Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 gennaio 2020, n. 2239

Rapporti lavorativi, Addette punto vendita, lscrizione a
ruolo di somme per contributi e sanzioni, Formale qualificazione di contratti
di associazione in partecipazione e di contratto occasionale autonomo, Assenza
di rischio,Natura subordinata

Rilevato che

 

Il Tribunale di Ascoli Piceno, pronunziando
sull’opposizione proposta dalla società G. s.r.l. avverso l’iscrizione a ruolo
di somme per contributi e sanzioni concernenti i rapporti lavorativi di cinque
lavoratrici (P. M., S. C., G. A., L. P. e S. C.) addette ad un punto vendita ad
insegna Y. posto all’interno del centro commerciale C. di Porto Sant’Elpidio,
considerati dall’Inps di natura subordinata, nonostante la loro formale qualificazione
di contratti di associazione in partecipazione ed in un caso (V. C.) di
contratto occasionale autonomo, rigettò l’opposizione sulla base del rilievo
che i motivi dedotti a suo sostegno erano smentiti dalla concreta realizzazione
dei rapporti intercorsi tra le parti posto che era carente il rischio d’impresa
a fronte della erogazione di un compenso fisso mensile e la mancata
partecipazione alle perdite e che anche la commessa C. aveva reso lavoro
subordinato;

la Corte d’appello di Ancona, investita
dall’impugnazione della predetta società, ha rigettato il gravame (sentenza del
16.3.2014) confermando il giudizio sull’assenza di rischio e sui caratteri
della effettiva subordinazione emersa dall’esame delle prove documentali
acquisite ( contratti di associazione in partecipazione, rendiconti,
dichiarazioni rese dalle lavoratrici in sede ispettiva il 14 febbraio 2007);

per la cassazione della sentenza ricorre la società
s.r.l. G. con tre motivi, illustrati da memoria: 1) violazione e o falsa
applicazione degli artt. 2094, 2549, 2552 e 2554 cod. civ. in relazione alla erronea
interpretazione della nozione di associazione in partecipazione definita dai
medesimi articoli avendo la Corte affermato che tale schema negoziale, per
natura aleatorio, fosse incompatibile con la erogazione di un compenso minimo
garantito mensile e che la mancata partecipazione alle perdite comportasse la
mancanza di pregiudizio economico per le lavoratrici. Peraltro, era mancato
anche l’accertamento in concreto della subordinazione essendo stato il positivo
giudizio fatto derivare solo da motivazioni tipologiche trattandosi di lavoro
da commessa; 2) omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati
oggetto di discussione tra le parti, con riguardo agli elementi tipici
dell’associazione in partecipazione (nomen iuris, diritto al rendiconto,
autonomia nell’espletamento dell’attività lavorativa ed elementi differenziali
rispetto al rapporto di lavoro subordinato successivamente intercorso con
alcune lavoratrici); 3) violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c. ed omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio in ragione della esclusiva valenza probatoria
riconosciuta al verbale ispettivo dell’INPS quanto alla natura dell’attività di
lavoro svolta dalla C.;

resiste con controricorso l’Inps anche quale proc.
spec. di S.C.C.I.

 

Considerato che

 

il ricorso è infondato;

con il primo ed il secondo motivo, connessi e quindi
da trattare congiuntamente, si addebita sostanzialmente alla sentenza impugnata
di aver errato nel ritenere che la previsione contrattuale di partecipazione
agli utili del punto vendita – di natura solo accessoria ed eventuale – fosse
incompatibile con qualsiasi rischio di impresa e con lo schema astratto
dell’associazione in partecipazione anche considerando che le lavoratrici erano
pure escluse dalle perdite; inoltre, il ragionamento svolto dalla sentenza
impugnata presenterebbe lacune motivazionali, nella parte in cui è stata
disconosciuta la genuinità dei rapporti associativi affermandosi erroneamente
che tali rapporti avevano, in realtà, natura subordinata, quando, al contrario,
era stato ben evidenziato che le parti avevano voluto concludere solo un
contratto di associazione in partecipazione, tanto che le associate avevano
frequentato un corso di formazione e gestivano autonomamente il negozio; la
sentenza avrebbe pure omesso di esaminare gli elementi essenziali
dell’associazione in partecipazione come sopra indicati; i motivi sono in parte
inammissibili ed in parte infondati;

