Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 gennaio 2020, n. 2004
Inquadramento, Mansioni, Comportamenti datoriali scorretti,
Danno biologico e morale
Rilevato che
Con ricorso al Tribunale di Cagliari L.T.,
dipendente della S.S.C. s.r.l. presso l’ipermercato di Q. S. E., ha convenuto
in giudizio la società, lamentando di avere subito una serie di comportamenti asseritamente illeciti da parte della datrice di lavoro. In
particolare deduceva di essere stata assunta quale cassiera e di avere svolto
tale mansione fino al marzo 2004, quando sarebbe stata illegittimamente
spostata ai reparti commerciali di vendita, per essersi rifiutata di prestare
attività nelle giornate di domenica; di essere stata adibita a mansioni
dequalificanti e gravose, incompatibili col suo stato di salute, in assenza di
preventiva visita di idoneità e senza mezzi individuali di protezione; di avere
osservato un orario diverso e deteriore rispetto a quello contrattualmente
pattuito e precedentemente osservato; di essere stata costretta a svolgere
compiti in contrasto con le prescrizioni del medico competente.
Deduceva inoltre una serie di comportamenti
datoriali scorretti (il rifiuto della società di consegnarle la copia delle
timbrature richieste a maggio 2004; il rifiuto di consegnarle la copia del
referto del medico competente; il rifiuto di concederle un periodo di ferie a
dicembre 2004, cui ha fatto seguito la collocazione “obbligatoria” in
ferie nel gennaio successivo e l’imputazione di parte dei giorni di assenza come
permesso individuale; l’adozione di provvedimenti disciplinari a seguito di
contestazioni infondate; l’atteggiamento umiliante tenuto da parte della
Responsabile Risorse Umane a maggio 2005, per essersi rifiutata di seguire un
orario articolato su turni).
Chiedeva dunque la condanna della società al
risarcimento del danno da demansionamento e mobbing,
oltre a differenze retributive, comprese indennità cassa e maneggio denaro.
Resisteva la società.
Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda,
condannando la S.C.C. s.r.l. al pagamento di €.28.695,76 per danno biologico e
morale, rigettando le ulteriori domande.
Proponeva appello la S.C.C. s.r.l.; resisteva la T.,
proponendo appello incidentale in ordine alle domande non accolte.
Con sentenza depositata il 12 maggio 2015, la Corte
d’appello di Cagliari accoglieva il gravame principale, respingendo le domande
tutte della T., e rigettava l’incidentale.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso
la T., affidato a cinque motivi, cui resiste la società con controricorso, poi
illustrato con memoria.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la
violazione eo falsa applicazione degli artt. 2103
e 2697 c.c., oltre che degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., per aver ritenuto che la lavoratrice, già addetta alla
barriera casse, non avesse subito alcun demansionamento
con l’adibizione ai reparti commerciali di vendita.
Il motivo è inammissibile in quanto, pur lamentando
una violazione di legge, peraltro non meglio chiarita, la censura finisce per
contestare accertamenti e valutazioni di fatto compiuti dal giudice di appello,
in contrasto col novellato n. 5 dell’art. 360,
co.1, c.p.c.
2. Con secondo motivo la T. denuncia la violazione
degli artt. 2697 c.c., 113, 115, 116, 132 e 345 c.p.c. in ordine al dedotto mutamento dell’orario di lavoro.
Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni
esposte sopra, anche qui essendo la censura rivolta a contrastare congrui
accertamenti in fatto compiuti dal giudice del merito sulla base delle
emergenze istruttorie.
3. Con terzo motivo la T. denuncia la violazione
dell’art. 2697 c.c., 113,
115 e 116 c.p.c., oltre agli artt. 4, 16, 40 e segg. d.lgs n. 62694, 18 e 41 d.lgs
n. 818, contestando che il ritardo nell’effettuazione della richiesta
visita medica di idoneità e nella consegna dei mezzi individuali di protezione
era attribuibile anche al comportamento della lavoratrice.
Il motivo è ancora una volta inammissibile per le
stesse ragioni esposte sopra, avendo la corte di merito accertato che i
comportamenti datoriali denunciati derivavano da ripetute e prolungate assenze
della T..
4. Con quarto motivo la ricorrente denuncia la
violazione degli 113, 115 e 116 c.p.c. e 7 d.lgs
n.1963 in ordine alla valutazione del rifiuto datoriale di consegnarle il
foglio di presenza del maggio 2004.
Anche tale motivo risulta inammissibile in quanto,
oltre a censurare ancora accertamenti ed apprezzamenti di fatto svolti dalla
sentenza impugnata, la ricorrente non chiarisce perché essa dovrebbe cassarsi
per la ragione esposta ed in sostanza quali sarebbero gli effetti giuridicamente
rilevanti in tesi derivanti, nell’economia del presente giudizio, dalla
declaratoria di violazione dell’art.
7 d.lgs n. 1963 con riferimento alla dedotta
mancata consegna del foglio timbrature del mese di maggio 2004, che la Corte di
merito ha congruamente escluso (al di là del diritto del lavoratore di
conoscere eventuali ore di straordinario su cui cfr. ora CGUE 14 maggio 2019,
causa C-55/2018).
In sostanza tale isolato episodio non risulta idoneo
a concretare il dedotto generale comportamento vessatorio della società ed il
dedotto diritto al risarcimento del relativo danno, peraltro non meglio
specificato.
5. Con quinto motivo la T. denuncia la violazione
degli artt. 113, 115
e 116 c.p.c., oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, circa il mutamento
dell’orario di lavoro, la sanzione disciplinare del rimprovero scritto ed altri
similari fatti.
Il motivo è inammissibile in quanto attraverso la
menzionata dedotta violazione di norme processuali (inerenti essenzialmente la
valutazione delle prove) si mira ad una rivalutazione delle emergenze istruttorie.
6. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in
€.200,00 per esborsi, €.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese
generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 1152, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.