Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 gennaio 2020, n. 2015
Appalto dei servizi di igiene ambientale, Licenziamento per
cessazione appalto, Restrizione dell’ambito di controllo, in sede di
legittimità, sulla motivazione di fatto, Circoscrizione al “minimo
costituzionale”
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 226 del 6.4.2017 la Corte di
appello di L’Aquila, confermando la pronuncia del Tribunale di Pescara, ha
accolto la domanda di M.D. di riassunzione presso la T. s.r.l. società
subentrata alla E. s.p.a. nell’appalto del Comune di
Montesilvano per i servizi di igiene ambientale, con conseguente condanna al
risarcimento del danno corrispondente alle retribuzioni maturate da febbraio
2014 sino alla riassunzione effettiva.
2. La Corte territoriale, alla luce delle risultanze
documentali acquisite (nella specie verbale di incontro tra le parti del
28.1.2014), riteneva che la società E. pur avendo intimato al D. un
licenziamento per cessazione dell’appalto in data 14.1.2014 aveva consegnato
alla T. un elenco dei lavoratori ove compariva altresì il nome del suddetto
lavoratore con l’indicazione del numero di giorni di assenza per malattia e
della dicitura “comporto” ma rilevava che entrambe le società,
convenendo di escludere il D. dal passaggio nella società subentrante, avessero
concordemente violato la procedura prevista dal capitolato d’oneri e nel
contratto collettivo di riferimento ove era prevista la riassunzione di tutti i
lavoratori che risultavano alle dipendenze della vecchia gestione nei 240 giorni
precedenti il subentro, con conseguente diritto all’assunzione del D..
3. Avverso detta decisione la società T.. propone
ricorso affidandolo a tre motivi. Il lavoratore resiste con controricorso e
memoria (ove si da atto della declaratoria di fallimento concernente la società
T.).
La società E. è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
1. Con i tre motivi di ricorso la società denuncia,
ex art. 360 nn. 3 e 5 cod.proc.civ., omessa, insufficiente, contraddittoria
motivazione, travisamento di fatti, errata valutazione ed interpretazione delle
prove documentali, violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei cc.cc.nn.ll. nonché inammissibilità della domanda ex art. 2932 cod.civ.,
avendo, la Corte distrettuale, trascurato che la società non era mai stata
portata a conoscenza della lettera di licenziamento intimata, per giustificato
motivo oggettivo, dalla E., risultando – nell’elenco dei lavoratori – un altro
motivo di licenziamento. La Corte ha omesso di pronunciarsi in ordine alla
domanda di garanzia e di manleva proposta nei confronti della società E. e,
infine, la sentenza del Tribunale di Pescara (contrariamente alla sentenza del
giudice di appello) ha assunto una pronuncia costitutiva del rapporto di lavoro
a fronte della previsione di un rapporto di natura meramente obbligatoria ed
esclusivamente tra un soggetto pubblico (Comune di Montesilavano)
e uno privato (T. s.r.l.).
2. Preliminarmente, va rammentato il consolidato
orientamento di questa Corte secondo cui l’intervenuta modifica dell’art. 43 l.fall.
per effetto dell’art. 41 del d.lgs.
n. 5 del 2006, nella parte in cui stabilisce che “l’apertura del
fallimento determina l’interruzione del processo”, non comporta
l’interruzione del giudizio di legittimità, posto che in quest’ultimo, in
quanto dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause
di interruzione del processo previste in via generale dalla legge (cfr. Cass n. 21153 del 2010, Cass. n.
27143 del 2017).
Il ricorso deve ritenersi infondato.
Va osservato che, nonostante il formale richiamo
alla violazione di norme di legge (che non sono nemmeno indicate) contenuto
nell’intestazione dei motivi di ricorso, tutte le censure si risolvono nella
denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione
del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.
Al riguardo va ricordato che la deduzione con il
ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non
conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della
vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza
giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del
merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una
autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti
il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura
delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito
(vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486;
Cass. 20 aprile 2011, n.
9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37;
Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass.
21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n.
3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).