sono inammissibili laddove si formula il vizio di
omesso esame di fatti, con riferimento non a circostanze fattuali e concrete ma
a nozioni di ordine giuridico o a complessive valutazioni di diversi elementi
acquisiti al giudizio, in quanto l’art. 360, comma
1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012,
conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012,
introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione,
relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui
paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di
deduzioni difensive ( Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 22397 del 2019);

per il resto i medesimi motivi sono infondati e ciò
alla luce dei principi indicati da questa Corte – ed ai quali va data
continuità – in ordine alla distinzione tra rapporto di associazione in
partecipazione e rapporto di lavoro subordinato;

in particolare, si è precisato in tema di
distinzione tra contratto di associazione in partecipazione con apporto di
prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro
subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa (Cass. n. 1692 del 29.1.2015; Cass. n. 24871 del 2008; Cass. n. 2693 del 2001), che la riconducibilità
del rapporto all’uno o all’altro degli schemi predetti esige un’indagine del
giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di
attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due
contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica
l’obbligo del rendiconto periodico dell’associante e l’esistenza per
l’associato di un rischio di impresa, il rapporto di lavoro subordinato implica
un effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere
dell’associante di impartire direttive e istruzioni al cointeressato, con
assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare della persona o dell’organo
che assume le scelte di fondo dell’organizzazione dell’azienda;

peraltro, la riconducibilità del rapporto all’uno o
all’altro degli schemi predetti forma oggetto d’indagine del giudice di merito,
nei sensi sopra chiariti ed alla stregua delle modalità di attuazione del
concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti e tale
accertamento, se adeguatamente e correttamente motivato, non è censurabile in
sede di legittimità;

nel caso di specie, la Corte d’appello ha posto in
essere un attento vaglio di tutte le concrete ed incontestate risultanze
acquisite al processo, senza svalutare alcuna delle circostanze richiamate
dalla ricorrente a proprio vantaggio, ed ha accertato con motivazione adeguata
e priva di vizi logici che le lavoratrici, formalmente associate in
partecipazione, espletavano attività di lavoro senza alcun rischio d’impresa e
con modalità tipiche del lavoro subordinato quali l’inserimento organico
nell’impresa, la soggezione al potere di coordinamento e controllo da parte di
soggetti incaricati dalla datrice di lavoro (il responsabile, ogni venti
giorni, e della referente individuata in due delle lavoratrici interessate, A.
e M.) e la percezione di compensi fissi a prescindere dall’andamento
dell’attività;

anche il terzo motivo, riferito alla sola posizione
della lavoratrice V. C., è infondato;

si sostiene che la sentenza impugnata sia altresì
illegittima nella parte in cui la decisione è basata sui soli accertamenti
ispettivi, senza che sia stato dato spazio ad altro dato istruttorio;

in particolare, con argomentazione in punto di fatto
adeguatamente motivata ed immune da vizi logici o giuridici, la Corte
territoriale ha evidenziato che in sede ispettiva era stato accertato che la
C., anche nel periodo intercorrente tra 1° ed il 14 febbraio 2007 che aveva
preceduto l’assunzione come apprendista commessa avvenuta il 16 febbraio 2007,
era stata addetta come commessa di negozio alla vendita al pubblico, servendo
le clienti anche con consiglio sull’acquisto dei capi e che aveva eseguito gli
ordini della capo negozio A.; tutti elementi, questi, che denotavano
sostanzialmente l’eterodirezione della prestazione, l’assoggettamento della
lavoratrice al potere gerarchico dell’impresa ed il suo pieno inserimento
nell’organizzazione aziendale seppure con caratteri di saltuarietà nei giorni
in cui era stata chiamata;

il motivo, in modo inammissibile, sotto l’apparente
denunzia di vizi di violazione di legge, tenta di sindacare le valutazioni di
merito della Corte territoriale allorquando la stessa ha operato la
qualificazione del rapporto di lavoro di cui trattasi sulla base degli atti di
causa con motivazione congrua e sottratta ai rilievi di legittimità, così come
inidoneo a fondare la violazione di legge denunciata è il richiamo, per sintesi,
dei contenuti delle dichiarazioni rese da G. A. in ordine alle mansioni svolte
o del verbale ispettivo;

in definitiva il ricorso va rigettato e le spese del
presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate
come da dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5500,00
per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura
del 15% e spese accessorie di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1 bis,
ove dovuto.

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