteri guida per il giudice, in sede
di applicazione ed interpretazione delle norme tributarie, anche anteriormente
vigenti, per risolvere eventuali dubbi ermeneutici, non hanno, nella gerarchia
delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria, con la conseguenza che esse
non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la
disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse (Cass.Civ., 6 settembre 2017, n. 20812).

Per questa Corte, quindi, in tema di efficacia nel
tempo di norme tributarie, in base all’art. 3 della legge 27 luglio 2000,
n. 212 (cosiddetto Statuto del contribuente), il quale ha codificato nella
materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi stabilito
dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in
generale, va esclusa l’applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa
sia espressamente prevista (Cass.Civ., 9 dicembre
2009, n. 25722).

Peraltro, si è anche osservato che deve escludersi,
non solo che l’applicazione della disciplina in vigore dal 3 ottobre 2006 abbia
violato il principio di non retroattività della norma tributaria, ma anche che
il contribuente possa avere fatto affidamento sulla cristallizzazione di una
disciplina agevolativa, in quanto non vi era certezza nell’incremento di valore
delle azioni al momento della offerta del diritto di opzione (Cass.,
19817/2018; vedi anche Corte Cost., n. 149 del
2017, per la quale il valore del legittimo affidamento non esclude che il
legislatore possa adottate disposizioni che modifichino la disciplina dei
rapporti giuridici, in senso sfavorevole agli interessati, purché tali
disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale).

Del resto, l’art. 36 comma 25 del d.l. 223 del
4-7-2006, convertito in legge 248/2006,
laddove modifica l’art. 51 comma 2
bis del d.p.r. 917/1986, si applica, ai sensi del comma 26 dell’art. 36 “alle
azioni la cui assegnazione ai dipendenti si effettua successivamente alla data
di entrata in vigore del presente decreto”.

Non si può, quindi, sostenere che il d.l. 262/2006, pur essendo entrato in vigore il 3
ottobre 2006, tuttavia ha acquisito concreta efficacia solo a partire dal 1
gennaio 2007, quindi dall’anno di imposta successivo all’entrata in vigore,
come previsto dall’art. 3, comma
1, ultimo periodo, della legge 212/2000 (cfr. pagina 23 del controricorso).

Inoltre, per questa Corte (Cass., 1 marzo 2019, n. 6118) la disposizione
agevolativa che esclude l’imputazione della plusvalenza per le cd. “stock
options” ai sensi dell’art. 51,
comma 2, lett. g-bis), del d.P.R. n. 917 del 1986, nella formulazione
introdotta dal d.l. n. 262 del 2006, conv. in I. n. 286 del 2006, non soggiace all’applicazione
dell’art. 3, comma 1, della I. n.
212 del 2000, relativo ai soli tributi periodici destinati a durare nel
tempo, avendo la novella inciso meramente sulle condizioni al verificarsi delle
quali può trovare applicazione l’imposta sostitutiva, avente natura istantanea,
sicché detta disciplina non contrasta con i principi dell’affidamento e di
certezza giuridica, dovendosi escludere che al momento dell’offerta del diritto
di opzione il contribuente potesse avere certezza che il valore delle azioni si
sarebbe incrementato e potesse, di conseguenza, fare affidamento
sull’immutabilità delle previsioni agevolative. Rientrano tra i tributi
“periodici” solo quelli il cui presupposto è destinato a durare nel
tempo ed il cui pagamento è dovuto per anno solare di riferimento.

Nè è applicabile il d.l.
112 del 25-6-2008, che ha abrogato la lettera g bis dell’art. 51 comma 2
d.p.r. 917/1986, eliminando la disciplina agevolativa, in quanto
l’abrogazione riguarda l’esercizio del diritto di opzione in data successiva al
25-6-2008.

Il giudice di appello, quindi, correttamente, in
relazione al diritto di opzione esercitato il 21-12-2007, ha ritenuto
applicabile l’art. 51 comma 2 bis
d.p.r. 917/1986, rilevando l’assenza delle ulteriori tre condizioni
aggiunte dal d.l. 262/2006, convertito in legge 286/2006, a decorrere dal 3-10-2006.

Il comma
24 dell’art. 82 del d.l. 112 del 2008 prevede espressamente che detta
abrogazione “si applica in relazione alle azioni assegnate ai dipendenti a
decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto” (vedi in
tal senso anche la circolare della Agenzia delle
entrate 9-9-2008, n. 54/E in cui si precisa che la data di assegnazione
delle azioni coincide con quella di esercizio del diritto di opzione, a
prescindere dal fatto che la materiale emissione o consegna del titolo
avvengano in un momento successivo). Le azioni riservate al dipendente, dunque,
entrano nella sua disponibilità giuridica, risultando a lui assegnate, nel
momento in cui esercita il diritto di opzione.

5. Non si pronuncia sulle spese del giudizio di
legittimità in assenza di attività processuale da parte della Agenzia delle
entrate.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

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