La sentenza in esame (pubblicata dopo rii.9.2012)
ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente l’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.
(d.l. 22 giugno 2012, n. 83
convertito con
modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134).
L’intervento di modifica, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di
questa Corte (sentenza n. 8053/2014), comporta
una ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di
legittimità, sulla motivazione di fatto, che va circoscritto al “minimo
costituzionale”, ossia al controllo sulla esistenza (sotto il profilo
della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il
profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità
manifesta)”.
Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la
motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a
giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o
contraddittori.
La Corte distrettuale ha precisato che la
risoluzione del rapporto di lavoro tra il D. e la E., prevista per il
31.1.2014, era fondata sulla scadenza dell’appalto e sulla mancata
comunicazione di una proroga, mentre nessun riferimento veniva effettuato
– nella lettera di licenziamento – al superamento
del periodo di comporto; che nell’elenco consegnato dalla E. alla T.. appariva
anche il nome del D., con accanto l’indicazione dei giorni di assenza per
malattia, al pari di altri lavoratori (successivamente assunti); che entrambe
le società, nel verbale di incontro del 28.1.2014, convenivano di escludere
dall’assunzione il D.; che dunque il D., non licenziato dalla E. per
superamento del periodo di comporto, doveva ritenersi alle dipendenze della E.
nei 240 giorni precedenti il nuovo appalto, condizione prevista dal contratto
collettivo per l’insorgenza dell’obbligo, a carico del subentrante, di
assunzione dei lavoaratori; che, conseguentemente,
“l’accordo intervenuto tra le parti peraltro rende entrambe responsabili
nella stessa misura della violazione della procedura”.
4. Nel caso di specie, opera, inoltre, la modifica
che riguarda il vizio di motivazione per la pronuncia “doppia
conforme”.
L’art. 348 ter,
comma 5, prescrive che la disposizione di cui al comma 4 – ossia l’esclusione
del n. 5, dal catalogo dei vizi deducibili di cui all’art. 360, comma 1, c.p.c.
– si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348 bis, comma 2, lett.
a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma
la decisione di primo grado, con la conseguenza che il vizio di motivazione non
è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme.
Nel caso di specie, per l’appunto, la Corte ha
confermato la statuizione del Tribunale che aveva disposto la riassunzione del
D. e condannato la società T.. al pagamento del risarcimento del danno pari
alle retribuzioni maturate da febbraio 2014 alla data di riassunzione.
Il ricorrente in cassazione, per evitare
l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360,
n. 5, cod.proc.civ., deve indicare le ragioni di
fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della
sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. nn. 26774 del 2016, Cass. n. 5528 del 2014), adempimento omesso nel caso di
specie.
5. In ordine alla denuncia di omessa pronuncia,
questa Corte ha affermato ripetutamente che il ricorso per cassazione, avendo
ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc.
civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera
immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione
stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di
formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette
ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da
parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni
proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo
comma dell’art. 360 cod. proc.
civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento
alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi,
invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la
motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla
violazione di legge (Cass. Sez.U.,
n. 17931 del 24/07/2013).
Anche questo motivo è, pertanto, inammissibile, pur
rilevando che nessuna omissione può ritenersi essere intervenuta in ordine alla
domanda di manleva proposta dalla T. nei confronti della E., avendo precisato,
la sentenza impugnata, che il danno subito dal lavoratore era ricollegabile al
comportamento di entrambe le società, responsabili in solido nei confronti del
D..
6. Infine, con particolare riguardo al terzo motivo,
si tratta di censure che non colgono il senso della statuizione adottata dalla
Corte territoriale, la quale non ha disposto la costituzione, ex art. 2932 cod.civ., di
un rapporto di lavoro alle dipendenze della società T. bensì ha assunto una
pronunzia di accertamento del diritto all’assunzione con conseguente condanna
alla riassunzione.
7. In conclusione, il ricorso è infondato e le spese
di lite seguono il criterio della soccombenza.
8. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater,
introdotto dalla L. 24 dicembre
2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello –
ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro
200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese
generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma
del comma 1-bis dello stesso art.
13, se dovuto.