L’autorizzazione successiva o preventiva fornita dai dipendenti all’installazione del sistema di videosorveglianza non sana l’inottemperanza della procedura prevista dall’art. 4 Stat. Lav.
Nota a Cass. 15 luglio 2019, n. 50919
Sonia Gioia
Il consenso in “qualsiasi forma (scritta od orale, preventiva o successiva) prestato dai singoli lavoratori non vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni” dettate dall’art. 4 Stat. Lav.
È quanto afferma la Corte di Cassazione con la sentenza 15 luglio 2019, n. 50919 (conforme a Trib. Milano n. 362/2019), relativa ad una fattispecie in cui il datore di lavoro aveva installato 16 telecamere nella propria struttura aziendale, senza previamente raggiungere un accordo con la rappresentanza sindacale interna (rsa) o ottenere l’avallo dell’Ispettorato del lavoro ed aveva inviato, il giorno successivo a quello in cui era stata costatata la presenza dell’impianto di videosorveglianza, una dichiarazione sottoscritta da tutti i dipendenti che dichiaravano di liberarlo dagli obblighi previsti a suo carico dall’art. 4 Stat. Lav. A proprio sostegno, l’azienda aveva richiamato una precedente decisione della Corte stessa (n. 22611/2012), secondo la quale non integra il reato previsto dall’art. 4 Stat. Lav. l’installazione di un sistema di videosorveglianza potenzialmente in grado di controllare a distanza l’attività dei lavoratori, la cui attivazione, anche in mancanza di accordo con le rsa o di autorizzazione pubblica, sia stata preventivamente autorizzata per iscritto da tutti i dipendenti.
Sul punto, la sentenza in esame chiarisce, invece, che l’assenso delle rappresentanze sindacali costituisce uno dei momenti essenziali della procedura sottesa all’installazione degli impianti. Ne discende l’inderogabilità del consenso e la infungibile tassatività sia dei soggetti legittimati a prestarlo sia del necessario esperimento della procedura autorizzativa di cui all’art. 4 Stat. Lav.
La norma penale (art. 38 Stat. Lav), al pari di quelle che richiedono l’intervento delle rsa per la disciplina degli assetti nei luoghi di lavoro, tutela “non l’interesse personale del singolo lavoratore né la sommatoria aritmetica di ciascuno di essi, ma presidia degli interessi di carattere collettivo e superindividuale…”. Le rsa sono deputate, da un lato, a riscontrare (essendo titolari ex lege del relativo diritto) se gli impianti audiovisivi, dei quali il datore di lavoro intende dotarsi, siano o meno idonei a ledere la dignità dei lavoratori per la loro potenziale finalizzazione al controllo a distanza dello svolgimento dell’attività lavorativa; e, dall’altro, di verificare “l’effettiva rispondenza di detti impianti alle esigenze tecnico-produttive o di sicurezza, in modo da disciplinarne, attraverso l’accordo collettivo, le modalità e le condizioni d’uso e così liberare l’imprenditore dall’impedimento alla loro installazione”.
Sicché la condotta datoriale che proceda all’installazione di strumenti dai quali possa derivare un controllo a distanza dei lavoratori, eludendo l’interlocuzione con le rappresentanze sindacali unitarie o aziendali, produce l’oggettiva lesione degli interessi collettivi di cui queste sono portatrici e concretizza un comportamento antisindacale sanzionabile ai sensi dell’art. 28 Stat. Lav.
Dal momento che la regolamentazione degli interessi dei dipendenti è affidata alle rsa o, in ultima analisi, ad un imparziale organo pubblico (Ispettorato del lavoro), è esclusa la possibilità per i lavoratori, uti singuli, di provvedere autonomamente al riguardo, essendo essi i soggetti deboli del rapporto e, in quanto tali, protetti da una procedura codeterminativa inderogabile, non sostituibile dal consenso, il quale, peraltro, stante la loro posizione di svantaggio, potrebbe essere viziato.
Il datore di lavoro, infatti, per “eludere la procedimentalizzazione imposta dalla legge, potrebbe fare firmare a ciascun lavoratore, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione con cui egli accetta l’introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso, la cui libera determinazione appare viziata dal timore, in caso di rifiuto alla sottoscrizione della dichiarazione in questione, della mancata assunzione”.